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 2022  ottobre 09 Domenica calendario

Biografia di Giangiacomo Feltrinelli

Senior Service
Carlo Feltrinelli
Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Nuova edizione aggiornata
Prima edizione in “Varia” marzo 2022
Euro 25,00
583 pg.
 
Carlo Feltrinelli (1881-1935), padre di Giangiacomo. Media statura, calvizie precoce, naso aquilino, baffo sottile come si portava all’epoca. Rimasto orfano di padre all’età di 15 anni, fu cresciuto dalla madre, Maria Pretz, bolzanina, che gli parlava in tedesco, e dallo zio Giacomo.
 
Alla fine dell’Ottocento, in casa Feltrinelli, adulti e bambini sottoscrivevano un codice di comportamento. Multe: 10 centesimi di punizione per chi si reca in cucina senza ragione (articolo 3), ma anche per chi osa parlare più di tre volte in italiano durante il pranzo (articolo 5), 20 centesimi per chi tocca le donne (articolo 9), 2 centesimi per chi si mangia le unghie (articolo 10), 20 centesimi per chi lascia accesa la luce quando non occorre. Di converso: presentarsi nell’ordine giusto (per età) all’ora di colazione vuol dire 5 centesimi di gratifica, non farsi rimproverare per l’intera giornata ne vale 10 e con almeno tre nove nella settimana scolastica si ricavano 30 buoni soldi.
 
Poco dopo la morte di Giovanni, Giacomo Feltrinelli prese con sé il pronipote Carlo per un viaggio in Europa. Tra le varie tappe, trascorsero due settimane a Karlsbad, dove lo zio si concedeva ogni anno una cura d’acque. Durante un pranzo, al ristorante dell’albergo, fu chiesto a Carlo cosa desiderasse. «Un petto di pollo», rispose timidamente. I camerieri portarono una poularde intera e, dopo che Giacomo si fu servito, lasciò che Carlo lo imitasse, aggiungendo solo: «È stata tutta pagata, ora devi finirla». Carlo non osò disobbedire, il resto del pollo fu inghiottito con notevole sforzo e la cosa gli rimase in mente.
 
Secondo Giannalisa Feltrinelli, madre di Giangiacomo, il capostipite dei Feltrinelli fu tale Pietro da Feltre, vissuto intorno al 1500. Ad ogni modo, coloro che sul Garda vivono di legname si sono sempre detti originari di Feltre (Feltrinéi), che sarebbero giunti sul lago per costruire le navi della Serenissima.
 
Giacomo Feltrinelli, prozio di Giangiacomo. Classe 1829, ultimo di tredici fratelli. Primo lavoro a dodici anni: vende il tre per sorta – misto di farina gialla, farina bianca e riso – sulle strade di Gargnano, sulla sponda bresciana del lago di Garda. Anno 1846: primo deposito di legname legato al nome Feltrinelli, a Desenzano, gli alberi vengono abbattuti nei boschi dietro casa e trasportati fin lì via lago. Sono gli anni d’oro dello sviluppo edilizio, delle industrie e delle ferrovie. Serve legno, legno, legno. Legno per i ponteggi, legno per le traversine, tutti non vogliono che legno. I Feltrinelli si specializzano nel legno di abete, ne importano dalla zona di Trento, su fino alla Val Pusteria. Anno 1857: la ditta si trasferisce a Milano. Anno 1870: la rete ferroviaria nazionale è triplicata rispetto a dieci anni prima, servono traversine, le foreste italiane (poco estese e poco sfruttabili) non bastano più. Primi anni ‘80: la Feltrinelli legnami ha quindici filiali in Italia e diverse agenzie commerciali in Austria-Ungheria e nei Balcani, la strategia è assicurarsi il controllo diretto delle fonti di approvvigionamento. Acquisizioni di interi boschi in Carinzia, investimenti per ferrovie a Vienna, a Salonicco, in Sicilia, in Calabria, etc. Le cose vanno così bene che bisogna differenziare gli affari. Anno 1889: Giacomo crea la Banca Feltrinelli. Anno 1896: la banca investe nell’attività dell’ingegner Giuseppe Colombo, fondatore della Edison di Milano, prima società elettrica italiana. Negli stessi anni: investimenti nel settore tessile, con il Cotonificio Feltrinelli; nel settore dei trasporti, con la Società per la Navigazione sul lago di Garda. All’inizio del Novecento nascono le società immobiliari dei Feltrinelli: la Compagnia per le imprese e costruzioni, l’Edilizia per il centro di Milano, la Società italiana per il commercio degli Immobili; acquistati ventiquattro lotti per complessivi 115 mila metri quadri al Testaccio, a Roma; il semicerchio che racchiude piazza Esedra (oggi piazza della Repubblica), sempre a Roma, rilevato dopo il fallimento della Banca Tiberina al costo di 271 mila lire. Giacomo è diventato uno dei più importanti borghesi italiani, senza perdere però un certo senso contadino di chi sa dove trovare il vero bardolino, e che sa anche come travasarlo, trasportarlo, farne uso. Alla sua morte (1913) i giornali parlano di lui come un «singolare esempio di self made man» e lo definiscono «uomo più ricco di Milano». L’Illustrazione italiana del 9 marzo 1913 valuta il suo patrimonio personale in sessanta milioni di lire.
 
Carlo Feltrinelli (1881-1935), padre di Giangiacomo. Vive e ha il suo ufficio in un palazzo di via Andegari, a Milano, adiacente alla Scala. Uomo schivo, serio, calmo, riflessivo, spiritualmente aristocratico, parlava poco, per niente brillante. L’avvocato Edoardo Majno: «La sua operosità era sentita e professata come un’attività tecnica, alla quale si dedicava per imperioso dovere e per un’alta consapevolezza della sua funzione ed importanza sociale. Ma senza attendersene e, purtroppo, senza averne gioia per sé. Restandosene, col suo spirito, come al di fuori, chiuso nella ritirata modestia della sua vita e in una costante pacata amarezza». Grandi successi commerciali. Importazioni di legname: dall’Europa l’abete, il faggio, il rovere; dall’America del Nord il pitch-pine, il douglas, l’iroko; dall’Asia il teak, dall’Africa il mogano. Acquisisce la maggior società austriaca di sfruttamenti boschivi. Nel 1932 ottiene l’esclusiva per l’importazione di legname dall’Unione Sovietica. Dagli Stati Uniti, ottiene una delle prime licenze della Masonite Corporation per produrre pannelli in fibra. Ha interessi in Bulgaria, Grecia, Turchia, Egitto, Siria, Africa Orientale. Finanzia: le acciaierie Falck, imprese di costruzione, imprese di bonifica, imprese chimiche, tessili, edili. Sul finire degli anni Venti è presidente della Edison e del Credito Italiano, seconda banca a livello nazionale. Tramite lo sfruttamento delle risorse idriche in Stiria illumina mezza Austria. Il Times calcola il suo patrimonio in ottocento milioni di lire. Si sposa oltre i quarant’anni, unica amicizia femminile: una nobildonna di origine russa, Ljuba Aleksandrovna, alla quale lo unisce la passione per la musica colta. A chi lo accusa di essere avido, di pensare solo al denaro e di essere insensibile agli impulsi del cuore, risponde: «Amministrare il patrimonio è necessario; si vorrebbe che io lavorassi per diminuirlo? che facessi gli affari per perdere?».
 
