La Stampa, 9 ottobre 2022
Intervista a Renzo Arbore
Il padre lo rimproverava: «Invece di studiare vai appresso alla musica!». Renzo Arbore, nonostante studi regolari e laurea, appresso alla musica c’è sempre stato. E a furia di starci appresso è diventato uno dei massimi conoscitori di pop, soul e jazz nonché cultore della canzone napoletana. Passione generosa e lungimirante. Invece di tenere tutto per sé, ha regalato alle Teche Rai l’immenso materiale condiviso con il suo Channel Tv, fatto di concerti, testimonianze preziose. E così Arbore si consegna all’eternità. E da domani per Rai Cultura debutta su Rai 5 in seconda serata con il programma che non a caso si intitola: Appresso alla musica, in due si racconta meglio, secondo comandante il suo sodale Gegé Telesforo. Venti puntate dal lunedì al venerdì con i i materiali di repertorio rimasterizzati, di D.O.C., ideato e condotto con Monica Nannini e Telesforo in onda dall’87 all’89. «Ma regaliamo anche un repertorio inedito, di "memorabilia" irripetibili».
Arbore, di che cosa va più orgoglioso?
«Del lavoro. Sono conosciuto per Quelli della notte e Indietro tutta ma io ho inventato 25 format per la tv e per la radio, ho lanciato tanti talenti con L’altra domenica, ho lavorato con Corrado, Gigli, Luttazzi. Ci abbiamo messo due anni io e Telesforo per riorganizzare tutto il materiale. Orgoglio anche per la mia Orchestra Italiana. Abbiamo lavorato dal 1991 al 2021, sessanta concerti all’anno, in Italia e all’estero, l’orchestra più longeva del mondo».
Con chi ha avuto più feeling?
«Con Lucio Dalla si era stabilito un rapporto di amicizia, anche con Jannacci. Grande simpatia con Dee Dee Bridgewater, James Brown, Dizzy Gillespie, Miles Davis, Solomon Burke, Rufus Thomas, Pat Metheny, Manhattan Transfer, Chet Baker, l’armonicista Toots Thielemans, Joe Cocker, Jimmy Smith...».
Il meglio della musica mondiale. Le manca tutto questo?
«Moltissimo».
Dai suoi programmi cult pare non sia passato un giorno...
«Già dagli inizi della mia carriera ho lavorato perché il mio repertorio sopravvivesse al 2050. Non sono mai andato dietro alla moda. Anche il pubblico presente nelle trasmissioni non ha età: jeans e camicia a quadri gli uomini e anche le donne con vestiti classici. Ho sempre rincorso l’evergreen, le mode non le ho neppure anticipate, non mi interessano».
Cosa vuole fare con questo programma?
«Recuperare ai giovani il repertorio brillante, un’operazione che investa il pop e il jazz che fa parte della nostra cultura. Non per nostalgia ma per andare avanti forti del passato».
Tra i ricordi più belli?
«Le improvvisate. Piero Angela al pianoforte con Dalla al clarinetto, Mina che venne a cantare accompagnata dal più grande flautista italiano, Gino Marinacci. James Brown che non aveva capito d’essere stato invitato per cantare due o tre canzoni ed era partito per un concerto intero e non sapevamo come fermarlo, un timidissimo Romano Mussolini».
È vera quella gaffe con Romano Mussolini?
«Sì, per dire quanto i jazzisti vivano fuori dal mondo. Un collega lo doveva incontrare a Milano e gli diede appuntamento a Piazzale Loreto. Lui si limitò a dire "Non mi sembra il caso"».
Lei era anche molto amico di Gigi Proietti. A casa della comune amica Marisa Laurito si suonava fino all’alba vero?
«Molto amici. Improvvisavamo cantando vecchie canzoni d’epoca, io napoletane, lui romane. Una gara di risate».
Benigni l’ha lanciato lei...
«Lui è sempre molto affettuoso con me, memore di tutto quello che abbiamo combinato per L’altra domenica».
Lo sa che lo sketch con Carlo Verdone garibaldino sopravvissuto e lei lo intervista ai giorni nostri era il preferito di un passato premier e di un passato pontefice?
«Ma pensa, non lo sapevo. Io pensavo fosse più famosa quella, sempre con Verdone, di Padre Severino al conclave».
La sua satira non è mai legata a l presente. Lo fa sempre per arrivare al 2050?
«Non mi piace fare satira del contingente. Forse non lo so fare. Non metto quasi mai richiami all’attualità, i miei personaggi sono inventati. Si fa per non invecchiare, l’ho imparato da Walter Chiari».
Oggi chi le piace?
«Ho visto con piacere quel Claudio Lauretta che mi imita, bravissimo. Mi piacciono Lillo e Greg. Il più vicino a me è certamente Fiorello per le sue improvvisazioni curiose. Ma si ride ancora con Frassica, il ricambio non c’è e lo stand up è un’altra cosa. Ora tengo d’occhio Stefano De Martino, sorridente, capace».
E tra le donne?
«Non vedo un’altra Raffaella Carrà».
Che televisione guarda?
«La fiction quando è buona e la tv della parola. Dunque ahimè, vedo i talk politici perché è televisione pura. E visto che il varietà non esiste più, vedo i talent, X Factor, Tu si que vales, Amici e Mara Venier per la conversazione sorridente. Lei me ne riconosce la paternità. Le ho sempre consigliato di non ingarellarsi con le urlatrici e trovare una formula gentile».
E adesso?
«Adesso sono stato insignito della massima onorificenza della Repubblica, Cavaliere di Gran Croce. Ho chiesto a Mattarella perché l’hanno data a me, lui mi ha risposto che è per tutta la mia attività. Ne sono felice, spero c’entri anche l’impegno per la Lega del filo d’Oro, per le persone sordocieche a cui sono vicino da anni. E poi Casa Arbore a Foggia, a Palazzo Dogana, un museo con tutte le mie collezioni di modernariato, la plastica, i gilet, le radio americane».
Che cosa le manca?
«La famiglia, non ho fatto a tempo. Mi sono distratto».
In compenso tanti amici.
«È tanti ne ho persi, De Crescenzo, Boncompagni, Marenco, Proietti. Mi difendo dalla malinconia lavorando».