La Stampa, 8 ottobre 2022
Erdogan ha messo le mani sul gas libico
Torna alta la tensione nel Mediterraneo orientale dopo che lunedì il governo libico di Tripoli ha firmato un memorandum d’intesa con la Turchia sulla cooperazione nel settore degli idrocarburi, un trattato visionato da Agenzia Nova e che all’articolo 3 riporta che Turchia e Libia confermano «il loro interesse condiviso nell’assicurare l’esplorazione, lo sviluppo e l’incremento della produzione di idrocarburi in entrambi i Paesi». Un nuovo trattata per l’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi sia su piattaforme sul mare che sul territorio libico, questi dunque gli obiettivi turchi. È la naturale evoluzione del percorso che da anni Ankara conduce per affermarsi nel Mediterraneo orientale. Immediate le reazioni di Grecia e Egitto che hanno respinto l’accordo e dichiarato illegittima ogni attività nelle aree contese del Mediterraneo orientale, come già avevano fatto tre anni fa, quando la tensione nell’Egeo era altissima e Turchia e Libia firmarono la prima tappa del Memorandum che definiva la «zona economica esclusiva» in quel tratto di mare.Per capire cosa stia accadendo oggi nel Mediterraneo orientale e quanto davvero preoccupanti siano le minacce che Erdogan sta inviando alla Grecia occorre riavvolgere il nastro di tre anni.Il Memorandum del 2019Nell’aprile del 2019 il generale Khalifa Haftar lanciò un’offensiva militare per conquistare Tripoli. L’allora primo ministro libico Fayez al Sarraj chiese aiuto ai suoi partner occidentali per difendere la capitale e di fronte all’impossibilità di ricevere armamenti e supporto logistico dagli storici partner europei, bussò alla porta di Erdogan che strinse con la Libia due accordi, uno per la cooperazione militare e uno sui confini marittimi. Con l’accordo militare Erdogan fornì a Tripoli droni e uomini, tra cui migliaia di mercenari siriani che hanno garantito a Sarraj di mantenere il potere e respingere le truppe di Haftar.Ma si sa, Erdogan con una mano dà e con l’altra prende, così capitalizzando l’assenza diplomatica e militare dell’Europa, è passato all’incasso con il secondo accordo, quello sulle frontiere marittime. Il trattato tracciava una linea verticale attraverso il Mediterraneo e prevedeva l’esplorazione nella «zona economica esclusiva» concordata tra i due governi. Decisione che intralciava i diritti di trivellazione di petrolio e gas di Grecia, Cipro, Egitto e Israele e limitava di fatto l’esplorazione di petrolio e gas nel Mediterraneo orientale al largo della costa di Cipro. La premessa degli accordi con Tripoli è che Ankara non ha mai riconosciuto e firmato la convenzione Onu del 1982 sui confini marittimi, perciò non riconosce la Repubblica di Cipro Sud e i suoi accordi per una zona economica esclusiva con Egitto, Libano e Israele, dunque Erdogan ritiene di operare in acque di propria competenza o in aree in cui l’autoproclamata Repubblica turca di Cipro del Nord possa vantare dei diritti.È il motivo per cui già tre anni fa il primo memorandum turco-libico aveva provocato un’immediata preoccupazione di Grecia, Egitto e Cipro e dei Paesi Ue con interessi nell’area. Tra cui, naturalmente, l’Italia. La Grecia, allarmata, aveva siglato un patto con l’Egitto che designava la propria zona economica esclusiva nel Mediterraneo orientale, che secondo i diplomatici greci annullava di fatto l’accordo del 2019 tra Turchia e Libia. Nel 2020, Erdogan aveva rilanciato e sottoscritto con Tripoli un altro memorandum per i progetti incompiuti in Libia. L’accordo consente alle imprese appaltatrici turche di riprendere i progetti interrotti in Libia prima della rivoluzione del 2011: un affare da circa 10 miliardi di dollari. L’altro tassello degli accordi commerciali che da anni la Turchia tenta di sottrarre agli storici partner europei della Libia.Il patto turco-libico è chiaro da anni, dunque: revisione dei confini marittimi in cambio della presa di Tripoli e accordi commerciali in cambio della