Avvenire, 6 ottobre 2022
Migrazioni, dalla Magna Grecia a oggi
Tutta la storia è storia contemporanea. Ce l’hanno detto mille volte. Un tormentone. E altri hanno replicato che non bisogna lasciarsi fregare e che nella storia le analogie e le somiglianze contano sì, a patto di tener sempre presente che in quell’àmbito sono divergenze e diversità a qualificarne la dinamica.
Gianfranco Maddoli, ormai docente emerito dopo aver insegnato a Lecce, Siena, Bielefeld e Perugia, è un grecista sì, ma pas comme les autres. È stato sindaco di Perugia tra 1995 e 1999: una città non facile dove ha lasciato un’impronta energica. Nei suoi scritti scientifici vibra sempre una passione politica nel senso proprio e più alto del termine: cioè civica. La si riscontra anche in un suo libro esplicitamente divulgativo, Magna Grecia. La civiltà greca in Italia (Giunti-Corriere della Sera, 2018). Ma per rendersi conto della sua problematica e delle sue prospettive, basta considerare l’ultima pagina, dedicata alla bibliografia, del recentissimo
L’invenzione della ’Magna Grecia’ : tutta incentrata sul fenomeno diacronico e transculturale delle migrazioni, con un taglio per un verso etnoantropologico, per un altro politico-statistico, per un altro ancora (ed è ciò che più sorprende: e, se posso dirlo, commuove) militante e umanitario. È del resto rivelatore il fatto che il libro sia dedicato a Gino Strada: cosa non certo asettica.
E si tratta di un libro sorprendente. Anzitutto per l’apertura polemica, nella Premessa necessaria indirizzata a «un ministro della democratica Repubblica italiana» che ha di recente cercato «in ogni modo di impedire ai nuovi migranti di accedere alle coste dell’Italia meridionale e della Sicilia»: un tema e un argomento che molto probabilmente, ohimè, sono aperti su un prossimo non facile futuro. Quindi per il fatto che si tratta di un lavoro impiantato su esplicitamente solide basi scientifiche, ma del tutto privo di quell’apparato accademico fatto di note e di considerazioni scientifiche sacrosante, ma che allontanano il lettore medio. Infine perché sgombrano il campo dalla vecchia superstizione semicolta secondo la quale i greci avrebbero chiamato il Meridione d’Italia Magna Grecia in quanto
si sarebbe trattato a loro avviso di una «Grecia più ampia di quella vera e propria».
Niente di tutto questo. L’espressione
Megàle Hellàs fu originariamente usata da un gruppo preciso, gli achei che tra VI e V secolo a.C. occuparono un’area estesa tra Calabria e Basilicata al seguito del filosofo, mistico, scienziato e riformatore politico Pitagora: un personaggio di straordinario spessore, altro che l’inventore delle ’tavole pitagoriche’! Cacciati che furono e costretti a ritirarsi in zone ristrette da una rivoluzione insorta nella prima metà del secolo V, la tradizione dei pitagorici che li spingeva a definire ’grande’ il territorio da essi occupato – si andò perdendo: e venne recuperata, ma anche malintesa, solo molto più tardi. Fondamentali, al riguardo, i testi ciceroniani.
Di particolare interesse per noi la parte centrale del libro, che tratta altresì dell’Italia e della Sicilia, come ’parole’ e come ’cose’. Ma più interessante ancora l’assunto socioantropologico del libro, che mira a cogliere costanti e variabili dei grandi e drammatici temi delle migrazioni e delle resistenze che i migranti solitamente incontrano da parte dei residenti autoctoni, di solito non troppo entusiasti di vedersi arrivare addosso ospiti inattesi e non invitati.
E così, partiti dall’oggi per puntare su un’età lontana da noi due millenni e mezzo, eccoci tornati all’Italia e al Mediterraneo di oggi, con i suoi gommoni carichi di un’umanità dolente e bisognosa. Qui l’erudizione si raccorda con la politica e con i doveri umanitari. Questo libro è una lezione: e non solo scientifica.