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 2022  ottobre 08 Sabato calendario

Intervista a Morgan

«La mia solitudine è la mia umanità». E di solitudine, Marco Castoldi, meglio conosciuto come Morgan, in questi ultimi due anni pare averne vissuta parecchia. Infatti il verso è suo ed è senza dubbio uno dei migliori nel libro Parole d’AMORgan, sessanta poesie commentate in versi da Pasquale Panella; così alla fine di poesie ne leggiamo centoventi. Insomma Amore e Morgan si fondono in un suono e in un segno, dal timbro piuttosto anticonsolatorio, niente cuori e fiori, piuttosto amarezza, dolore e afflizione. In fondo la poesia è un salvagente, scriveva Gibran, quando tutto sembra svanire.
Sa che Umberto Saba, in una lettera a Giovanni Giudici del 1954, scrisse che per passare dalla letteratura alla poesia c’era bisogno di un grande amore e di un grande dolore? Lei come risponderebbe?
«Saba è un poeta immenso e spesso non è ricordato come dovrebbe, proprio oggi, quando sia vita che scrittura sono meno nobili. Aveva uno stile di vita e di scrittura encomiabili. Nel mio libro ci sono grandi squarci e grandi ferite, ossia gli elementi evocati dal poeta triestino».
Infatti fin dall’inizio scrive che intende parlare d’amore. C’è quasi un eccesso di gratuità nel darsi, nonostante sia consapevole che l’emozione sia rapina e ferita…
«I mio darmi è la conseguenza di una dimensione di ghosting, meglio conosciuto come no contact. Trovare l’amore trasforma l’essere umano. Però attenzione, c’è l’amore e c’è l’innamoramento, due concetti diversi. L’innamoramento è più potente, più inquieto, più dinamico. L’amore invece è vera condivisione, stare più fissi, è più sereno. Purtroppo oggi è parecchio diffusa questa moderna modalità dell’innamoramento divisa in più fasi: il love bombing, la svalutazione, e il cosiddetto ghosting».
Ovvero?
«Il ghosting è la scomparsa improvvisa dell’amato. Ne conseguono traumi veri e propri. Mi sono espresso parecchio su questo fenomeno nei miei canali social e sto ricevendo molti messaggi da parte di madri disperate perché i figli stanno subendo ghosting e quindi non possono contattare in nessun modo il partner. Madri che confidano di non avere mai visto i loro figli in queste condizioni di sofferenza. È un tema importante perché ci fa capire come alcune fasi dell’innamoramento vengano gestite addirittura da un supporto clinico con metodologie gravi, violente. Sa che nelle Filippine hanno reso illegale il ghosting? Viene considerato un reato. Siamo molto concentrati sulla violenza di genere e non riusciamo a mettere a fuoco che la violenza psicologica è tanto terribile quanto quella fisica. Un atto di ghosting equivale a uccidere una persona, è un’eliminazione violentissima».
Quindi nasce da questo il libro?
«Nasce dal superamento di questa fase terribile, tanto da poterne parlare in versi. La fase di sofferenza acuta dura due anni, dopo di che si riacquista una normalità emotiva, anche se si porteranno dei segni indelebili. Il ghosting assomiglia alla mutilazione, vengono tolte le parole nel mondo della comunicazione dicendo semplicemente a una persona: tu da oggi non mi puoi più scrivere. È una sorta di amputazione della voce che comporta un dolore sia mentale che fisico, come una mancanza di respiro».
La figura femminile infatti pare scolpita su Petra, che Dante presentava come donna dura, refrattaria all’amore, insensibile.
«Forse non dovremmo parlare per blocchi contrapposti. Voglio dire che se parliamo di violenza sulle donne, allora dovremmo parlare di violenza sugli animali, sulle chitarre, sulle stoviglie, sugli insetti e così via. Violenza è violenza e non è da guardare contro chi è rivolta, ma da chi è originata, ossia alla persona. Dovremmo chiederci come fare a disinnescarla e non è possibile riuscirci guardando esclusivamente al soggetto colpito. Prendiamo l’esempio di Gesù Cristo crocifisso, immagine violentissima che ci viene costantemente riproposta. Un’immagine talmente forte che pare quasi che tutto ciò che puoi combinare di male nella vita, rispetto a quello, non sia poi così grave. Io vorrei invece avere la certezza che ciascun responsabile di un atto violento venga punito. Si tende invece a omettere gli artefici della brutalità, i responsabili diretti. Perché io devo vedere sempre chi subisce e non chi ha scatenato questo atto barbarico impunito?».
Probabilmente chi decide cosa mostrare non vuole gratificare con un atto di giustizia, la questione deve rimanere irrisolta…
«Quindi siamo sempre allo stesso punto. Ora io mi trovo in una società in cui etica e morale sono rimaste le stesse. Come scrive Galimberti, il potere non vuole assolutamente la liberazione degli individui. Un individuo che ha delle grandi potenzialità positive, che sa far stare bene la comunità, va eliminato».
Come?
«Lo si indebolisce, lo si mette in difficoltà in vari modi, nel lavoro o con la diffamazione, che è quello che è successo a me».