conferma del sostegno militare, tutti apparentemente incuranti della violazione dell’embargo sulle armi.Incurante, Erdogan, anche di chi siano gli attori in campo in Libia. Per lui, intercambiabili. Oggi a Tripoli non siede più al-Sarraj ma Abdulhamid al-Dbeibah, di cui Erdogan è stato uno dei primi e più solidi sostenitori. Cambiano gli uomini ma non cambiano i suoi obiettivi: prendere quello che ritiene proprio, incurante del diritto internazionale.E veniamo all’oggi. Lo scorso agosto una delegazione turca è torna in Libia a riaffermare la sua posizione: sono stati radunati mediatori per trovare un accordo tra le milizie pro e contro Dbeibah e Erdogan, una volta ancora, è passato all’incasso e ha siglato il terzo atto del memorandum. Con due contingenze ad aggravare lo scenario: le prossime elezioni in Turchia e la crisi energetica mondiale.Le minacce ad AteneQuest’estate, la tensione tra Grecia e Turchia è tornata a livelli altissimi con il varo di una nuova nave di perforazione turca presumibilmente diretta verso le acque contese del Mediterraneo.Il viaggio della nave è proseguito verso acque sicure entro i confini della costa turca, ma – come tre anni fa – le azioni muscolari sono servite alla Turchia per ribadire le minacce. Giorni dopo, in esternazioni senza precedenti, Erdogan ha accusato Atene di «occupare» le isole dell’Egeo che fanno parte della Grecia dalla prima guerra mondiale. Sempre ad agosto Ankara ha denunciato che alcuni dei suoi F-16 in missione vicino Creta sarebbero stati agganciati dal sistema anti aereo greco S-300.È il 6 settembre quando, commentando le tensioni nell’Egeo, il Presidente turco dice: «Potremmo arrivare nella notte all’improvviso, la Grecia capisce cosa intendo». Non c’è nulla di velato in parole che evocano la minaccia di un’aggressione, di un’invasione militare. La minaccia di Erdogan di «arrivare senza preavviso», sembra essere l’inizio di una strategia di lungo termine volta alla conquista delle isole greche, come già fatto con Cipro nel 1974.Le relazioni tra i due Paesi intanto si inaspriscono sempre di più, animate da retoriche da campagna elettorale: entrambi i Paesi andranno al voto nel 2023, coincidenza che rischia di esacerbare le tensioni.Il possibile ricattoDopo la firma del Memorandum si è alzato un coro di dissenso. Contraria l’Ue che dice: «Dovrebbero essere evitate azioni che potrebbero minare la stabilità regionale», contrari gli egiziani, contraria la Libia dell’Est che non riconosce il governo di Tripoli, contraria Atene, che è, ovviamente, sul piede di guerra.Il ministero degli Esteri greco ha affermato lunedì che la Grecia aveva diritti sovrani nell’area che intendeva difendere «con tutti i mezzi legali, nel pieno rispetto del diritto internazionale del mare». Di risposta, quando gli è stato chiesto di commentare le reazioni degli altri Paesi al nuovo Memorandum, il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha detto: «Non importa cosa pensano, i Paesi terzi non hanno il diritto di interferire».Difficile immaginare quali saranno le prossime mosse di Erdogan, certamente un attacco alla Grecia causerebbe una rottura nelle relazioni tra la Turchia, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Nato. Altrettanto certamente, però, Erdogan sa di giocare su un tavolo dove ha molte carte (leggasi ricatti) da giocare: il controllo delle frontiere che l’Europa gli paga profumatamente dal 2015 e il ruolo da credibile negoziatore che si sta ritagliando nel conflitto in Ucraina, complice il suo legame da non amico/non nemico con Putin. Era prevedibile che Erdogan sarebbe passato all’incasso anche stavolta, anche ora che gli viene subappaltata la protezione del grano che parte da Odessa e le tenui probabilità di colloqui tra Russia e Ucraina. Cosa chiederà, stavolta, per non essere ostacolato?È la beffa di questo Memorandum che scoperchia rischi, ipocrisie, la fragilità dell’Europa e rivela, se ancora fosse necessario, quanto gli autocrati si somiglino tutti. —