Corriere della Sera, 9 ottobre 2022
Storia del ponte di Kerch
Adesso che avete visto i nostri tank prendere il ponte di Kerch e tornare a casa, disse una sera la portavoce putiniana Maria Zakharova, «vi sarà chiaro che non c’è in programma alcuna invasione dell’Ucraina». Era il 16 febbraio, otto giorni prima dell’attacco, e su quel ponte i russi stavano simulando un ritiro dalle esercitazioni militari. Una colonna illuminata di fari rosa, a uso tv, per rassicurare il mondo. Una sceneggiata, naturalmente: «Ora – fu sarcastica la solita Zakharova – vorrei chiedere alle fonti di disinformazione americane e inglesi di pubblicare anche il programma 2022 delle nostre invasioni. Sapete, mi piacerebbe pianificare le mie vacanze…». Non le farà in Crimea. L’esplosione sul ponte più lungo d’Europa – che Putin inaugurò di persona fra mille fanfare, quattro anni fa, guidando per 19 km il primo camion autorizzato a percorrerlo – ha tagliato fuori i 50 mila russi che ancora stavano svacanzando in Crimea, ha di nuovo isolato la Penisola dalla grande madre Russia che l’aveva annessa nel 2014, ma soprattutto ha spiazzato il Cremlino. Perché c’erano voluti tre miliardi e mezzo di dollari e cinque anni di cantieri aperti h24, per obbedire all’ordine del Capo. Ed è bastato un altro camion, ben imbottito di tritolo, a interrompere il sogno che i russi inseguono da più di cent’anni: una via più corta dove far passare merci e persone; una serie di campate per i treni e i tir che da Krasnodar raggiungano rapidi il porto di Sebastopoli; un cordone ombelicale con l’Ucraina invasa. Non fu un’impresa facile, alzare gli stralli, e prima di Putin ci avevano già provato un po’ tutti. Senza riuscirci: gli inglesi per collegarsi meglio alle Indie, lo zar Nicola che dovette poi dirottare i soldi sulla Grande guerra, i nazisti della Wehrmacht che l’abbatterono per garantirsi la fuga, i genieri di Stalin che sbagliarono i calcoli… Dicono che il leader del Cremlino volesse chiamarlo ponte della Pace, ma forse perfino lui capì quanto il nome fosse fuori luogo. «Dopo l’incrociatore Moskva e il ponte di Kerch – ora si chiede retorico il ministro della Difesa ucraino —, a chi toccherà adesso» il prossimo blitz sul Mar Nero? Una mezza risposta ce l’aveva già data venti giorni fa Mykhailo Podolyak, il consigliere di Zelensky, preannunciando al Corriere che questa «costruzione illegale» sarebbe stata colpita: «Non dovremmo fissare la nostra attenzione solo sul ponte – avvertì —. In Crimea crescono i gruppi di sabotaggio. E ci sono molte cose da fare: per esempio, farci restituire le nostre basi militari nella Penisola».