Chi la rafforza invece?
«Per esempio Elisabetta e Vittorio Sgarbi, che non appartengono a queste logiche. C’è ancora una zona socialmente nobile di individui che fanno della vera cultura, pubblicano idee non allineate, fanno delle rivoluzioni e non subiscono i poteri forti».
Giancarlo Majorino fece un titolo provvidenziale, "La dittatura dell’ignoranza", questione che mi pare emerga anche nel suo libro.
«Ho conosciuto Majorino, il problema è proprio l’inascolto. Tuttavia bisogna riuscire a essere solidali, fortificare alleanze tra chi ha la percezione lucida di cosa sta succedendo. Non lasciamoci spaventare dal fatto che la quasi totalità delle proposte che sono nell’aria sono anticulturali, che l’informazione dei giornali è disinformazione, che la quasi totalità della musica alla radio è terrificante. Concentriamoci invece su quei pochi esempi che non sono negativi».
Quindi essere dandy, oggi, è un gesto politico prima che estetico?
«A patto che uno vesta come Baudelaire perché conosce Baudelaire e l’ha letto. La questione è che Baudelaire viene tolto dai programmi scolastici perché oramai si pensa che le materie umanistiche non servano a niente. L’ha detto il ministro della cultura inglese e non mi pare che qui la situazione sia diversa».
La raccolta è dedicata anche a Franco Loi. Qual è stata la sua lezione?
«È dedicata a tante figure di riferimento, scomparse in questi ultimi due anni. Questo è un libro di grafo-linguismo, la grafica del linguaggio, una mia invenzione. Sono morti dei guru di questo settore, innanzitutto Flavio Campa, artista che ho conosciuto a Los Angeles mentre faceva le grafiche dei film di Ridley Scott. Poi è morto Max Quinque, fautore della copertina più importante dei Bluvertigo, l’album Zero. Un’altra morte inaspettata è stata quella di Vittorio De Scalzi con cui ho suonato tanto. È scomparso Giovanni Gastel, a cui ho dedicato una poesia. E poi Philippe Daverio, il dandy dei dandy. E Franco Loi, appunto, uno dei più grandi poeti italiani. Per me La parola vèrta è un capolavoro, una sera passeggiando sotto i portici di Genova l’ho recitata a Ivano Fossati, che ne rimase ipnotizzato».
Com’è nata invece la sinergia con Pasquale Panella?
«Grazie al giornalista Gianmarco Aimi, aveva voglia di farci conoscere da tempo. Quando ho scritto il mio libro avevo chiesto a Gianmarco se era possibile una prefazione di Panella. La risposta fu molto divertente: rispose che non avrebbe fatto la prefazione ma "l’infazione", una cosa scritta "dentro" il libro, così sono nati i suoi commenti in versi a ognuna delle mie poesie».
Quindi si è trovato in mano sessanta inediti di Panella…
«Mi sono trovato in mano più di sessanta meravigliosi commenti in versi e ho avuto questa idea: ho creato un gruppo Whatsapp con degli amici musicisti e ho proposto di lavorare sugli inediti di Panella, un’esperienza meravigliosa. Sto parlando di nomi come Tricarico, Caccamo, Avincola, Le larve e altri giovanissimi cantautori. Dopo di che ho scritto anch’io la mia musica su quei versi, quindi Parole d’Amorgan è il preludio all’album che uscirà a breve».
Qual è la differenza, se c’è, tra quando scrive testi per la musica e quando invece pensa in versi per la poesia?
«Ci sono tante parole di Morgan: il Morgan cantautore, il Morgan appassionato divulgatore e storico della musica. Poi ci sono le parole di Marco su temi che esulano da quelli artistici, parole private, esclusive, intime. E ancora le parole da-Morgan quale autore di testi poetici e critici, parole rivolte a un pubblico, spesso piene di ironia e provocazione. E infine arriviamo a queste Parole d’AMORgan, incastonate nella formula grafica a dire che sono delle parole d’amore da Morgan. Quindi Morgan e Amore si sovrappongono, parole rivolte a qualcuno che forse contengono la somma di tutte le precedenti tipologie. Quindi sono le più dense».
Questo tra l’altro non è il suo primo libro di poesia…
«Ho pubblicato Dissoluzione nel 1998. La sfaccettatura poetica è piuttosto presente nella mia opera. Il testo della canzone è molto simile al testo della poesia, anche se c’è un lavoro diverso perché il primo deve essere adattato sulla musica, tuttavia almeno all’inizio l’ispirazione è identica».
Direi che un testo poetico è più autonomo, non ha bisogno della musica per stare in piedi.
«Assolutamente, però sono ambiti contigui. Comunque mi sono sempre occupato di poesia, ho scritto diverse prefazioni tra cui quella per Paul Verlaine uscita per il Saggiatore, ma venendo a spazi più quotidiani, durante il lockdown avevo creato su Clubhouse alcune stanze in cui si parlava e si leggeva poesia».
L’ultimo libro sul suo comodino?
«Ne ho due, la biografia di Mauro Pagani e poi un libro di Rodari».