il Giornale, 10 ottobre 2022
Intervista a Great Nnachi (che è diventata italiana)
Great Nnachi, nata in Italia e da sempre residente a Beinasco (Torino), per diventare a tutti gli «effetti di legge» nostra connazionale ha dovuto attendere il compimento dei 18 anni. Così prevedono le regole; «merito» di norme che invece di essere fertilizzate coi semi del buonsenso sono soffocate dalla malapianta della burocrazia. Great e il suo allenatore, Luciano Gemello, hanno dovuto battagliare a lungo. Ma alla fine ce l’hanno fatta. Cancellando i paradossi del passato, come quello di aver visto attribuire tre anni fa a Great, campionessa di salto con l’asta, l’alta onorificenza di «Alfiere della Repubblica» per mano del presidente Mattarella, ma seguitando a considerarla «non italiana». Da una parte Great aveva lo status giuridico di «straniera», dall’altra poteva sfoggiare la medaglia riservata ai «cittadini italiani che si sono distinti». Va detto che a comprendere la stranezza del «caso-Nnachi» era stata fin dal 2016 la Fidal (Federazione italiana di atletica leggera) che grazie alla lungimiranza dell’allora presidente Alfio Giomi sbloccò l’impasse per la parte di sua competenza, riconoscendo la validità nazionale dei primati ottenuti da Great. Pur rimanendo inibita alla giovane atleta la possibilità di indossare la bandiera tricolore nelle competizione all’estero. Cosa che invece da oggi le sarà consentito in forza della maggiore età raggiunta: condizione che ha sbloccato – finalmente in tempi rapidi – la concessione della cittadinanza, finora richiesta invano ma ora non più in discussione grazie alla maggiore età raggiunta. Great e Luciano possono esultare. Il futuro è qui. Le scartoffie sono alle spalle. Mai più ostacoli al sogno di volare alto.
Great quando hai saputo che, finalmente, eri diventata italiana?
«Ero a scuola. È stata la notizia più bella della mia vita. Quando è arrivata compagni e insegnanti mi hanno abbracciata. Me l’ha comunicato il mio allenatore Luciano, che per me è un secondo padre. Quello vero, purtroppo, l’ho perso quando avevo 5 anni a causa di una brutta malattia».
Questa vittoria la dedichi anche a lui che non c’è più?
«Non solo questa, ma tutte quelle che ho ottenuto in passato e che spero otterrò in futuro. Ho scelto il salto con l’asta perché volando in cielo è come se mi avvicinassi un po’ di più anche a papà».
Ora è un giorno felice. Ma resta il rammarico dei tanti anni in cui non hai potuto rappresentare l’Italia in una serie di gare internazionali.
«Ho vissuto momenti di grande delusione. Vedevo gareggiare ai Mondiali e agli Europei ragazze con primati inferiori ai miei. E io a casa, davanti alla tv a chiedermi: Ma perché non posso essere lì anche io nata in Italia, non mi sono mai spostata dall’Italia e parlo solo italiano?».
In bacheca una sfilza di record.
«Ho vinto 6 campionati italiani di categoria, spostando il record italiano cadetti da 3,65 metri a 3,80».
A scuola hai la media dell’8. Quest’anno farai la maturità. Al di là dell’atletica cosa sogni diventare».
«Mi appassiona la matematica. Ma credo che sceglierò la facoltà di Ingegneria gestionale».
Quali «colleghi» dello sport ammiri di più?
«Il campione mondiale di salto con l’asta, Armand Duplantis».
E fra i campioni italiani del passato?
«Pietro Mennea».
Perché?
«Anche io, come lui, non ho un fisico da atleta perfetto. Mennea ha però dimostrato al mondo che impegno e sacrificio possono portare a risultati eccezionali. Cercherò di seguire il suo esempio».
Chi le è stato particolarmente vicino in questi anni di lotte burocratiche per diventare cittadina italiana?
«In primis il presidente Mattarella che mi ha nominata Alfiere. Poi c’è la mamma, il fratellino, l’allenatore Luciano, il fidanzato. Ma fondamentale è stato anche il sostegno dell’ex presidente della Fidal, Alfio Giomi, di quello attuale, Stefano Mei, e del presidente della mia società Cus Torino, Riccardo D’Elicio».
Tutta gente che ha creduto in te.
«Così come io non ho mai smesso di credere in loro».