Salvatore Dama per “Libero quotidiano”, 7 ottobre 2022
I “SINISTRATI” CHE CE LA MENANO CON LA SCARSA COMPETENZA DEL CENTRODESTRA SI RICORDANO CHI HANNO MANDATO LORO AL GOVERNO? - “LIBERO” RIPERCORRE TUTTI GLI SFONDONI DEI MINISTRI DE’ SINISTRA E AFFINI: IL GUARDASIGILLI DI BAFFETTO D'ALEMA, OLIVIERO DILIBERTO, GARANTIVA LA LATITANZA AL LEADER DEL PKK OCALAN NEL SUO VILLONE ALL'INFERNETTO - LE INFINITE GAFFE DI DANILO TONINELLI - BEATRICE LORENZIN, MINISTRO DELL'ISTRUZIONE CON LA LICENZA DA LICEALE E LA FINTA LAUREA DI VALERIA FEDELI... -
La sinistra è meglio della destra. Su questo ci sono pochi dubbi. Ha una classe dirigente più preparata, più presentabile, mirabilmente formata. Mai inadeguata al ruolo. In questi anni (undici per la precisione) il Partito democratico è stato un serbatoio di eccellenze. Ma anche nel secolo scorso (la fine), con i governi Prodi, Amato, D'Alema, la gauche tricolore si è fatta carico di rifornire le istituzioni di personalità che hanno scolpito il proprio nome nella storia.
Il catalogo è questo. Partiamo dalla fine. Il 12 febbraio 2021. Il governo Draghi ha appena giurato nelle mani di Sergio Mattarella. Un ometto sorridente si aggira per i saloni del Quirinale: «Sono Patrizio Bianchi». Il nuovo ministro dell'Istruzione. «Quando ha saputo che avrebbe fatto parte dell'esecutivo?», gli domandano. «L'ho imparato ieri», risponde. Brivido...
Ma è un professore universitario. Con la tessera del Pd in tasca. Questo lo autorizza anche a rivedere le regole della consecutio: «Speriamo che faremo bene». E poi altre perline tipo «Abbruzzo» con due b, con cui ha ingioiellato la sua permanenza ministeriale. Inarrivabile. Così come non sono replicabili altre esperienze che hanno cambiato radicalmente il volto del Paese.
Un giorno i nostri figli studieranno le riforme portate a termine dai ministri Andrea Orlando, Maria Elena Boschi, Francesco Boccia (che voleva lanciare le ronde anti-Covid), Federica Mogherini. Le cui gesta hanno varcato i confini nazionali e riecheggiano ancora a Bruxelles dove è stata Alto commissario per la Politica Estera dell'Ue («Moghechi?»).
È difficile che oggi Fratelli d'Italia possa trovare personale politico o tecnico che non faccia rimpiangere i protagonisti della stagione giallorossa: Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Lucia Azzolina. Tutte riserve della Repubblica. Come Fabiana Dadone (e le sue Converse sulla scrivania).
O come Danilo Toninelli. Visionario che vedeva cose inesistenti (tipo il tunnel del Brennero) e che promuoveva l'elettrico con le chiavi in mano della sua nuova Compass a gasolio.
Che dire di Barbara Lezzi, ministro del Sud. Quella che diceva in tv che i bagnanti in Puglia avrebbero steso l'asciugamano sopra al gasdotto (che in realtà passa a dieci metri di profondità); quella che aveva dimenticato di versare i contributi al M5s e che al Senato aveva assunto come collaboratrice la figlia del compagno: genio.
Oggi c’è un problema di classe dirigente. Per esempio: chi fa il ministro della Salute? Bel guaio. Difficile replicare i curriculum di Roberto Speranza, luminare della medicina con la laurea in scienze politiche, o di Beatrice Lorenzin, potenziale Nobel con la licenza liceale.
MALEDETTE LAUREE La sinistra non avrebbe problemi. È una fucina di talenti. A un certo punto sembrava aver trovato una nuova fuori- classe nella Madia. Certezza messa un attimo in forse quando Marianna andò da Zanonato pensando di parlare con il ministro del Lavoro: aveva sbagliato palazzo. O quando venne fuori la storia della tesi di laurea copiaincollata. Oppure quando, nel curriculum, aveva scritto: «Laurea con lode tra un mese».
