il Giornale, 10 ottobre 2022
Una lunga intervista a Silvio Berlusconi
Presidente, il prossimo 13 ottobre è una data fatidica. Lei torna in Senato dopo che un vero e proprio complotto messo in atto dalle toghe politicizzate aveva portato alla sua decadenza da senatore nove anni fa. Ora molti ammettono ciò che era chiaro anche allora, cioè che inchieste e sentenze spesso sono state utilizzate nel nostro Paese come armi contro gli avversari politici. Un momento di giustizia, ma anche una bella rivincita personale...
«No, mi scusi, direttore, devo fermarla. Capisco lo spirito della sua domanda, ma le assicuro che non ho alcuno spirito di rivalsa. So di avere subìto dei torti, ma mi hanno ampiamente risarcito gli italiani con l’affetto e il consenso che non hanno mai smesso di dimostrarmi. Il problema giustizia esiste ed è grave, ma non è una questione personale. Quando una parte della magistratura, alcune cellule militanti al suo interno usano dei loro poteri per condizionare la politica, per stravolgere la volontà degli elettori, è la democrazia ad essere in pericolo. E questo è un problema che tutti dovrebbero sentire come proprio, anche i miei avversari politici più irriducibili. Spero comunque che quella stagione possa essere finalmente alle spalle. Quando parlo di necessità di una riforma della giustizia lo faccio con assoluta serenità: nessuna riforma contro la magistratura, anzi una riforma che valorizzi la professionalità e la correttezza istituzionale dei tanti magistrati per bene che esistono nell’ordinamento giudiziario».
Cosa le fece più male all’epoca e cosa la fa più felice oggi?
«La cosa che mi fece più male è certamente il fatto che per colpire me venne fatto pagare un prezzo altissimo anche ai miei familiari, alle aziende che avevo fondato, ai miei amici, ai miei collaboratori. La vita di molte di queste persone è stata addirittura rovinata. La cosa che mi fa felice oggi è semplicemente quella per cui gli italiani, per la prima volta dal 2008, hanno potuto decidere da chi essere governati. E naturalmente hanno scelto il centrodestra, assegnando a Forza Italia un ruolo determinante».
Il successo della Meloni è nei fatti, ma anche Forza Italia non si può lamentare. Oggi possiamo dirlo: nessuno si aspettava un risultato del genere tenendo conto dei sondaggi delle settimane precedenti. Ora Forza Italia è determinante nei numeri sia alla Camera, sia al Senato. Come utilizzerà la forza che le hanno dato gli elettori e la sua posizione centrale?
«In verità io non avevo dubbi: percepivo un clima favorevole non solo nei confronti del centrodestra ma, all’interno del centrodestra, verso una forza moderata, centrista, liberale, europeista, responsabile nel linguaggio e nei contenuti come Forza Italia. Ovviamente è importante che Forza Italia sia determinante sul piano dei numeri, ma ancora più determinante è la nostra funzione politica. L’Europa si attende molto da noi, e ci considera i garanti del prossimo Governo. Inoltre come sezione italiana del Partito Popolare Europeo abbiamo da un lato una grande responsabilità, dall’altro possiamo essere molto utili al nostro Paese, perché il Ppe esprime i vertici dell’Unione Europea. Essere determinanti non significa ovviamente assumere un atteggiamento ricattatorio: non è nel nostro stile e non ce n’è bisogno perché i rapporti con gli alleati sono improntati a grande correttezza politica e cordialità personale. Non a caso il centrodestra che io ho fondato oltre 28 anni fa è sempre rimasto unito e governa molte Regioni italiane, alcune delle quali, le più grandi, da oltre 25 anni. Ma soprattutto, il centrodestra è unito nel cuore degli italiani».
Siamo alla vigilia della nascita del nuovo governo di centrodestra. Lei ne ha guidati diversi e, se la memoria non mi inganna, è stato l’unico Premier a restare a Palazzo Chigi per cinque anni, cioè per un’intera legislatura. Quali sono le condizioni che possono permettere al prossimo esecutivo di durare e quali consigli si sente di dare alla Meloni?
