la Repubblica, 9 ottobre 2022
Sul Congresso cinese
PECHINO – Soltanto quando il conclave rosso dentro le segrete stanze della Grande Sala del Popolo che affaccia su Piazza Tiananmen sarà finito, un miliardo e mezzo di cinesi, e il mondo intero, scopriranno chi guiderà il Dragone nei prossimi anni. Se al vertice c’è poca suspence su Xi Jinping, il “principino” fattosi imperatore, pronto per uno storico e inedito terzo mandato dopo aver fatto cancellare i limiti costituzionali e calpestato le norme non scritte in vigore nell’era post-Mao, tutto si ridurrà allora a un preciso istante: quando il presidente sfilerà sul tappeto scarlatto seguito, in rigoroso ordine di importanza, dagli uomini del nuovo Comitato permanente del Politburo, l’élite della nomenklatura comunista. La guida della Cina di domani. Chi seguirà Xi in quella processione, e soprattutto in quale ordine, sarà uno dei segnali più significativi del suo potere.Il Congresso del Partito – il ventesimo – grande spettacolo che la politica mandarina mette in scena ogni cinque anni, prenderà il via il 16 ottobre con 2.296 delegati da ogni angolo del Paese che, in rappresentanza dei 92 milioni di iscritti al Pcc, per una settimana si riuniranno a Pechino nel palazzo simbolo del potere. Compiti principali: stabilire l’agenda delle priorità in politica interna ed estera, valutare il lavoro fin qui svolto, modificare la Costituzione del Partito, eleggere i nuovi vertici del Paese. Un copione in realtà già scritto con settimane, o addirittura mesi, di anticipo. E che, salvo incredibili colpi di scena, vedrà Xi confermarsi come “Presidente di tutto”: Segretario generale del Pcc, Capo delle Forze armate e Presidente della Repubblica, carica quest’ultima che dovrà essere approvata il prossimo marzo, quando si riunirà l’Assemblea del Popolo.«Un Congresso che servirà a riaffermare la linea e il pensiero del presidente dal quale uscirà una Cina se possibile – ancor più nazionalista. La situazione economica interna e quella geopolitica globale determineranno come sarà questo terzo mandato di Xi. Ma non vedo all’orizzonte alcuna grossa riforma politica, alcun ribilanciamento dei toni assertivi visti finora», spiega a Repubblica Kerry Brown, direttore del Lau China Institute al King’s College di Londra.Il Congresso servirà a conoscere le intenzioni del Partito su una serie di sfide alle quali la Cina deve dare risposta: i danni economici causati dalle dure politiche zero-Covid, la crisi del settore immobiliare, i problemi demografici, i rapporti sempre più problematici con gli Stati Uniti, quelli con la Russia, le tensioni su Taiwan e in generale le ambizioni geopolitiche di Pechino. Un’indicazione forte arriverà in apertura di Congresso, domenica prossima, quando Xi pronuncerà il suo discorso programmatico.Nonostante le voci di frizioni interne al Partito emerse quest’estate e addirittura i rumors di golpe, Xi in realtà si presenta all’appuntamento con la Storia più forte che mai. Per continuare la strada del “ringiovanimento della nazione”. Verrà rivista la Carta del Pcc. Diverse le speculazioni: la formula “Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” potrebbe essere abbreviata in “Pensiero di Xi”, che lo metterebbe ancora di più in posizione paritaria con Mao Zedong. Potrebbe fregiarsi di nuovi titoli, come timoniere oRenmin Lingxiu (leader del popolo), riservati al padre della Repubblica. Potrebbe, infine, essere reintrodotta la carica di Presidente del Partito, abolita nel 1982 per smarcarsi dall’era Mao e segnalare la volontà di una guida più collettiva e meno individualista: resuscitarla sarebbe un indicatore rivelatore del potere assoluto di Xi. Dice ancora Brown: «Non vedo minacce all’orizzonte per Xi: a parte lui stesso».Con Xi saldo al comando, il rimpasto all’interno del Politburo sarà quello da osservare allora con più attenzione. Per vedere quanti alleati riuscirà a piazzare. Negli ultimi decenni c’è stata una tacita intesa all’interno del Partito secondo cui solo i leader di 67 anni o più giovani possono essere promossi o rimanere ai vertici, mentre quelli più anziani devono andare in pensione. Nel vocabolario della politica cinese c’è un termine apposito: “Qi shang ba xia”,ovvero “sette su, otto giù”, nel senso della cesura tra chi ha 67 anni e chi ne ha 68. Regola che per Xi non vale e che potrebbe cambiare anche per altri. Due membri del Comitato permanente per esempio, Li Zhanshu e Han Zheng, avrebbero raggiunto l’età da pensione. Quanti “fidati” avrà Xi al suo interno? Chi prenderà il posto di Li Keqiang come nuovo premier? Sarà Chen Min’er, protetto del presidente? Chi sostituirà Liu He come zar dell’economia? E verrà svelato un papabile successore del presidente?Nel 2012, quando salì al potere, alcuni avevano visto in Xi un riformatore. Se l’obiettivo di Mao era politico (“rinascere dopo il secolo delle umiliazioni”, cioè della dominazione straniera) e quello di Deng era prevalentemente economico (inserendo il Paese gradualmente dentro il capitalismo internazionale), quello di Xi è rimettere la Cina al centro degli equilibri mondiali. Per farlo, ha bisogno di un Partito forte e compatto. Dieci anni dopo il suo insediamento, la Cina si è affermata sulla scena globale come una superpotenza. Più nazionalista. Più desiderosa di disegnare un ordine alternativo a quello occidentale. Ha calcato la mano su Hong Kong, il Xinjiang e Taiwan. Ha stretto le maglie della censura e soppresso il dissenso. “Nascondere la forza e aspettare il momento” era lo slogan di Deng. Per Xi e compagni il momento è arrivato. Per portare a compimento il “sogno cinese”.