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 2022  ottobre 10 Lunedì calendario

Intervista a Jamie Lee Curtis

«I finali sono stronzi. Ma lo è anche Laurie Strode!»: basterebbe questa frase per raccontare il film Halloween Ends, 13esimo capitolo della saga horror creata da John Carpenter, nelle sale italiane dal 13 ottobre. Ma sarebbe un peccato: Jamie Lee Curtis, interprete di Laurie da 44 anni, ha dato spettacolo al New York Comic Con dove, presentata da Drew Barrimore, ha celebrato un viaggio professionale ormai inscindibile da quello personale. L’attrice ha tanta voglia di raccontarlo:
«Penso che Laurie Strode sia la sorella, l’amica, figlia, nipote di tutti. Rappresenta l’innocenza, la gentilezza. Quando incontra Michael Myers, che è l’incarnazione del male, cominci a fare il tifo per lei. A questo punto della mia vita non c’è più separazione: Laurie e Jamie sono la stessa cosa. Non avrei fatto nulla nella mia vita senza di lei: mi ha dato una carriera, una famiglia. Le devo tutto. So bene che, quando succederà – ho 64 anni, la matematica non è a mio favore – sul giornale ci saranno queste parole: muore l’attrice di Halloween. È un marchio indelebile».
È sempre stata come Laurie?
«Quando avevo 19 anni per niente: era soltanto un ruolo. Ero più simile al personaggio di Lynda: promiscua e irriverente. All’inizio mi ha attirato questo: non si vestiva come me, non avevamo niente in comune. Lei è quella che tiene il discorso di fine anno. Mi ha costretto a recitare. Halloween era il mio primo film: fingevo di sapere tutto ma non sapevo niente. John mi ha chiesto di renderla vulnerabile. Non sapevo nemmeno fare lo spelling della parola! All’epoca credevo fosse sinonimo di debole. Poi, quando ho assistito a una delle prime proiezioni con il pubblico, alla scena girata con la steadycam, che all’epoca era uno strumento nuovo, in cui viene ripreso il mio punto di vista, poi si torna sulla casa, poi di nuovo su di me, una donna si alza e urla: non entrare, c’è un killer lì dentro! In quel momento anche tutti gli altri hanno cominciato a gridare. Tutto il pubblico ha condiviso quell’esperienza horror. È in quel momento che ho capito cosa volesse dire John: Laurie doveva essere vulnerabile in modo da potersi affezionare a lei e non volere che le venisse fatto del male. Sono 44 anni che vi preoccupate per me».
All’inizio di questo percorso che consigli le hanno dato i suoi genitori, Janeth Leigh e Tony Curtis?
«Mia madre ha capito presto che ero insicura: mi vestivo come le ragazze che mi sembravano più popolari, perché non sapevo chi fossi. A un certo punto mi ha detto: sii te stessa e basta. Sapeva che era quello di cui avevo bisogno. Mio padre invece, sarò onesta, non lo conoscevo bene. Ma mi ha detto due cose importantissime per la mia carriera: di non farmi mai riprendere con una lente inferiore ai 50mm, perché non si viene bene. E aveva ragione. La seconda: ogni volta che firmi un contratto ci sono le parole "in perpetuity", che significa per sempre. Il tuo lavoro su quel set è dello studio per sempre. Un monito per ogni volta che scelgo un film. Evidentemente non l’ho ascoltato quando ho girato Virus».
Halloween Ends è l’ultima parte della trilogia firmata da David Gordon Green: come è stato scriverla insieme?
«David, che mi ha fatto conoscere Jake Gyllenhaal, di cui sono la madrina, ha sempre avuto le idee chiare: per lui Laurie non è mai riuscita a superare il trauma. A 17 anni si è salvata, gli amici sono morti, è tornata a scuola e nessuno ha riconosciuto il suo dolore. È diventata la freak, la sopravvissuta. Per 40 anni ha saputo, senza che nessuno le credesse, che Michael Myers sarebbe tornato. David mi stava proponendo un film su una donna che decide di prendere il controllo della propria vita: ed è coinciso con la nascita dei movimenti #MeToo e #TimeSUp. È stato quasi preveggente. L’ha rifatto con Halloween Kills: mostriamo le persone che si ribellano alla polizia e alle forze dell’ordine. In contemporanea ci sono state le proteste per l’omicidio di George Floyd. Poi c’è stato Capitol Hill».
In Halloween Ends Laurie ce la farà finalmente a uccidere Michael?
«L’intera città di Haddonfield si rivolta proprio contro di lei, la cui vita è stata rovinata da Michael Myers. Mostriamo le conseguenze della violenza sulle persone, come trattiamo le vittime. Questi film sono molto più di urla e sangue: parlano di chi siamo. E Laurie Strode, nonostante tutto, è una che non si arrende mai: penso sia questo il suo messaggio. Non mollare mai. In questo film finalmente sorride. Non credo che l’abbiamo mai vista farlo. Lo fa per un secondo, prima che cada il sigillo sulla saga».