Corriere della Sera, 8 ottobre 2022
Bibi Santi 91, la pornostar nella faida tra trapper
Un mese fa. Il 9 settembre. Per due volte «Simba la Rue», violando le disposizioni del gip, s’era messo al telefono. Voleva farlo, continuava a farlo, doveva farlo, grazie al cellulare prestatogli da una suora, impiegata nella comunità di recupero in cui il 20enne era finito su decisione dei giudici del Riesame per l’incompatibilità del suo quadro clinico con la prigione. «Simba la Rue», che si chiama Mohamed Lamine Saida, è nato a Tunisi e ha residenza in provincia di Como, aveva necessità di parlare con Barbara Boscali, 31 anni, appartamento a Treviolo, 10 mila abitanti in provincia di Bergamo. Era la sua fidanzata. Era perché la donna, di professione artista hard con il nome d’arte di «Bibi Santi 91», lo ha tradito. L’ha consegnato ai rivali della banda di «Baby Touché»; e ha rischiato di farlo uccidere. Questioni di uno spazio infinitesimale, e una delle dieci coltellate gli avrebbe provocato ferite letali.
Saida aveva già dei dubbi su Barbara, fra le 4 persone arrestate nell’indagine (non conclusa) di Bergamo per ricostruire le responsabilità dell’aggressione. Già da subito, dinanzi agli investigatori, aveva recitato la sua parte. Choc, disperazione in conseguenza di un «agguato improvviso»: lei e «Simba la Rue» stavano sulla macchina di quest’ultimo, una Mercedes nera; avevano trascorso la serata proprio su insistenza di Boscali, della quale si dice sia stata legata sentimentalmente ad altri «soldati» delle gang; Saida guidava verso l’abitazione della fidanzata, che intanto aveva fornito agli aggressori in attesa l’esatta collocazione degli spostamenti.
Dopo quella telefonata con il cellulare della suora, la donna aveva chiamato la medesima religiosa la quale, a sua volta, aveva fornito ampie garanzie sul fatto che i due si sarebbero ancora potuti sentire. Avrebbe fatto da tramite.
Ora, nella complessa gestione del fenomeno, che rimanda alle dinamiche delle banlieue francesi, e sollecita plurime domande riguardo al ruolo dei social network che riflettono, senza spesso ricevere nessun accenno critico, il divismo di ragazzini contro le regole – ogni regola – fin dalle elementari, il questore Giuseppe Petronzi e il generale dei carabinieri Iacopo Mannucci Benincasa hanno avviato percorsi sì di sofisticata investigazione ma insieme di vera comprensione della realtà. Delle dinamiche. Degli spazi nei quali si muovono i trapper. Dei contesti geografici (sempre più paesi della provincia). Delle possibilità per colpire ma anche gestire in prevenzione. E va da sé che le comunità, al netto dello sforzo in solitaria per offrire alternative alla galera, sono una voce – e parimenti lo sono le pur parziali misure in possesso della magistratura – dell’articolato scenario. Che interseca anime perse, bugie, pose da diabolici giocatori di poker, abissi umani che s’incrociano senza che quell’incontro divenga un salvifico abbraccio di naufraghi.
Tra le telefonate intercettate Saida-Boscali, eccone una. Risale al 10 luglio. Già era rivelatrice. Saida: «Mi sono rotto il c… delle tue tarantelle». Boscali: «Vieni qua, ti prego». «Mi chiami e dici che ti stai drogando, che ti stai facendo...». «Tu Simba vedi tutto negativo». «Io ti compro tutte le cose...». «Senti, quel figlio di p… voleva umiliarti, aveva paura a venire da solo e ha mandato gli amici…». Saida: «Ma mi hai venduto o no?». Boscali: «A me nessuno mi ha pagato».