«Come mi è capitato di dire spesso in questi giorni, Giorgia non ha bisogno dei miei consigli. Ha la determinazione e la lucidità necessarie per guidare il Paese in un momento così difficile. Noi naturalmente saremo al suo fianco, io personalmente sarò al suo fianco quando sarà utile farlo nell’interesse del Paese».
La congiuntura economica è estremamente complicata. Tra caro bollette, inflazione e sanzioni alla Russia la situazione si è fatta drammatica. Quali dovrebbero essere le direttive di marcia del governo di centrodestra in questi frangenti?
«L’Italia ha una collocazione internazionale dalla quale non possiamo in nessun caso prescindere, perché è diretta espressione dei nostri valori, del nostro stile di vita, delle cose nelle quali crediamo. Quindi la solidarietà occidentale è fuori da ogni discussione ed è particolarmente importante in un momento di così acute crisi internazionali. Però abbiamo anche il dovere di fare in modo che tutto questo non si ripercuota, o si ripercuota il meno possibile, su un sistema economico già duramente provato negli anni della pandemia».
La questione delle bollette e del costo del gas continua a tenere banco. L’Europa stenta a trovare una soluzione. In Italia le proporzioni del debito pubblico sconsigliano uno scostamento di bilancio, nello stesso tempo il caro energia rischia di decimare le nostre imprese e portare al collasso il nostro sistema produttivo. Lei ha qualche idea in proposito?
«Mi rendo conto che i mezzi che abbiamo a disposizione sono limitati, il livello del debito pubblico è molto alto e un ulteriore aggravio è difficilmente sostenibile. Vi sono anche dei vincoli europei dai quali non si può prescindere. Tuttavia la priorità assoluta oggi è evitare una spirale di inflazione e recessione che avrebbe un costo sociale altissimo. Per questo, per esempio, è vitale che lo Stato si faccia carico di bloccare il prezzo dell’energia e di riportarlo il più vicino possibile ai livelli pre-crisi, prima che diventi insostenibile per le famiglie e per le imprese. Se si può giungere a questo evitando di ricorrere ad un ulteriore scostamento di bilancio sarebbe naturalmente molto meglio, ma questo possono dircelo soltanto i tecnici del ministero dell’Economia. Rimane poi la necessità che l’Europa adotti in alcune materie strategiche, come l’energia, ma anche nella politica estera e in quella della difesa, del resto tutte strettamente collegate, una politica comune sorretta da processi decisionali più efficaci. L’eliminazione del diritto di veto insito nel metodo del voto all’unanimità attualmente in uso nell’Unione Europea con il passaggio ad un sistema di voto a maggioranza qualificata, e l’elezione diretta del presidente della Commissione europea sarebbero due passi essenziali nella revisione dell’architettura europea sulla strada della costruzione di una vera Unione di popoli».
È nata una polemica sullo stato di attuazione del Pnrr. Draghi dice che le scadenze sono state rispettate, la Meloni invece vede dei ritardi che paventa saranno addebitati al prossimo governo. Non c’è il rischio che la sinistra lavori in sintonia con qualche cancelleria europea per mettere il governo di centrodestra sul banco degli imputati, infischiandosene degli interessi del Paese? La Meloni ancora non si è insediata a Palazzo Chigi e già Letta dice che il prossimo governo durerà poco. Lei è stato vittima di un gioco del genere. C’è questo rischio?
«Prima di tutto è necessario che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rimanga quanto più possibile fuori dalla polemica politica. Le preoccupazioni espresse da Giorgia Meloni sono di tipo tecnico e richiedono risposte tecniche. Ma l’attuazione del Pnrr non può subire battute d’arresto. Sono risorse essenziali per fare ripartire l’Italia. Per ottenerle ho dato il massimo sostegno al governo dell’epoca, pur stando all’opposizione, ho speso tutto il mio prestigio e la mia credibilità presso i miei colleghi leader europei nel Ppe, per convincerli ad un atteggiamento di generosa apertura verso l’Italia. È stato un momento nel quale l’Europa ha dimostrato di sapere dare il meglio di sé. Sarebbe grave sprecare questa occasione per divisioni interne: il Pnrr è il piano Marshall della nostra generazione, quello con il quale l’Italia può davvero ripartire. Mi auguro che qualcuno nell’opposizione non tenti di mettere in pericolo tutto questo per un meschino calcolo di convenienza politica. Ho detto tante volte, e lo ripeto ancora, che spero invece si potrà mantenere con l’opposizione un rapporto corretto e leale, pur nella chiara distinzione dei ruoli, come si conviene ad una democrazia matura, nella quale l’interesse nazionale viene prima di tutto. Così abbiamo fatto noi quando eravamo all’opposizione».