Va detto: quello dei titoli è un po’ un limite della sinistra. Forse l’unico. Valeria Fedeli si era inventata una laurea in scienze sociali. Mai conseguita. Poi, andando a scavare, era venuto fuori che l’allora ministro dell’Istruzione (!) non aveva fatto manco la maturità, ma un titolo triennale per fare la maestra.
Meglio il suo predecessore: Stefania Giannini. Quando la glottologa assunse la guida del ministero, ai tempi di Matteo Renzi, c’erano grandi aspettative. Finalmente un tecnico preparato che prende di petto il carrozzone di viale Trastevere. Peccato che di lei non si ricordino le riforme, ma una foto in topless mentre era in spiaggia a Marina di Massa. «A un ministro danese non sarebbe mai successa una polemica del genere», si stizzì Giannini.
Altro campione: Giuliano Poletti, ministro del Lavoro con Paolo Gentiloni. Riecheggiano ancora le sue dichiarazioni programmatiche. Esempi? Quando, parlando della fuga dei cervelli, disse: «È meglio se si levano dai piedi». O quando sostenne che era più facile trovare lavoro «giocando a calcetto che mandando curricula». Oppure quando spronava i giovani a non inseguire la laurea con 110, ma a concludere in fretta gli studi. E poi venne fuori che suo figlio, a 42 anni, aveva ancora degli esami da dare. Ma pochi.
Ma come dimenticare un grande momento di inclusione: Cecile Kyenge ministro dell’Integrazione nell’esecutivo Letta. Dieci mesi al governo abbastanza incolori (ops...), se si escludono alcune polemiche con la Lega. I contabili di Palazzo Chigi però no. Loro, Cecile se la ricordano: in trecento giorni Kyenge chiese rimborsi per 53mila euro, di cui 42mila in mezzi di trasporto e 11mila in pernottamenti e pasti. La cifra più alta spesa dai ministri dell’allora governo Letta, di molto superiore anche alla diaria dallo stesso presidente del Consiglio. Matteo Renzi decise di non confermarla. Poi l’ultimo dispiacere: il marito candidato con la Lega. Infine l’oblio.
Idem Josefa. Nel senso di Josefa Idem, ex campionessa di canoa voluta da Letta come ministra delle Pari opportunità. Tutto bellissimo. Finché non venne fuori la storia dei quattro anni di Ici non pagati sulla casa e delle ristrutturazioni abusive. «Sono una pasticciona, non una disonesta. Colpa del commercialista (c’è sempre un contabile a cui dare addosso, ndr) e della Merkel».
Josefa disse che le avevano fatto pagare le sue origini tedesche. Sempre a proposito della gente di qualità proposta dalla sinistra al governo del Paese. Ecco un attestato di “stima” postumo rilasciato da Massimo D’Alema ai suoi compagni di esperienza: «Governavo con una compagine composta da squilibrati degni di attenzione psichiatrica che mi chiedevano di uscire dalla Nato e di dichiarare guerra agli Stati Uniti».
W OCALAN In effetti Baffino aveva una ministra degli Affari Regionali esperta di kick boxing (Katia Bellillo), un ministro della Giustizia che accoglieva il leader del Pkk Ocalan a Ciampino garantendogli la latitanza in un villone all’Infernetto (Oliviero Diliberto) e una ministra delle Pari Opportunità (Laura Balbo) alla quale Massimo non rivolse mai la parola: «Ma che gli ho fatto a st’ignorante che manco mi saluta?».
E chi si ricorda che Angelo Giorgianni, il giudice no vax che ha chiesto una «Norimberga» per Speranza e compagnia, era uno di loro? Proprio così: al ministero dell’Interno all’epoca dell’Ulivo. Guai poi a dimenticare Tonino Di Pietro. Voleva fare il ministro della Giustizia nel governo Prodi. Poi quelli dell’allora Ds gli spiegarono che non era cosa: «Meglio di no, poi va a finire che funziona...».
Un altro genio, l’ultimo, è Claudio Burlando. L’ex ministro dei Trasporti (nel primo governo del Professore) fu beccato qualche anno dopo mentre guidava contromano. Sulla superstrada. Gli agenti della stradale lo salvarono dagli automobilisti che volevano linciarlo. Poi, tirando fuori il tesserino della Camera (oltretutto scaduto), riuscì anche a evitare la multa...