La Lettura, 9 ottobre 2022
Su "La vedova" di José Saramago (Feltrinelli)
Il libro è un oggetto generalmente rettangolare, ma la sua anima è senz’altro rotonda. Quindi, il ventiquattrenne José Saramago non poteva di certo immaginare che fine avrebbe fatto il suo romanzo di esordio: sin dove sarebbe arrivato. Era un semplice praticante scrivano nei servizi amministrativi degli ospedali civili di Lisbona, aveva lavorato anche come apprendista fabbro nelle officine degli stessi ospedali. Eppure amava leggere e, quando poteva, si infilava nella biblioteca comunale di Galveias. Un giorno un collega di lavoro gli prestò 300 scudi che andarono tutti in libri.
Fu a forza di leggere che Saramago scrisse il primo romanzo, La vedova. Era il 1947 e sul suo cammino apparve Manuel Rodrigues della Editorial Minerva. Era giovane, essere pubblicato gli sembrò un miracolo, e così accettò di non prendere un soldo di anticipo e nemmeno di poter pretendere eventuali diritti d’autore futuri. Non solo: il titolo all’editore non piacque, lo trovava poco attirante e glielo cambiò in Terra del peccato. Questa fu l’unica cosa che gli andò di traverso: l’aveva scritto con quel titolo e ora gli sembrava di veder pubblicare il romanzo di un altro. Forse fu proprio per questo che una notevolissima prima prova — e non a caso dell’autore che sarebbe diventato il più importante scrittore portoghese, nonché premio Nobel — si ritrovò addosso un vento contrario che non la fece arrivare da nessuna parte. Terra del peccato passò inspiegabilmente inosservato, non ebbe una recensione. Qualche buona parola da parte di pochi addetti ai lavori e nient’altro. Solo un precoce oblio.
Per questa feroce e bruciante ferita Saramago non scrisse più nulla per molti anni, convinto ormai che se c’era un mestiere per il quale non aveva nessuna dote era proprio quello dello scrittore. Si dedicò così al giornalismo, alle traduzioni, divenne direttore del «Diario de Lisboa». Lottò contro il regime di destra di António de Oliveira Salazar patendone persecuzioni e censure. Il futuro Nobel si dedicò all’osservazione del mondo facendosene un’idea molto problematica. Solo dopo il 1974, con la Rivoluzione dei Garofani e la fine della dittatura, Saramago riprenderà a scrivere creandosi uno stile post-rivoluzionario che avrebbe messo per sempre in primo piano il fattore umano e la lotta per l’uguaglianza.
L’opera sfortunata ora viene finalmente pubblicata per la prima volta in Italia con il suo vero titolo, La vedova, in occasione del centenario della nascita, che cade il 16 novembre. I temi più cari all’autore portoghese ci sono già tutti: la passione, la terra, il doppio, le ingiustizie. Forse è lo stile che è ancora molto classico, più vicino a Eça de Queiroz e a Camilo Castelo Branco. Non c’è ancora la virgola al posto dei due punti prima del discorso diretto che, pur non andando a capo, fa sì che il lettore mai si perda, anzi, sembra sempre agevolarlo in un ipnotico flusso di coscienza.
L’ottocentesca storia di La vedova si svolge in una tenuta di campagna. I personaggi non sono molti, ma i fondamentali solo cinque: Maria Leonor che rimane subito vedova del marito Manuel, il cognato António, il medico, il prete e Benedita, la sua domestica personale. Prima dei funerali c’è la disperazione della moglie gettata sul corpo senza vita del marito, mentre Benedita, non vista, ne bacia la mano che pende sul pavimento. Ormai è morto, non è più di nessuno e lei lo ha sempre segretamente amato. Maria Leonor cade in una prostrazione che le fa dimenticare tutto, anche i suoi due bambini, e Benedita le è accanto, la ammira, la adora, condivide la disperata sofferenza della sua signora che finirà con l’ammalarsi gravemente, quasi a perdere la vita per l’amato marito. Ma che ne sarà della tenuta e di tutti i suoi lavoratori così fedeli? Benedita dà forza a Maria Leonor, la veglia notte e giorno. Sono la stessa persona. Sono in un certo senso le vedove.
Guarita, Maria Leonor sentirà la voglia di prendere in mano le redini della tenuta ma con l’arrivo della bella stagione sentirà nascere in lei anche altri, antichi languori. Possibile mai che dopo nemmeno sei mesi senta già la mancanza di un uomo? È quel che dicono le donne in cucina, e Benedita le schiaffeggia. Come osano fare certi pensieri su una santa? Ma il tarlo si insinua in lei. D’inverno c’era la terra fangosa e bagnata, in primavera le zolle morbide. La terra «è sempre un appello muto a tutti i muscoli umani». D’estate, un ansimare notturno desterà Maria Leonor che spierà l’amoreggiare di una sua domestica con un lavoratore. Quella notte, dopo tanto tempo, si addormenta appagata. Il desiderio è forse tornato? Ciò che non può immaginare è la reazione del suo doppio: Benedita. La terra è di chi la possiede, uguaglianza non ce n’è. In questo caso, però, e quasi streghescamente, il dominio passa nelle mani della sottoposta. È come se Benedita riuscisse a leggere i pensieri della sua signora, a provarne vergogna e a trasmettergliela. Da quasi sorelle che erano, dopo la morte del marito tra di loro nasce un odio furibondo.
Due uomini appaiono nella vita di Maria Leonor. Il desiderio cresce insieme ai profumi intensi e dolciastri della terra d’estate, eppure, con la voluttà nasce anche il disgusto. Com’è possibile? Chi è entrato dentro di lei? Sembra una donna soggiogata. Si dimena. Lei, soltanto lei è padrona del suo destino. «Benedita, e se mi risposassi?». Certo, in quel caso in paese correrebbero voci meno maligne. E Benedita, piangendo, la abbraccia. Se proprio vuole, se proprio deve farlo... Ma tutto andrà in altro modo. Il suo doppio prenderà il sopravvento, e Maria Leonor non ne sarà nemmeno cosciente.
Saramago non ha mai voluto ripubblicare questo bellissimo romanzo. Sentiva che gli era stato ostile. Perché rischiare? E non ci fu verso di fargli cambiare idea. A 12 anni dalla sua morte, la saggezza della moglie Pilar del Rio ci regala invece questo sontuoso esordio. Dobbiamo essergliene profondamente grati.