Lei probabilmente ha il copyright dell’espressione «governo dei migliori», e non da oggi. Ora ci sono le disquisizioni su ministri «tecnici» e ministri «politici», un punto di equilibrio secondo lei quale potrebbe essere?
«È un dilemma che troppo spesso viene affrontato in modo sbagliato. Io credo che ogni governo sia un governo politico, perché si basa sulla fiducia del Parlamento. Esistono governi, come quello uscente, che, a fronte di situazioni eccezionali in questo caso la pandemia, hanno superato per un periodo limitato le ragioni di schieramento che dividono i partiti, come è normale in una democrazia, per essere espressione dell’Unità Nazionale. Il nostro invece sarà un governo politico che, tuttavia come il precedente, non rinuncerà a chiamare a raccolta le energie migliori del Paese, nell’economia, nella cultura, nella scienza, nell’impresa, nel lavoro. E alla guida dei ministeri dovranno andare persone che abbiano dimostrato concretamente di saper realizzare gli obbiettivi che si prepongono. Se saranno espressione dei partiti della coalizione questo garantirà un migliore raccordo fra l’attività di governo e quella della maggioranza che lo sostiene».
Altra questione sollevata sui giornali e dalla sinistra è la questione della nomina di Salvini al ministero dell’Interno, che ha tanto il sapore di un veto. Sono discorsi pretestuosi?
«Io credo che tutte queste discussioni siano soprattutto pettegolezzi. Non me ne voglia, direttore, ma lei è stato il principe dei cronisti parlamentari, la chiamavano lo squalo se ricordo bene. Sa bene quindi che in queste fasi i suoi colleghi giornalisti devono ricorrere ad illazioni per fare i titoli in attesa delle decisioni vere. Io non credo che Salvini faccia del ministero dell’Interno una questione personale. Credo che invece voglia la garanzia di una politica sull’immigrazione ferma e coerente. Una richiesta corretta, che condividiamo, anche se naturalmente non si possono ignorare i principi di umanità e di rispetto, che devono ispirare la nostra condotta, e che anche la Lega riconosce come giusti».
Sabato Meloni e Salvini sono venuti ad Arcore. In che clima si è svolto il vertice? Come è andata realmente?
«Il clima è sempre sereno perché abbiamo un rapporto cordiale e leale. Stiamo lavorando per far avere all’Italia il prima possibile un governo coeso e forte, capace di affrontare le sfide difficili dei prossimi mesi. Il governo che ci chiedono gli italiani».
Quali sono le richieste di Forza Italia sui ministeri e sui vertici delle Camere, in quali ruoli potrebbe contribuire di più al successo della coalizione?
«Anche questa, purtroppo, è una domanda ancora prematura. Non esistono liste della spesa di Forza Italia. Forza Italia mette a disposizione i suoi migliori parlamentari, da impiegare al meglio nel quadro di un assetto complessivo della squadra di governo. Posso dire solo due cose, in astratto, sul piano metodologico. La prima è che, a differenza di quanto si legge, non esistono, non possono esistere, fra partiti alleati, veti o pregiudiziali verso qualcuno. Se questo accadesse ma non è il caso nostro – non lo potremmo mai accettare. La seconda è che non procederemo con il manuale Cencelli in uso nella Prima Repubblica per spartire i posti di governo secondo i pesi delle singole forze politiche, ma utilizzeremo come primo criterio di scelta l’efficienza, la concretezza, la capacità di lavoro dimostrata nel tempo da ciascun candidato».