Pietro Feltrinelli, classe 1885, zio di Giangiacomo. Presidiava le riserve forestali in Transilvania. Morì suicida all’età di ventotto, perso d’amore per una ballerina rumena.
 
Giuseppe Feltrinelli, detto Bepi, zio di Giangiacomo. Si occupa dei traffici in Europa Orientale, vive tra Vienna e Villaco e da lì tratta le forniture di legname per l’Italia. Nel tempo libero va a caccia: galli cedroni, cinghiali, volpi, caprioli, cervi, lepri, mufloni. Ogni volta che rientra in Patria, si fa vedere in compagnia delle signore più belle. Si narra che una volta, alla stazione di Roma, il capotreno accorse tutto in affanno per domandargli se, per favore, potesse concedere al poeta D’Annunzio Gabriele di usufruire di un posto nel suo scompartimento (o forse era la sua carrozza personale). «Non conosco» pare sia stata la risposta. La sua vita è segnata quando decide di prendersi cura di un cucciolo di orso, abbandonato dalla madre, trovato nella valle dei Cervi, sulle Dolomiti. Il piccolo, crescendo, gli si affeziona per davvero. Al punto che una sera, vedendo il padrone rientrare dopo un lungo viaggio, lo accoglie con tanta esuberanza da ferirlo male a una spalla. Bepi cura con la morfina il dolore dei profondi colpi d’unghia, fino a non poterne più fare a meno. Muore nel 1918 a Roma dopo un’ultima iniezione. Ha trentacinque anni.
 
Antonio Feltrinelli, detto Tonino, zio di Giangiacomo. Vive rintanato sul lago di Garda. Gli piaceva dipingere a olio. Sposatosi con la contessa Luisa Doria, ebbe frequenti scontri con la vedova di Carlo e, non avendo figli, per dispetto lasciò cospicua parte del suo patrimonio (tra cui la maggioranza della Fratelli Feltrinelli legnami) all’Accademia dei Lincei. Muore nel 1942. Una camionetta militare lo investe vicino a Brescia, fratturandogli numerose costole. Gli prescrivono impacchi a base di pepe, per alleviare il dolore. Finisce tutto in setticemia nel giro di una settimana. Dicono a Gargnano che, quando deposero Tonino nella bara, il corpo si aprì in due. Pieno di vermi.
 
Giannalisa Gianzana, una delle figlie del direttore centrale della Banca commerciale, al ginnasio era compagna di Dino Buzzati.
 
Giangiacomo e Antonella Feltrinelli furono tirati fuori con il forcipe.
 
Fuad, re d’Egitto, parlava con molta difficoltà per una pallottola infissa nell’esofago a causa di un attentato alla sua vita.
 
«Di ritorno al Cairo affascinata dagli arabi e dalla loro abilità proposi a Carlo di portarne uno a Milano, ma Carlo con molta dolcezza mi fece capire che avremmo avuto la casa infestata d’arabetti» (dal libro di ricordi di Giannalisa Feltrinelli).
 
Nel gennaio 1928, in vacanza a Luxor, una guida araba avvertì Giannalisa Feltrinelli di non visitare la tomba di Tutankhamon, perché le avrebbe portato sfortuna. Lei ignorò il consiglio e entrò nella tomba, non aveva mai creduto a queste cose. Mesi dopo, il 21 novembre 1918, durante una battuta di caccia al fagiano al castello della Mandria, cui partecipavano i Duchi di Pistoia e il Principe di Piemonte, tale Carlo Orsi (amministratore delegato del Credito Italiano di Milano, di cui Carlo Feltrinelli era presidente e all’80% proprietario) le sparò un colpo diretto al viso poi fuggì in automobile così di fretta che il suo autista travolse e ferì un uomo. Un incidente? Un raptus passionale? Sia come sia, dovette arrivare uno specialista dalla Svizzera, che le asportò l’occhio destro e gliene innestò uno di vetro. Nonostante tutto, Giannalisa non volle mai rinunciare alla caccia. Prese a portare un monocolo per nascondere il bulbo. Ordinò che il cannocchiale del suo fucile coincidesse con l’occhio sinistro. Ma il marito le impose una condizione: solo nelle proprietà di famiglia.
 
Tra il 1925 e il 1926, insieme a Giovanni Agnelli, Riccardo Gualino, Piero Puricelli, Giovanni Lancia, Piero Pirelli, Silvio Crespi, Feltrinelli compare tra i promotori della S.A. Autostrada Milano-Torino, all’epoca la più lunga d’Italia (125,8 km).
 
Ottobre 1934. Il regime vara una legge che impone di dichiarare ogni bene detenuto all’estero. I Feltrinelli sono preoccupati, Carlo si impegna, il fratello Antonio e la madre ottantenne, Maria von Pretz, si oppongono. Nel 1935, corrompendo gli impiegati del Bankverein di Zurigo, le autorità scoprono che le dichiarazioni patrimoniali dei Feltrinelli non corrispondono a verità. Scandalo. Maria von Pretz avrebbe 165 chili d’oro e titoli esteri per due milioni di lire depositati in Svizzera, lei dice di non ricordare, Carlo promette di far trasferire tutto in Italia. Il 6 novembre è a Roma per tentare una mediazione, poi rientra a Milano. Angelo Beneduce, ricevuto mandato dal governo di costringerlo alle dimissioni da ogni carica nell’Iri, lo riceve il giorno 7 alle 18 nella sede della Bastogi. Feltrinelli ci va con l’amministratore delegato della Edison Giacinto Motta, influente compagno di tante imprese. Le parole che deve ascoltare sono pronunciate con comprensione, ma risultano chiarissime. A Carlo manca il fiato, il sangue scorre a mille, improvvisamente si accascia. Col suo principio di infarto o embolo, è scortato da Motta in via Andegari. La signorina Teresa, sua segretaria, vede portare il corpo fino alla camera da letto. Giannalisa chiama il primario e dice ai bambini di non fare rumore: papà ha un forte mal di testa. La sera successiva Carlo Feltrinelli è clinicamente morto; quarantotto ore prima aveva suonato il pianoforte per l’ultima volta. Aveva cinquantaquattro anni.
 
