ItaliaOggi, 8 ottobre 2022
Orsi & tori
La pseudo polemica fra Giorgia Meloni, che sembrava aver accusato Mario Draghi di consegnare il Pnrr con gravi ritardi di realizzazione, e la risposta secca di Draghi che i tempi sono stati tutti rispettati e infine la quasi ritrattazione della futura prima ministra?
L’attacco (così è stato definito da molti) di Moody’s all’Italia, destinata a un forte indebolimento della crescita e quindi a una modifica e un peggioramento del rating (e quindi un rialzo dello spread dei titoli di stato) se non venissero realizzate tutte e in tempo le riforme contenute nel Pnrr?
Scusate, sono cose serie, ma bazzecole rispetto alla realtà in cui l’Italia e il mondo sono finiti. Certo, i due interrogativi retorici dell’attacco di questo Orsi&Tori appartengono alla attualità del momento e MF-Milano Finanza ha rivelato venerdì 7 che dei finanziamenti finora ottenuti con
il Pnrr sono stati spesi (o se si preferisce investiti) appena 12 miliardi. Benissimo, anzi neppure bene, ma se davvero l’Italia vuole salvarsi è necessario che governo, parlamento, presidente della Repubblica tengano conto del profondissimo cambiamento del contesto economico mondiale, una vera e propria nuova era della macroeconomia, come si è potuto leggere in alcune analisi. E l’affermazione è fondata.
Dal keynesismo che ha prevalso dopo la Seconda guerra mondiale si era arrivati una trentina di anni fa alla globalizzazione. E la globalizzazione per molti anni ha fatto pensare che fosse possibile collaborare fra paesi ricchi, come gli Stati Uniti, e paesi poveri, anzi poverissimi, come alla partenza della diplomazia del ping-pong era la Cina.
In quella globalizzazione c’era scambio di produzione dove la manodopera costava meno e di conseguenza c’erano ricavi fondamentali per questi paesi che lottavano contro la fame. La globalizzazione apparentemente è finita con la folle politica del presidente Donald Trump, ma in realtà era già finita nel secondo mandato di Barack Obama, quando il presidente americano si fece promotore di imporre nel 2014 sanzioni alla Russia, che aveva conquistato con la forza la Crimea.
Il nuovo slogan o schema per la politica economica globale è stato il multilateralismo, vale a dire avere sì rapporti, anche intensi, economici e politici, ma solo fra alcuni stati. Il frutto può essere pieno di pericoli, dalla spesa pubblica incontrollabile, al caos finanziario e perfino al fallimento delle banche centrali.
Ma prima di vedere come potrà essere l’evoluzione dell’economia c’è un’analisi ancora più generale che ha fatto il rettore uscente della Università Bocconi, prof. Gianmario Verona, all’inaugurazione del nuovo anno accademico e che mi permetto di rubargli, riproducendola qui ampiamente.
Ha detto il prof. Verona, intitolando il suo intervento Inspired by Complexity:
Decidere nel nuovo millennio non è per ora stata un’attività banale. Dall’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001, con la conseguente ondata di terrorismo che ha attanagliato il mondo e scatenato la guerra in Afghanistan, fino alla recente pandemia globale della Sars-Cov 2 del 2020 e alla guerra in Ucraina di questi mesi, cadenzate peraltro dalla crisi dei subprime del 2008 e del debito sovrano del 2011, il cosiddetto contesto macro dei decisori è stato costantemente sottoposto a shock che fondamentalmente azzerano la nostra capacità predittiva di scenari economici e geopolitici nell’ambito dei quali avviene il nostro decision-making. Anche i più importanti think tank globali, che vivono di previsioni, faticano a comprendere che cosa succederà nel futuro imminente. E ciò, paradossalmente, nonostante il mondo moderno della politica, dell’economia e della finanza ci imponga di pianificare le nostre azioni nel medio-lungo termine.
Ma a parte la cornice decisionale macro, il mondo si è complicato anche a livello micro.
Le nostre istituzioni (siano esse imprese, profit o no profit, istituti governativi o NGOs) si sono arricchite di sensibilità inimmaginabili fino a qualche anno fa. Si pensi al tema del controllo, al tema dei rischi e a quello della compliance e dell’accountability. Negli anni questi sviluppi istituzionali hanno portato ad articolazioni delle organizzazioni estremamente più analitiche delle loro antenate - basti guardare agli organigrammi aziendali di oggi rispetto a quelli di ieri, per non parlare delle denominazioni dei lavori che svolgiamo, che sono a volte di difficile comprensione, nonostante la loro importanza nel nuovo contesto. La componente giuridica dei mestieri si è poi evoluta altrettanto della componente gestionale e per prendere una decisione oggi occorre consultarsi con esperti di varie discipline. E questo, per non parlare degli ultimi commensali giunti intorno al tavolo delle decisioni: i ’grandi dati’ richiedono difatti l’impiego di data e computer scientist che sono diventati una risorsa preziosa e a oggi forse la più scarsa per tutte le istituzioni in ogni angolo del mondo. Si pensi, infine, alla nostra recente conquista culturale in quanto Sapiens, che ha giustamente messo al centro della progettazione delle nostre istituzioni i temi della diversità e della sostenibilità e che ci chiede di fare uno sforzo per integrarle in modo eticamente accettabile rispetto all’evoluzione dei valori e delle credenze nella società moderna. In nuce, decidere nel nuovo millennio è diventata un’attività complessa.
