Avvenire, 6 ottobre 2022
Ricordare Mura
Ottobre era un mese caro a Gianni Mura, un mese melanconico, da foglie morte, con Jacques Brel che incalzava all’orecchio del “cantore stonato”, ma solo quando provava a cimentarsi sul brano di una vita, Era d’estate, del suo cantautore prediletto, Sergio Endrigo. D’ottobre, nel 1945, era anche nato, il 9, a Milano: quel giorno venne al mondo il figlio del maresciallo dei carabinieri, un sardo di Ghilarza, nell’oristanese, meglio noto come il “Maigret della Brianza”. E il gusto dell’indagine e dello scavare a fondo nelle persone, prima che nei personaggi dello sport, a Gianni gli derivava sicuramente dal ramo paterno, mentre dalla madre, maestra elementare, aveva ereditato la scrittura semplice, fatta solo di parole essenziali, ma con una romantica velatura poetica, melanconica, scaturita da quella folgorazione giovanile per la prosa di Fabio Tombari, e quel testo, per lui imprescindibile, dello scrittore fanese, Il libro degli animali.
Di questo e di altre frusaglie, noi “senzaMura”, convocati a Verona da sua generosità, l’atletico ed eclettico Adalberto Scemma (ultimo testimone del Guerin Sportivo diretto da Gianni Brera), ne abbiamo discusso di cuore e di pancia con i ragazzi dell’Istituto Seghetti. Liceo Sportivo in cui il vice del preside illuminato Mauro Pavoni è l’altrettanto atletico Zaccaria Tommasi, fratello dell’ex azzurro e sindaco di Verona Damiano Tommasi. Quest’ultimo, l’«Anima candida» della Roma di Francesco Totti, ha perfino dedicato la sua campagna elettorale a Gianni Mura e ha ricordato il giornalista errante raccontando agli allievi del Seghetti di quella volta che salì fino al “paese dei Tommasi”, Sant’Anna d’Alfaedo, per assistere al suo ritorno in campo con i dilettanti della squadra locale. Una delle tante perle letterarie prestate alla pagina sportiva di Repubblica rimane la cronaca di quella partita sorianesca al Cow Kamp di Sant’Anna, dove «l’esordio di Tommasi – scriveva Mura – ha più che raddoppiato il pubblico, di norma sui 25 paganti (biglietto unico, 5 euro). Spettatori 54, contati di persona, più due cavalli (uno bianco, uno pezzato marrone) e cinque vacche, su un prato lì vicino». Storie che addolcivano le giornate di tanti lettori ed esegeti come il direttore della Gazzetta di Parma, il raffinatissimo brerologo Claudio Rinaldi. I “senzaMura” rimpiangono il vuoto incolmabile lasciato dalla sua rubrica domenicale Sette giorni di cattivi pensieri, apprezzata e seguita (informa il maggiore “murologo” in circolazione, Raffaele Pompili) anche dal nuovo vescovo di Verona, monsignor Domenico Pompili. Il neovescovo arriva da Rieti, città di Manlio Scopigno, l’allenatore del mitico Cagliari dello scudetto del ’70: il tecnico più amato da Mura che, grazie all’impresa del “Filosofo”, rinsaldò il suo legame con la Sardegna. Un ponte sempre aperto verso quella terra di grandi vini, Cannonau, ma soprattutto di formaggi stagionati – degni di essere celebrati ne “I 100 nomi dell’anno” – come quello prodotto da Giuseppe Cugusi, nel podere di Tanca Marchesa: «Come il whisky Laphoaig trent’anni fa, il suo pecorino affumicato e stagionato segna il radioso punto del non ritorno: 8,5». Dava i voti Gianni Mura, come fanno i professori del Seghetti, ma lo faceva con il piglio scanzonato dell’eterno studente del Liceo Manzoni («rimandato in fisica e matematica anche l’anno della maturità, allora si usava... Ma aveva 9 in italiano», ha “spagellato” Rinaldi), per cui ogni materia, come ogni favola, per lui era un gioco. Discipline ludiche preferite? L’enigmistica, «specialità anagrammi», come ricorda il suo compagno di banco a Repubblica Fabrizio Ravelli, che di sport non si è mai occupato ma lo assecondava in quell’arte: «Con Mario Pescante, Gianni è arrivato a 88 versi, con varianti che vanno da “Compare intesa” a “Scatena premio”, per il direttore Eugenio Scalfari superò i 300».
Quando Scalfari fece la sua rarissima apparizione nella sede milanese di Repubblica, un Mura più fanciullesco del solito gli andò incontro per mostrargli il decoroso omaggio, «ma il Direttore alle sue “Fai cernie al sugo” o di “Sogni e farai luce”, rimase quasi indifferente. E Gianni con quei fogli in mano... ci restò male». Una piccola sconfitta, che lo allenava a ricominciare da capo, a dedicarsi agli sconfitti veri, agli ultimi della terra che poi tradotto in calcese-breriano erano i «principi della zolla». C’era una disciplina però in cui Mura era insuperabile: la mnemonica. Prego partire da una lettera dell’alfabeto, per esempio la “C” per rintracciare tutti i possibili nomi di calciatori (Calloni), cantanti (Celentano), attori (Cavina, Gianni anche lui) scrittori (Ceronetti)... Prove olimpiche, quasi sempre in notturna di cui conservano memoria indelebile i due fratelli Mele, Gerri e Gianni, custodi rispettivamente del Vecchio Porco e della Nuova Arena, ultimi avamposti enogastrosofici milanesi, nonché le tane privilegiate di Mura. Perché il «mangiarebere», condiviso con la moglie Paola – con cui firmava la rubrica decennale sul Venerdì di Repubblica –, era una delle sue passioni irrinunciabili. Un rabdomante di materie prime e di locande, per sostare dopo ogni tappa del Giro d’Italia o del Tour de France. «Con Paola di ristoranti ne ha recensiti 2300 e scartati almeno mille», dice l’altro compagno di crapula e di vacanze estive, il cronista di Repubblica Vittorio Testa. Un altro fratello del convivio muriano è Gigi Garanzini che al suo Gianni, post mortem, ha dedicato il vino della cantina di famiglia a Monforte d’Alba: terra catara, dove infatti imbottiglia “Eresia”. A Verona abbiamo brindato alla moglie di Garanzini, che non c’è più, e Gigi nel libro omaggio Per Gianni Mura (La coda del drago) ricorda il momento in cui con Maria scelsero il nome con cui battezzare la bottiglia: «Insieme all’idea erano arrivate le lacrime: questo vino si chiamerà “Suiveur”».
Di questo, e di molto altro sull’universo Gianni Mura, si è parlato per quattro ore ai liceali veronesi. Quattro ore senza cellulare, oggetto che, come il computer, Gianni rifiutava, affidandosi al caro telefono fisso della redazione e all’inseparabile compagna di viaggio: la macchina da scrivere Olivetti Lettera 22. Un uomo fuori da questo tempo, Mura, ma il millennial ha sorriso di gusto quando è riemerso un suo “cattivo pensiero”: «Noto: sposi il rapper Fedez e l’influencer Ferragni. Rapper e influencer, due mestieri che un tempo non esistevano e di cui non si sentiva la mancanza». Invece, il nostro Gianni eccome se manca. Come manca Beppe Viola e quei punti di riferimento in un Paese dove al nuovo si è sostituito il nulla che avanza, implacabile. Perciò non ci resta che guardare al passato con nostalgia e magari sperare nel domani con il muriano «lardo ai giovani!».