la Repubblica, 7 ottobre 2022
Intervista a Chiara Gamberale
«Mi piacerebbe una società che si stupisce di Totti e Blasi, non una che resta di stucco davanti a Pezzi e Capotondi, due “slegati” che si sono voluti bene e invece di farsi la guerra hanno trovato un modo per stare vicini». Chiara Gamberale, scrittrice, autrice, tra pochi giorni partirà con la seconda serie del suo podcast “Gli slegati”, appunto, famiglie allargate, amori che si trasformano come il suo e quello tra l’attrice Cristiana Capotondi e l’imprenditore Andrea Pezzi, quindici anni insieme, la separazione, lei che resta incinta di un altro, ma chiede a lui di starle accanto almeno fino alla nascita della bambina, 20 giorni fa. «D’Altronde – dice Gamberale – sono un po’ la portavoce delle situazioni particolari: cinque anni fa è nata Vita che ho messo al mondo con un uomo, Gianluca Foglia, sempre presente, ma con il quale non sto più insieme. E ho un ex marito, Emanuele Trevi, che di mia figlia è il padrino». Che effetto le ha fatto allora leggere la storia di Pezzi e Capotondi?«Mi ha commosso. Vi ho visto un uomo e una donna che ci hanno voluto dire: non siamo più quella cosa lì, ma questo non ci ha diviso l’anima. Dovrebbe essere più naturale continuare a volersi bene che farsi la guerra».Perché invece la storia stupisce? «Perché trasformare un rapporto è complesso. È molto più facile troncare e dire addio.Invece possiamo non amare più in maniera passionale una persona, ma restare legati, senza odi. Sa a cosa ho pensato? A Peter Pan. Wendy lo ha amato, ma non può avere un futuro con lui per sempre bambino e così torna a Londra. Ma Peter Pan ci sarà sempre, anche per sua figlia. A me, in realtà, è altro che sorprende». Cosa?«Che non battiamo ciglio davanti agli abomini di certe famiglie tradizionali, alle separazioni che finiscono in tribunale, ai bambini contesi o a quelli che assistono a liti tremende tra i loro genitori. Ci stupisce meno mentre invece ancora ci meravigliamo degli slegati». Chi sono?«Famiglie diverse, alternative che non seguono un libretto di istruzioni già pronte per l’uso perché non ce ne sono, ma ne inventano di nuove. Non tutti gli amori sono fatti per costruire una famiglia. E non tutte lefamiglie sono fatte per avere figli». Si può, lei disse, sopravvivere insieme alla coppia e alla separazione.«Esatto, è quello che è accaduto anche a me. Quando ho conosciuto il mio ultimo compagno lui mi ha detto: io ho due figli. E io ho risposto: ho un ex marito. Mi fa ridere oggi chiamarlo così, è una persona della vita, un affetto. Restare vicini è stato un bisogno nostro. Forse sono legata più a lui ora che quando eravamo sposati (ride ). Entrambi fanno parte della mia famiglia elettiva, quella che mio padre chiama il mio circo equestre, e io la mia Arca senza Noè». Come sta a galla quest’Arca?«Ci vuole un certo tipo di fisico emotivo. Per me è brutale che le persone che abbiamo amato appartengano solo al passato.Non è facile gestire questa complessità. È come un laboratorio di nuove famiglie, ci vuole forse ancora più impegno ed è un percorso che si fa insieme. Serve conoscersi ed essere molto onesti con noi stessi. Preferire una verità scomoda a un’ipocrisia. Ma su questo non voglio essere fraintesa: sante subito le famiglie capaci di amarsi tutta la vita; il mio non è un inno all’orgoglio di chi lo fa strano. Dico però che ognuno lo fa a modo suo, per come lo sa o lo può fare. Io, ad esempio, sono molto più brava come ex che come compagna, forse perché fatico nel passaggio dall’innamoramento al rapporto stabile».Com’è la sua famiglia elettiva?«Siamo una comunità di 4-5 persone, c’è il papà di Vita, c’è Emanuele, la mia migliore amica, suo marito e qualcun altro, sono vicini a me e a mia figlia e vogliono bene anche al suo papà. Tempo fa una bambina è venuta a giocare da noi e ha chiesto: “Ma tuo padre non vive qui? E la fate lo stesso la colazione?”. Mi ha fatto sorridere, ma bisogna educare loro, i nostri figli, a un mondo vario, plurale, complesso, abbandonare le etichette e ragionare sull’importanza che le persone hanno avuto nelle nostre vite, senza nulla di pruriginoso».Per i figli com’è?«L’importante è che i ruoli siano ben definiti, che non ci sia confusione né la violenza del disamore. Mia figlia sa benissimo chi è chi, ha un ottimo rapporto con il suo papà, il mio ex lo chiama zio e dice sempre di essere molto fortunata ad avere due genitori che sono così amici. Se non possiamo mostrare a un figlio cosa è stare insieme, almeno facciamogli vedere cosa è lasciarsi ma volersi bene».