Alla morte di Carlo Feltrinelli, Antonio Feltrinelli, il fratello, e Mino Genziana, insistono per occupare le cariche sociali rimaste scoperte. Ma Giannalisa vuole fare di testa sua.
 
Rimasta vedova, per passare il tempo Giannalisa Feltrinelli faceva la volontaria nell’istituto di un celebre biologo milanese impiegato nello studio dei tumori. Suo compito: iniettare il cancro ai conigli.
 
Giangiacomo e Antonella Feltrinelli non andarono mai a scuola per più di un semestre. Giannalisa, che si spostava di continuo tra la villa vicino all’Ippodromo di San Siro, a Milano, e la villa sull’Aventino, preferì precettori privati.
 
Di Luigi Barzini jr. i colleghi dicevano che «vestiva come un bianco», perché aveva sempre l’aria del negro vestito all’europea.
 
Nell’aprile 1940 Giannalisa vedova Feltrinelli sposò Luigi Barzini jr. nella Cattedrale di Sant’Andrea ad Amalfi. Lei portava un vestitino bleu marine a pois bianchi e un cappellino di paglia dello stesso colore. Giangiacomo e Antonella, vestiti da paggetti, dovettero lanciare monete d’argento quando gli sposi affrontarono le scalinate. Ridda e stupore tra i ragazzetti del luogo (Il matrimonio fu in seguito annullato dalla Sacra Rota).
 
Prima di partire per il viaggio di nozze Luigi Barzini jr. fu arrestato dai fascisti: secondo le accuse, durante un viaggio a Londra come inviato del Corriere, avrebbe fatto filtrare informazioni utili per il governo di Roma. Barzini jr., grazie alle amicizie del padre, ottenne di essere confinato proprio ad Amalfi, presso l’Hotel dei Cappuccini, naturalmente con signora.
 
Nel 1940, grazie a un generoso assegno, Giannalisa ottenne per il figlio Giangiacomo il titolo di marchese di Gargnano.
 
Una volta Luigi Barzini jr. ordinò alla servitù di far apporre al fondoschiena di due muli un sacco, perché non sporcassero.
 
Giangiacomo Feltrinelli odiava, ricambiato, Luigi Barzini jr. Il padrigno e la madre non esitavano a infliggergli punizioni umilianti, come chiuderlo in cantina per giorni a pane e acqua. Da allora iniziò a soffrire di claustrofobia.
 
Giangiacomo Feltrinelli, a 17 anni, fuggì di casa durante un bombardamento.
 
Giannalisa Feltrinelli era così monarchica che, alla vigilia del referendum del 2 giugno, si impegnò nella campagna elettorale: lanciava personalmente volantini filosabaudi dal finestrini della sua auto.
 
Pare che Giannalisa Feltrinelli, quando andava a trovare Umberto II in esilio a Cascais, per attenuargli la nostalgia, gli portasse in regalo forme di gorgonzola.
 
La madre di Armando Cossutta accoglieva i compagni del figlio a colpi di pasta e fagioli. Pare fosse squisita.
 
Primo matrimonio di Giangiacomo Feltrinelli: con Bianca Dalle Nogare, nel luglio 1947. Nozze civili, senza fotografi, senza invitati. Unico parente di lui: il nonno Mino Gianziana. Dopo il sì, gli sposi tornarono ciascuno a casa propria. Si ritrovarono solo il giorno dopo e partirono per il viaggio di nozze: a Praga, dove c’era un festival della gioventù comunista. Ci andarono in Buick decapottabile, portandosi dietro il cane, un pastore tedesco di nome Gisa.
 
Antonella Feltrinelli, sorella di Giangiacomo, appena diventata maggiorenne, si trasferì a Parigi, sposò André D’Ormesson, figlio dell’ambasciatore francese in Vaticano. Dalla Francia, citò in giudizio la madre, colpevole di una scorretta attribuzione dell’eredità paterna (anche Giangiacomo era ugualmente danneggiato, ma lasciò perdere).
 
Verso la fine degli anni ‘40 Feltrinelli girava con una Buick decapottabile color carta da zucchero. Non esistendo ancora gli sbrina-vetri, d’inverno, perché il parabrezza si sgelasse, bisognava salire sul cofano e pisciarci sopra.
 
Palmiro Togliatti cenava sempre volentieri alla “Brasera Meneghina” quando passava per Milano. Gli ricordava l’epoca in cui faceva l’Unità, a metà degli anni Venti. Suo piatto preferito: ossobuco con il risotto.
 
Scheda autobiografica redatta da Giangiacomo Feltrinelli ventiquattrenne. NdJS. Salvato in Frammenti.
 
Pietro Secchia, numero due del P.C.I. Abitava a Monte Sacro, nello stesso condominio di Togliatti, al piano di sopra, a controllare lui e tutta la rete del partito. Suo motto: «Una sezione per ogni campanile».
 
Alla fine degli anni Quaranta Giangiacomo Feltrinelli si ritrovò a essere socio del Vaticano. L’azionariato della Banca Unione (Banca Feltrinelli fino al 1918), era diviso tra Giangiacomo, Antonella, Giannalisa Feltrinelli, la Bastogi e lo IOR. Dunque: un giovane comunista in pieno periodo staliniano era azionista principale di una banca d’affari spalla a spalla con un rappresentante della Santa Sede, socio di minoranza. Non poteva durare. Giannalisa fece di tutto per escludere il figlio dal consiglio di amministrazione. Lui, nel 1953, cedette il suo pacchetto di azioni.
 
Dal 1948 Giangiacomo Feltrinelli, «forte finanziatore» del P.C.I., era controllato sistematicamente dalla questura di Milano.
 
Definizione di marrone: refuso, di quelli che spariscono alla vista di redattori e correttori e che, a stampa avvenuta, con i libri belli, legati e copertinati, restano sfrontatamente vistosi come per dispetto.
 
Sabato 18 giugno 1955. Escono i due primi libri della casa editrice Feltrinelli. Sono Il flagello della svastica di Lord Russell di Liverpool (tradotto da Liciano Bianciardi) e la Autobiografia di Jawaharlal Nehru.
 
