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 2022  ottobre 08 Sabato calendario

Intervista a Zerocalcare

Fedele alla causa della popolazione ezida schiacciata fra i macellai dell’Isis, il governo iracheno e quello turco, Michele Rech in arte Zerocalcare spiega perché ci sia proprio quella guerra al centro della sua nuova storia, e non il conflitto russo-ucraino che sta spaventando l’Europa: «In questo momento nessuno ricorda gli ezidi proprio perché c’è una guerra vicina», spiega l’autore, che lunedì sarà a Torino per presentare No Sleep Till Shengal, resoconto a fumetti del suo viaggio compiuto in quella terra martoriata. Un massacro lontano e dimenticato, ecco perché la sua attenzione è concentrata su certe zone del Medio Oriente, coerentemente col suo libro precedente che lo aveva chiamato su un altro teatro bellico complesso e pieno di tormenti, quella volta in Siria, a disegnare e raccontare Kobane Calling.
Ma un fumetto sull’Ucraina invece lo farebbe? O per qualche motivo trova l’argomento meno interessante come soggetto di una storia?
«Non scriverei di Ucraina perché non sono appassionato della guerra in sé, ma del diverso modello che viene affermato nella società degli ezidi, che dopo essere stati uccisi a migliaia dall’Isis nel 2014, con violenze su donne e bambini, sono stati aiutati a scappare dai kurdi del Pkk (il partito comunista kurdo, visto come il fumo negli occhi da tutti gli altri soggetti attivi nell’area a cominciare dai turchi, che ne temono le spinte indipendentisti nella loro nazione, ndr) per poi tornare nella loro terra e sconfiggere l’Isis, adottando il modello del Pkk».
Ma che cosa rende speciale la situazione degli ezidi? La persecuzione che hanno subito e i pericoli cui continuano a essere esposti?
«Nel loro caso c’è l’affermazione di un modello di organizzazione sociale e politica in cui è centrale la donna, il che li rende profondamente diversi dagli stati della regione. È una cosa molto differente rispetto a una guerra dove c’è solo resistenza, come quella in Ucraina».
Non si è accontentato di documentarsi a distanza, è andato sul posto nel 2021 e ha raccontato quello che ha visto, un approccio da reporter politicamente impegnato già sperimentato in Kobane Calling, e anche in quel caso erano protagonisti i kurdi e il loro modello.
«Sì, il mio nuovo libro non è casuale e anche nel titolo c’è una citazione musicale: in Kobane Calling era London Calling dei Clash, qui invece i riferimenti sono a due canzoni di Stiff Little Fingers (punk band irlandese, ndr) e Beastie Boys (band americana di alternative hip-hop, ndr). Gli Stiff Little Fingers sono stati la colonna sonora di questo viaggio in cui per una settimana non ho chiuso occhio, come recita il titolo No Sleep Till Shengal (Non ho dormito fino a Shengal, ndr), perché per una settimana non ho chiuso occhio mentre mi recavo nella città di Shengal, dove stanno gli ezidi. Sono stati massacrati dall’Isis otto anni fa, donne e bambini sono stati violentati e rivenduti, gli unici che li hanno aiutati sono stati quelli del Pkk».
Lei scrive e disegna di conflitti remoti e dimenticati dopo essersi recato di persona nei teatri di guerra, ma a parte ciò non si muove praticamente da Rebibbia, il quartiere romano dove vive e dove ha ambientato fumetti e cartoni animati durante il periodo del lockdown. Rebibbia è ancora così centrale nella sua vita e nelle sue storie o gli ultimi due libri segnano una svolta?
«Faccio cose autobiografiche, ma per rispondere alla domanda le dico che ho fatto un voto per cui possono venire a cercarmi coi forconi se vado a stare da un’altra parte. Ci abito da sempre, tutte le mie relazioni familiari e affettive sono qua, è un quartiere molto identitario. Ovviamente non è un posto perfetto…».
Anche nelle sue storie, lei si è sempre descritto come ossessionato dagli "accolli", le incombenze che derivano dalla popolarità. È ancora così?
«Gli accolli si stanno moltiplicando esponenzialmente e la loro gestione mi sta portando al Tso… Faccio un esempio: per la presentazione a Torino la gente stacca un pass per ottanta persone da una certa ora in poi per un mio disegno, poi c’è la mia chiacchierata in pubblico e poi i miei disegni veloci per gli altri, in tutto si sono prenotati in 1.300».
Sta dicendo che la celebrità ha riflessi invasivi e invadenti?
«Il mio problema è che non voglio che mi si parli dietro…».
Cioè?
«Non voglio prestare il fianco a critiche tipo ‘ah ecco, siccome ha fatto i soldi allora fa il prezioso’, così cerco di far fronte a tutte le esigenze, ma è un’impresa impossibile».
In Italia il fumetto d’autore ha spesso avuto vita difficile, a differenza della Francia, lei invece è un raro esempio di disegnatore che vende moltissimo, cosa serve oltre al talento?
«Secondo la mia esperienza, nei fumetti o spingi tantissimo oppure non arrivi a camparci, non c’è una via di mezzo, è una scelta obbligata».
Anche i gadget coi pupazzetti dei suoi personaggi che ha messo in vendita o il suo alter ego con t-shirt nera e teschietto rientrano in questa logica?
«Gli unici gadget li ho venduti in edicola e il ricavato è andato in beneficenza, non faccio merchandising sul mio lavoro».