Ma cosa si intende per complessità? Si domanda il professor Verona:
La complessità è uno stato di un sistema sia esso naturale, sociale o artificiale. La complessità non è riducibile a situazioni complicate risolvibili. La complessità non è, per esempio, quella del gioco degli scacchi per cui oggi il computer di Ibm, Watson, riesce a battere l’uomo grazie a una potenza di calcolo inimmaginabile quando settant’anni fa i primi mainframe computer prendevano vita. Ciò accade proprio perché nel caso degli scacchi, si riescono a identificare le principali variabili alla base delle mosse dei giocatori e si riesce a prevedere la loro interazione in modo sufficientemente preciso rispetto a quanto possa fare la mente umana. I computer moderni vincono addirittura al gioco degli scacchi cinesi - ben più difficili di quelli tradizionali per tipologia e quantità di mosse, ma pur sempre prevedibili. Questi esempi sottendono casi di situazioni decisionali complicate, ma non complesse.
La complessità è invece quella ben descritta dal celebre aneddoto meteorologico della farfalla, che si alza in volo da un fiore nelle Filippine e con il suo battito di ali scatena, tanto paradossalmente quanto realmente, un uragano in Florida - anche se sempre più frequentemente potremmo aggiornare il medesimo aneddoto parlando di calamità non previste in Europa e quindi in Italia.
Quindi, Professore?
Quindi occorre essere consapevoli che la complessità sottintende uno stato di a) ampia varietà nella numerosità delle variabili; b) variabilità di ciascuna di esse (ovvero la dinamica, a volte schizofrenica, con cui cambiano i valori delle variabili) e c) la loro più o meno stretta e a volte indecifrabile interdipendenza. Tutte assieme queste tre condizioni rendono oggettivamente difficile la possibilità di previsione, anche a una potenza di calcolo significativa quale può essere un supercomputer.
Ma non basta: come dice il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, deve subentrare l’uomo alla macchina e deve affrontarla accettandola e studiandola, anziché semplicemente elaborandola come può fare una macchina.
E se l’uomo interviene nello studiare la situazione macroeconomica che condiziona le microeconomie, scopre che se da una parte la nuova era dell’economia può consentire, forse ancora, al mondo ricco di sfuggire alla bassa crescita del primo decennio del secolo e all’invecchiamento e al cambiamento climatico, dall’altra parte i rischi che il mondo ricco ha davanti sono: il caos finanziario, perfino il fallimento di banche centrali, con la spesa pubblica fuori controllo.
Basti tenere presente che l’inflazione del globo non è a una sola cifra, ma a due per la prima volta da 40 anni. E a causa dell’accelerazione della Federal Reserve nell’ aumentare il tasso di sconto, il dollaro è arrivato a valori mai così alti da vari decenni, con un caos monetario ed economico nel resto del mondo. E ancora, alcuni dati più che preoccupanti: le azioni delle società globali sono scese del 25% come non succedeva dagli anni 80, mentre i titoli di stato potrebbero raggiungere il record negativo record che finora si è verificato nel 1949.
C’è chi, pensando alla fine dell’era economica che abbiamo vissuto a partire dal 2010, la chiama l’era della tranquillità. Nel mondo ci sono oltre 40 trilioni di perdite di valore dei titoli di stato e delle azioni.
A pompare oltre misura l’inflazione è stata la guerra della Russia all’Ucraina, con la conseguente crisi energetica. Chi avrebbe mai pensato fino non molti mesi fa che una banca come il Credit Suisse sarebbe finita più che sotto pressione? È un segno anche dello choc che subisce un sistema che per anni si è abituato a tassi molto bassi e ora vede l’inflazione che spedisce tutto in alto.
L’economia mondiale è nella trappola del debito? Si domandano a Francoforte.
Non vi è dubbio che il pericolo è reale e questo fa capire perché si parla di nuova era economica. Nuova era economica con la complessità dei fattori ben descritta dal prof. Verona.
Il paradosso è che le banche centrali stanno alzando i tassi di sconto per combattere l’inflazione, e invece, con l’additivo energetico, il tasso di inflazione sale. E il rischio è che per raggiungere il loro obbiettivo storico di portare l’inflazione al 2%, potrebbero dover stringere fino al punto da determinare una nuova o aggiuntiva recessione.
Sarebbe quindi più che necessario che governi e banche centrali, in una nuova era economica, avessero la consapevolezza della crisi mondiale che potrebbe verificarsi e si mettessero a ragionare sulla complessità del momento. Complessità che indica come le cure o gli interventi del passato, per le ragioni che brillantemente ha spiegato il prof. Verona, devono essere rielaborate, sottoponendole ad analisi che finora non sono state mai fatte. Ovviamente il diavolo ci ha già messo la coda e quindi la crisi derivata da guerra e conseguente esplosione del mondo dei costi dell’energia si somma agli altri fenomeni che fanno parte della complessità, secondo l’analisi che il primo professore della prima università italiana e quarta in Europa, secondo i maggiori rating, ha posto in primo luogo al governo, anzi al prossimo nuovo governo italiano. Non che l’Italia possa fare da sola, assolutamente no, ma l’analisi sulla complessità fatta all’inaugurazione del nuovo anno accademico della Bocconi è una buona, buonissima traccia per un nuovo metodo di analisi e di governo a partire dall’Italia per portarlo poi negli organismi internazionali di cui l’Italia fa parte.
Una ragione in più perché il nuovo governo si attrezzi, con o senza ministri tecnici, per capire quali possono essere le scelte economiche e tecniche migliori per attuarle subito nel paese, per quanto sia possibile, e per portarle all’evidenza della Ue e dei paesi alleati.