I tre filoni principali perseguiti dalla Feltrinelli. Primo: l’antifascismo. Secondo: la ricerca di una forma di coesistenza tra Paesi di diverse strutture economiche e politiche. Terzo: la possibilità per i Paesi del Terzo Mondo, che uscivano allora dal colonialismo, di trovare un proprio assetto e di inserirsi con forza nel sistema politico mondiale.
 
Nel 1955 Indro Montanelli scrisse a Claire Luce, ambasciatrice americana a Roma, che voleva candidarsi alla clandestinità terroristica prima che fosse troppo tardi con i comunisti.
 
Giorgio Bocca descrive la Milano del 1955: «Quella Milano aveva un cuore capitalistico, una retorica socialdemocratica e una cultura radicale. Il cuore stava in piazza degli Affari, nei grandi palazzi delle banche e delle assicurazioni, nella Borsa, negli uffici degli agenti di cambio. La retorica socialdemocratica aleggiava in municipio, alla Scala, all’Umanitaria, negli uffici benefici dei Martinitt o del Pio Albergo Trivulzio, nelle conferenze dell’Azienda elettrica municipale sezione cultura diretta dal socialista Ferrieri; la cultura radicale aristocratica era per pochi ma importante, stava nelle case della borghesia o dell’aristocrazia illuminista, erede del Verri e del Beccaria».
 
Nel settembre 1952, Feltrinelli aveva fondato la Eda (Editori distribuiti associati), una società per distribuire i libri degli editori che si associassero e per importare in Italia prestigiose sigle straniere. A dirigerla, furono chiamati Franco Osenga e Adolfo Occhetto, padre di Franco (direttore editoriale della futura Feltrinelli) e di Achille (ultimo segretario del P.C.I.).
 
«Vivere a Milano, credilo pure, è molto triste. Non è Italia qua, è Europa, e l’Europa è stupida. Tanto più che la gente non è buona, non è aperta, anche se questo succede per colpa non sua, ma sempre, come ti dico sopra, per la pressione del capitale milanese» (Luciano Bianciardi).
 
«A Milano i soldi ti corrono dietro, e poi ti scappano davanti. Si guadagna e si spende, non se ne può fare a meno» (Luciano Bianciardi).
 
«Poi ci sarebbe il Feltrinelli, detto il giaguaro: ventotto anni, occhiali, baffi, alto e robusto, ignorante come un tacco di frate, e ricco da far schifo. Ha le mani nel legname, nelle costruzioni edili, nei frigoriferi, nella Coca-Cola. Ha atteggiamenti esterni molto cordiali e sbracati: quando ci incontriamo parliamo sempre a base di manate sulle spalle e pacche sullo stomaco. Mi ha in simpatia» (Luciano Bianciardi).
 
Luciano Bianciardi frequentava il Jamaica, a Brera, e il più delle notti era l’ultimo ad andar via.
 
«Una volta Brega mi raccontò una delle tante litigate fra Bianciardi e Feltrinelli. Parlando di un libro da tradurre, Bianciardi gli disse di averne già discusso abbastanza con il “vicemerda”. Il vicemerda? E chi sarebbe? volle sapere Feltrinelli. “Lo sanno tutti chi è, è il Brega”, buttò lì Bianciardi. E Feltrinelli rideva, rideva di gusto, anche nel ripetere la battuta allo stesso Brega, il quale, un po’ risentito, ma il più freddamente possibile, glielo chiese: “Ma chi sarebbe il vicemerda, secondo te?’. E Feltrinelli, contento: “Il vicemerda sei tu. Dovresti sentirti lusingato, perché chi vuoi che sia, il merda?”» (Michele Ranchetti).
 
«Il suo vero guaio, a parte la triste storia familiare, era la sua immensa ricchezza. Era angosciato dal sospetto di essere circondato da persone che volessero sfruttarlo, che gli fossero amiche solo perché lui si chiamava Feltrinelli» (Carlo Ripa di Meana).
 
Metà anni Sessanta. Feltrinelli e il ragioniere Silvio Pozzi vanno da Cuccia, a Mediobanca, per chiedere un finanziamento a lungo termine. Qualche discorso di circostanza, poi i due formulano la richiesta. Al che, Cuccia chiama un suo funzionario e fa le presentazioni: «Questo è il famoso signor Feltrinelli, con l’hobby dell’editoria…». La frase cade così male che Feltrinelli gira i tacchi e prende la porta senza neanche salutare. Grande imbarazzo. Pozzi rimane seduto a guardare il soffitto. Cuccia non dice più una parola.
 
Anno 1956. Fatti di Ungheria. Racconta lo storico Giuliano Procacci: «Una mattina vado alla Biblioteca Feltrinelli, collaboravo lì da poco, e quando arrivo (in anticipo rispetto all’orario di apertura) trovo la porta aperta. In sala c’è Giangiacomo immerso nella lettura del Capitale. Si vede dalla faccia che è stato sveglio tutta la notte, “Qui non torna niente”, mi fa, “siamo nella merda fino al collo”».
 
Come si arrivò alla pubblicazione del Dottor Živago. NdJS. Salvato in Frammenti.
 
Chruščëv ammise di non aver mai letto il Dottor Živago.
 
New York, inverno 1958. Un paparazzo immortala Anastas Mikojan, vicepresidente del Consiglio dei ministri sovietico, mentre osserva cupo la vetrina di una libreria. Živago è l’unico titolo esposto, in molti esemplari.
 
Fine del primo matrimonio di Feltrinelli. Lui era troppo spesso a Parigi, in compagnia di tale Françoise. Lei, nel 1955, era stata circuita da Renato Mieli, già segretario di Togliatti, ex direttore dell’Unità, sospettato di essere una spia inglese.
 
Secondo matrimonio di Feltrinelli. Con Nanni De Stefani, romana, figlia di un commediografo. Durò pochissimo.
 
La Einaudi rifiutò il Gattopardo. Vittorini, argomentando il suo no, scrisse a Tomasi di Lampedusa: il libro, anche se «serio e onesto», è «statico e oleografico».
 
Mario Alicata bollò il Gattopardo come «un romanzo decadente».
 
Nel 1958, per la prima volta dopo quattordici anni, non rinnovò la tessera del P.C.I.
 
Giannalisa Feltrinelli portava i figli dal dottor Gottlieb, dentista di Vienna. Quando questi trasferì il suo studio a New York, non le parve logico rinunciarvi e costringeva i figli a lunghi viaggi transatlantici.
 
Giangiacomo Feltrinelli e Inge Schoenthal si sposarono a Città del Messico, in un ufficio per matrimoni svelti. Poi: una breve luna di miele tra Zihuatanejo e Bassa California.
 
Feltrinelli provò a farsi dare i diritti di Lolita di Nabokov, tentativo fallito per incompatibilità di carattere.
 
Giangiacomo e Inge Feltrinelli conobbero Karen Blixen a una festa a base di ostriche e champagne. La convinsero a cedere i diritti de La mia Africa.
 
Comunicato stampa dettato da Giangiacomo Feltrinelli in morte di Boris Pasternak: «La sua morte è un colpo come se fosse mancato il mio migliore amico. Ha rappresentato la personificazione dei miei ideali di anticonformismo combinati con saggezza e profonda cultura».
 
«Giangiacomo Feltrinelli mi colpì per la sua vitalità. Essere vitali, effettivamente, spesso coincide con l’essere celebri» (Doris Lessing, 1959).
 
Quando nacque Carlo Fitzgerald Feltrinelli, inviarono telegrammi d’auguri sia la famiglia Agnelli sia i dirigenti del P.C.I.
 
«Feltrinelli era seduto di là dalla scrivania, e m’interrogava sul mio lavoro dantesco. “E sono interessanti, queste opere minori?” Non ho la battuta pronta, purtroppo. Il mio istinto è di soccorrere, non di colpire. Penso che Feltrinelli intendesse, con la sua domanda, discutere, o esaminare, l’opportunità di riaffidare al torchio delle opere già così vulgate attraverso ogni tipo di stampa. Inoltre, la presenza fisica di qualcuno, l’evento che si manifesta quando si è alla presenza di qualcuno in carne ed ossa, insomma la forza teatrale della realtà prevale, in me, su ogni altra facoltà e mette in crisi tutto, non so difendermi; esso è più forte, per così dire, della mia forza mentale; e mi lascio invadere perché mi sembra giusto onorare la realtà nel suo imprevisto diritto di esistere. Per un istante, dubitai che la Vita nuova, il Convivio, il De vulgari eloquentia, le opere che sono, per me, la prova dell’esistenza della realtà, che dico, la prova della mia stessa esistenza, fossero “da ripubblicarsi”, opere degne di riapparire in pubblico e di essere riammesse in un circuito culturale. Mai le opere minori di Dante sono uscite così malconce come da quel colloquio» (Cesare Garboli) [Falbalas. Immagini del Novecento, Garzanti, 1990].
 
«Nessuno può, oggi, essere così cieco da non rendersi conto che l’esistenza di due culture, tanto diverse e tanto lontane l’una dall’altra quanto la cultura letterario-umanistica e quella scientifico-tecnica, costituisce un grave motivo di crisi della nostra civiltà; essa vi segna una frattura che si inasprisce di giorno in giorno, e minaccia di trasformarsi in un vero muro di incomprensione, più profondo e più nefasto di ogni altra suddivisione» (Ludovico Geymonat, in una prefazione a Charles Snow).
 
L’Eskimosa, la barca di Giangiacomo Feltrinelli, 16 metri di scafo, ormeggiata a Porto Ercole. Chiamata così in onore di Inge, e dei suoi zigomi di tipo lappone o eschimese.
 
«Leggere costa fatica e tempo. E, quando si esagera, rende orbi, tisici, scoliotici, peptici» (Valerio Riva).
 
Giugno 1966. Un giornalista della Nazione chiede a Giangiacomo Feltrinelli come sarà la libreria del futuro. Ipotesi: librerie come juke-box, senza libri, soltanto tasti e bottoni (uno entra, sceglie il titolo, pigia il pulsante, una telescrivente collegata alla più vicina tipografia trasmette l’ordine, l’ordine passa al deposito, arriva al nastro perforato che contiene il testo del libro scelto, una macchina offset, in un battibaleno, stampa e fa arrivare in libreria il volume richiesto).
 
«Ricordo un episodio capitatomi una ventina di giorni dopo che ero diventato direttore della libreria. Feltrinelli era incazzato perché le vendite non aumentavano, anzi. C’erano delle giornate assolutamente nere, non entrava nessuno, non si vendeva nulla. Dovevamo stare anche d’inverno con le porte spalancate, con i banchini dei tascabili sui marciapiedi. Feltrinelli ci aveva comprato dei maglioni rossi apposta. Ma erano venti giorni che avevo in mano la faccenda e ancora non sapevo mica cosa inventare. La nostra libreria era nuova, certo, e anche molto bella, ma la gente non aveva motivo di abbandonare le vecchie librerie per venire alla Feltrinelli. La gente passava dritto. Allora lui venne a Bologna e disse: “Facciamo una svendita”. Io ero stupito. Una svendita? Con che cosa dovevamo farla? Allora lui disse, sempre incazzato: “Con tutto!”. “Ma sono libri nuovi,” dissi. Allora Feltrinelli prese una pila di libri e cominciò ad ammaccarne gli angoli. “Ora non lo sono più”, mi risponde. “Ma non è necessario rovinarli tutti. Svendi tutto. Fai subito dei cartelli con la scritta 30% di sconto”. Fece fare una manchette sul giornale. Noi non avevamo mai fatto sconti, anzi, eravamo contrari alla politica degli sconti generalizzati praticata da quasi tutte le librerie. Fu un casino, quella svendita fu il primo choc. La città si rese conto che c’era una nuova libreria...» (Romano Montroni, direttore della Feltrinelli di Bologna).
 
Metodi non convenzionali per attrarre il pubblico nelle librerie Feltrinelli: caldarroste gratis (a Firenze), Joan Baez che canta a piedi nudi (a Milano), flipper, baraccone della Coca-Cola e tiro a segno con le freccette (a Roma).
 
Gennaio 1966. New York. Giangiacomo Feltrinelli incrocia per strada Luigi Barzini jr., ex marito della madre. L’uno cambia marciapiede. L’altro fa finta di non vedere.
 
Fu Benedetta Barzini, sorellastra di Giangiacomo Feltrinelli, di professione modella, a presentargli Andy Warhol.
 
Disco preferito da Giangiacomo Feltrinelli: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles.
 
Secondo Giorgio Bocca Giangiacomo Feltrinelli si allenava a lanciare bombe a mano sul pratone della sua villa in Friuli, sulla strada che da Cervignano porta ad Aquileia.
 
«Un editore può cambiare il mondo? Difficilmente. Un editore non può nemmeno cambiare editore» (Giangiacomo Feltrinelli).
 
Nell’agosto 1967 la Feltrinelli cominciò a pubblicare l’edizione in italiano di Tricontinental, bimestrale a cura dell’Organizzazione di solidarietà dei popoli d’Asia, Africa e America Latina (redazione a Cuba, edizioni anche in lingua francese e inglese). Feltrinelli stesso si improvvisò corrispondente e ottenne una intervista con Yasser Arafat.
 
«Non vi sono guerre senza morti, ma è preferibile morire uccidendo i nemici sapendo che la vittoria finale sarà nostra piuttosto che aspettare una morte lenta, inesorabile, seduti sotto una tenda nel deserto» (Yasser Arafat).
 
Fidel Castro aveva una stranissima voce mezzo in falsetto.
 
«Crediamo che in ogni caso vorrà pubblicare le memorie di Castro; e può raggiungere Cuba senza transitare dagli Stati Uniti. Le informazioni e i punti di vista che potrebbe ottenere durante la breve visita negli Stati Uniti possono influenzare favorevolmente la sua gestione delle memorie, mentre rifiutargli l’ingresso può ingenerare un giudizio negativo sulle posizioni degli Stati Uniti verso Cuba e verso Castro. In breve, non vediamo nulla da guadagnare e molto da perdere nel rifiutargli un permesso di transito» (Telegramma dell’ambasciata americana a Roma, indirizzato a Washington, 22 gennaio 1964).
 
Casa di Protocollo, all’Avana, Cuba. 10 gennaio 1964. Primo incontro tra Giangiacomo Feltrinelli e Fidel Castro. Castro si aspetta un potente editore internazionale, qualcuno con l’aplomb del vecchio miliardario. Comincia a parlare di affari: le possibilità di una mediazione per importare prodotti chimici, industriali, impianti agricoli, taxi, il tutto contro zucchero. Dice con molta sicurezza che Cuba nel 1970 ne avrebbe prodotti 8-10 milioni di tonnellate. Non si accorge che l’italiano potrebbe avere i suoi stessi anni, ed è senza ghette. Fa anche domande impertinenti: a quando le elezioni? sono possibili mediazioni con gli Stati Uniti? cosa succede in America Latina? A poco a poco Castro capisce, si irrigidisce. «Ma è proprio lui il miliardario?». Rassicurato, decide che è ora di andare a vedere il gioco. Risponde a chissà cosa citando Machiavelli, una lunga elucubrazione che spiazza tutti. Ma parlando, il clima si distende. Castro ride, scherza, discute, distribuisce pacche sulla spalla a tutti. Lo scarto di identificazione si tramuta in simpatia.
 
«Quando è di buon umore parla volentieri e tanto. Bisogna cercare di sviarlo dal suo tema preferito. Quello delle vacche. Egli sogna infatti sterminati allevamenti di bovini e, con compiacimento sessuale, l’inseminazione (artificiale) di centomila vacche che nel ’65 gli darà centomila vitelli, di cui 50.000 femmine che potranno essere ingravidate (inseminazione artificiale) nel ’67 e che partoriranno nel ’68 altri 50.000 vitelli di cui 25.000 femmine, e che nel frattempo le 100.000 vacche originarie nuovamente ingravidate... così via in eterno amen» (Giangiacomo Feltrinelli, lettera ai collaboratori della casa editrice, a proposito di Fidel Castro, 19 febbraio 1964).
 
Fidel Castro aveva preso in tale simpatia Giangiacomo Feltrinelli che acconsentiva a dettare le proprie memorie solo se a prendere appunti c’era lui personalmente. Commento di F: «Che il cielo lo strafulmini».
 
Sul tetto di casa di Fidel Castro c’erano un pollaio e un canestro da basket.
 
Giudizio di Fidel Castro sulle grandi personalità della politica. Di Truman aveva un’opinione negativa, le sue memorie erano poco interessanti, mal fatte, presuntuose. Di De Gaulle ammirava lo spirito ribelle, «ma le sue memorie sono una cosa da ridere. Quell’uomo non s’è sbagliato mai, ha previsto tutto, è nato genio». Secondo lui Churchill, in quanto a memorie, era il migliore di tutti.
 
«La faccia marpionesca di Fidel Castro quando gli chiedo che tipo di donna gli piaccia. Risposta: “Fine, spirituale, dolce”» (Giangiacomo Feltrinelli).
 
Ricetta di Fidel Castro per gli spaghetti: due galline, 500 grammi di pasta da cuocere nel loro brodo, scaglie di formaggio fresco.
 
Feltrinelli non era d’accordo con Fidel Castro sulla questione omosessuale («Con sconcertante naturalezza e violenza dice: dobbiamo esaltare le qualità migliori del nostro popolo, non c’è spazio per i parassiti. Come se non ce ne fossero che non sono pederasti»).
 
«Nel ’64, quando sono diventato amico di Castro, non credevo più a niente. Nessun tipo di impegno, né ideologico, né politico. Poi...»
Il castrismo?
«No, ma il fatto di trovarsi a tu per tu con un capo di Stato, a discutere di politica mondiale e in diretto contatto con un ambiente concreto com’è Cuba, può cambiare qualcosa nella vita».
Cioè?
«Parlo per me, naturalmente. Noi viviamo momenti in cui non sappiamo dare un contenuto, una prospettiva alle nostre inquietudini. Parliamo di politica e ne parliamo in astratto. Cuba no. Cuba è lì, e la politica si fabbrica giorno per giorno con una rispondenza immediata. E, quel che più conta, la si costruisce fuori dagli schemi consueti: capitalismo, socialismo sovietico...» (Giangiacomo Feltrinelli) [a Gian Franco Vené].
 
All’Avana Giangiacomo Feltrinelli simpatizzò con il fotografo Alberto Korda. Dopo aver parlato a lungo del Che, Korda gli regalò il negativo di una foto scattata sette anni prima, durante i funerali per le vittime del La Coubre (un cargo pieno di armi, esploso al molo). La sua Leica era in ricognizione sulla tribuna-autorità listata a lutto: c’era vento, due clic incrociarono casualmente una strana espressione di Guevara.
 
Nel maggio 1972 il ministro boliviano Arguedas (nel frattempo passato dalla CIA ai cubani) disse che nell’agosto del 1967 Feltrinelli, nel caso di una cattura del Che vivo, avrebbe offerto un riscatto di 50 milioni di dollari, ma che la CIA non aveva nemmeno voluto sentirne parlare.
 
Nel gennaio 1968 Feltrinelli andò a Cuba e tenne un discorso «in uno spagnolo comprensibile solo da un italiano». Ricordo del giornalista Enrico Filippini: «Voleva segnalare ai cubani che la sua funzione di editore europeo era finita, ora si considerava un combattente anti-imperialista».
 
Durante il gennaio 1968, a Cuba, Feltrinelli preparò un saggio dal titolo Guerriglia e politica rivoluzionaria riferito alla prospettiva italiana. Il 3 marzo 1968 i servizi segreti italiani erano già riusciti a entrarne in possesso: le sue tesi vengono definite «poco originali, se non addirittura comiche».
 
Feltrinelli immaginava di fare della Sardegna una Cuba nel Mediterraneo.
 
Sei opuscoli editi dalla Feltrinelli dedicati alla causa sarda: circoli giovanili contro parco del Gennargentu, vecchio e nuovo nell’economia agro-pastorale, carta degli emigrati, perché essere separatisti, note sullo stato di polizia e insistente esercitazione militare.
 
In Sardegna, Feltrinelli si spinse a incontrare il bandito Graziano Mesina. Gli offrì «riabilitazione, in cambio di insurrezione». Il bandito rifiutò: la riabilitazione non la voleva, armi e soldi se li poteva prendere quando voleva.
 
Le opinioni di Giangiacomo Feltrinelli sulla questione sud-tirolese. L’editore arriva a Rovereto nel 1967. Lì, incontra l’avv. Sandro Canestrini, ex partigiano, fedele a principi libertario-radicali, legale di estremisti di sinistra negli anni duri, poi di Schützen, Testimoni di Geova, bracconieri. I due diventano amici. Racconta Canestrini: «Arrivava spesso di sorpresa. Se io e mia moglie eravamo fuori, scavalcava il recinto di casa, si sdraiava in giardino a fumare e a guardare la luna. Quando rientravamo, se c’era un’ombra era Giangiacomo». Secondo Canestrini la zona sudtirolese significa qualcosa di speciale per lui: la sua famiglia viene da lì, la Valle dei Cervi non è poi distante e anche Sibilla, la sua ultima moglie, è di Merano. Ma gioca molto la suggestione per la fierezza del popolo di confine, per i rapporti sociali e le regole della comunità contadina: se si mantengono i valori con cui è stata difesa l’indipendenza, forse è possibile prevedere un aggancio con una nuova etica socialista, un punto di sutura tra una civiltà pre-operaia e gli ideali del mondo nuovo. «Il problema del Sud Tirolo» sostiene Feltrinelli «è assolutamente identico a quello della Sardegna».
 
«Il Giangiacomo che abbiamo conosciuto non esiste più» (Del Bo, 11 settembre 1969).
 
Episodi di violenza registrati a Milano nell’aprile 1969: quarantacinque. Ci si picchia sotto casa e nelle piazze, prendono fuoco le sedi del P.C.I., dei giornali di sinistra, delle associazioni partigiane, etc.
 
Nell’aprile 1969, la Feltrinelli pubblica un opuscolo di quattordici pagine di Giangiacomo Feltrinelli. Titolo: Estate 1969. Sottotitolo: La minaccia incombente di una svolta radicale e autoritaria a destra, di un colpo di Stato all’italiana. Un’appendice dello scrittore greco Vassilikos elimina ogni dubbio sulla tesi di fondo, l’incipit è «Anche noi credevamo che in Grecia non fosse possibile».
 
La mattina del 13 dicembre 1969, il giorno dopo l’attentato di piazza Fontana, nella stipatissima conferenza stampa alla questura di Milano, alcuni giornalisti chiedono al questore Guida se risponde al vero il fermo dell’editore Giangiacomo Feltrinelli. Pausa prima di parlare, ognuno dei presenti si fa le proprie congetture. «Per adesso», ancora pausa, «l’editore non è stato fermato». «È ricercato?» insiste il cronista. «Non posso rispondere», taglia corto il questore. A casa Feltrinelli, in via Andegari, arrivano telefonate anonime: «Dov’è la carogna?». I giornalisti Zicari, Spadolini, Ronchey, Pansa, Tortora telefonano a tutte le ore. Cronisti in cerca di scoop si precipitano a Villadeati. La polizia si interroga: è a Cuba? è nel Sud Italia? è ad Algeri?
 
Quarto matrimonio di Giangiacomo Feltrinelli. All’inizio del 1969. Con Sibilla Melega. Nozze a Lugano.
 
«Mi sembra chiaro che gli attentati del 12 dicembre, come del resto quelli del 25 aprile a Milano e quelli dei treni quest’estate, siano opera di estremisti di destra, di gente che dipende da una centrale di destra che ha un piano politico preciso, che attua una precisa congiura sia contro le istituzioni della democrazia parlamentare, sia soprattutto contro le classi lavoratrici italiane. Il piano di questa congiura, l’obiettivo intermedio, è quello di offrire una serie di pretesti perché le forze di repressione dell’apparato statale italiano scatenino un violento attacco in Italia, per creare un clima politico che giustifichi una involuzione reazionaria e un violento soffocamento delle rivendicazioni e delle lotte operaie e contadine. Non sono, questi attentati, il frutto di un’iniziativa offensiva delle avanguardie politiche del proletariato italiano» (Giangiacomo Feltrinelli) [sul primo numero della rivista Compagni, a cura di Nanni Balestrini, anno 1970].
 
«Quando l’editore decide di andarsene, di non farsi trovare, irreperibile o clandestino che sia, il suo investimento personale non prevede possibilità di ritorno. Di solito è un errore: è salutare, per l’intelligenza, non credere ciecamente in quel che si fa» (Carlo F. Feltrinelli).
 
Nell’opuscolo intitolato Contro l’imperialismo e la coalizione delle destre (pubblicato nel marzo del 1970) Feltrinelli ricorre a Gramsci e a Marx per smascherare i limiti della democrazia parlamentare, a Lenin per spiegare come gli scioperi siano strumenti immediati di lotta ma anche passaggio utile della dinamica rivoluzionaria. Il testo prosegue presentando una piattaforma politica a tutto tondo: rivendicazione dei diritti economici per l’operaio in fabbrica e nella società (orario di lavoro, politica del salario, alloggio dignitoso gratuito per tutti, sviluppo dei consigli operai); diritti economici per i contadini poveri, per braccianti e pastori (salari garantiti e sementi gratis, soppressione della rendita fondiaria, assegnazione dei terreni espropriati); riforma del sistema scolastico (istruzione gratuita fino al diciottesimo anno, presalario reale per gli studenti adolescenti, eliminazione del voto sulla pagella, casa gratuita per chi risiede a più di cinquanta chilometri dall’università, sistema di valutazione degli insegnanti da parte di familiari e allievi); grandi novità anche per il codice penale (niente carcerazione preventiva, riduzione generale delle pene, eliminazione dell’ergastolo). Naturalmente l’Italia deve uscire dalla Nato e cessare la produzione bellica, le armi sono destinate ai consigli operai che disarmano le forze militari (i cui capitoli di spesa dovrebbero ridursi dell’80%), Facile intuire la sorte auspicata per la Rai o per le società straniere nel quadro di un recupero dell’indipendenza economica. Etc. etc.
 
Anno 1970. Per Giangiacomo uno sviluppo tradizionale della casa editrice non è possibile. Tutto deve essere ricondotto ai fini della politica. La proposta editoriale deve essere «costantemente terroristica», scavalcando anche le convenzioni legali del copyright.
 
Giangiacomo Feltrinelli non andava pazzo per Adriano Sofri.
 
«Comunque lo si giudichi, squilibrato, sessualmente disturbato, vano, debole, arrogante, esaltato, frustrato, sconsiderato, tristemente disponibile all’adulazione, propenso a sogni irrealizzabili e a sfrenate ambizioni, Feltrinelli ha condizionato la storia di un decennio» (Claire Sterling).
 
Prontuario di buone maniere per la clandestinità. Cose tipo: occhio ai pedinamenti (ogni militante deve sentirsi sempre pedinato); attenti alla corrispondenza, agli appunti (scrivere il meno possibile), al telefono (diffidare sempre, usare solo apparecchi pubblici). Il militante deve saper tacere, deve saper ignorare, e sangue freddo nell’interrogatorio (spiegarsi è pericoloso, meglio negare, sempre). Alla voce “equipaggiamento” si leggono altre avvertenze: il militante dev’essere ingegnoso e i suoi strumenti devono essere “strumenti di massa”, cioè di semplice fattura, confezionati con materiali comuni e poco costosi. Nel paragrafo sugli ordigni improvvisati si consiglia una miscela con pastiglie di clorato di potassio (si trova in farmacia) e zucchero a velo, quello per i dolci. Oppure: mescolare paraffina fusa o catrame alla segatura, unendo scaglie sottili di sapone di Marsiglia e cherosene. «Una volta, in una casa sul mare vicino a Roma, fece una dimostrazione», sono più o meno le parole di Valerio Morucci, «mise insieme due componenti molto improbabili, ma riuscì a farli brillare». Morucci vide la fiamma riflessa nelle lenti dei suoi occhiali, montati su un viso magro, ossuto, quasi ascetico, con barba corta e screziata di bianco. Una faccia da anarchico italiano o da comunista cubano, ma a Morucci evoca anche atmosfere da «impegnato studio del Talmud»: «Lo ascoltavo, consapevole che ogni cosa dicesse, per quanto strana, aveva dietro un mondo di esperienze, di vissuto che obbligava al rispetto». Per i dispositivi a tempo, per i circuiti di accensione elettrica si può sfruttare il principio di dilatazione dei semi secchi. Se è vero che i piselli, i fagioli o altri semi disidratati aumentano del 50% il loro volume nell’acqua, la loro dilatazione può spingere verso l’alto una lamina, avviando il dispositivo del contatto. Il prontuario, una trentina di pagine in tutto, sarà ciclostilato e fatto proprio dalle Brigate rosse che stanno per esordire. Uno dei fondatori, Alberto Franceschini, sospetta che il prontuario sia di derivazione Nato, giunto chissà come ai «rossi». Altri sostengono che sia la traduzione di un opuscolo svizzero, preparato per istruire la popolazione in caso d’invasione sovietica. Fa lo stesso.
 
Azioni dei G.A.P. genovesi nel febbraio 1971. La Ignis di Borghi, a Sestri Levante, o la raffineria Garrone, ad Arquata Scrivia. All’attentato segue rivendicazione con interferenza televisiva. Anche nel Milanese e nel Trentino si cerca di riprendere l’iniziativa. «Erano più che altro azioni dimostrative, per imparare. Non eravamo addestrati militarmente, se non per le lezioni tenute da qualche ex partigiano».
 
Differenza tra le B.R. e i G.A.P. Per i brigatisti la costituzione del partito armato presuppone una lotta di lunga durata, un processo graduale (alla cinese?) per arrivare al cuore dello stato, nel frattempo occorre accumulare consenso con la «propaganda del fatto» e demonizzare il nemico. Per Feltrinelli l’analisi è diversa: l’involuzione della democrazia italiana suggerisce una prospettiva rivoluzionaria immediata che deve unire le forze in campo, invitando a partecipare una parte del Pci.
 
Primo ristorante giapponese in Italia: Endo, a Milano.
 
Nel 1971 l’Ufficio Affari Riservati dei servizi segreti italiani commissionò un libro dal titolo Feltrinelli. Il guerrigliero impotente, finito nelle edicole con copertina kaki. Biografia volutamente trasandata. L’autore (anonimo) – anni dopo verrà fuori che era nel giro del Bagaglino, il cabaret della destra romana – si è procurato un faldone di ritagli stampa, le sentenze di divorzio, qualche altra notizia spizzicata qua e là. Tesi: dimostrare al mondo che l’uomo è uno psicolabile, il complessato più emblematico di tutti, in salsa radical chic.
 
Fu un libro Feltrinelli a far dimettere il presidente Giovanni Leone.
 
Il 15 marzo 1972, la sera in cui Feltrinelli morì, Inge era stata a una cena in onore di Paolo Grassi, neo-sovrintendente della Scala. Roberto Olivetti, anche lui presente, le disse di avere «un brutto presentimento».
 
Titolo di Potere Operaio del 26 marzo 1972: «Un rivoluzionario è caduto».
 
Giangiacomo Feltrinelli fu sepolto nella cappella di famiglia in stile babilonese al Cimitero Monumentale di Milano. Del suo funerale scrissero Alberto Arbasino e Uwe Johnson. Alcune sequenze originali sono conservate nel film Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio. Milano completamente militarizzata: su ottomila presenti, ci sono ottomila agenti. Elicotteri nella luce chiarissima. La bara è portata a spalla dai librai Feltrinelli. Pugni chiusi e bandiere rosse al vento. Grida: «Compagno Feltrinelli, sarai vendicato». Régis Debray usa un megafono per spiegare che Feltrinelli aveva amici in tutto il mondo. Interviene Mario Capanna. Schermata da occhiali scuri e velo nero, Giannalisa Feltrinelli dichiara: «Finalmente ho finito di soffrire».
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