il Fatto Quotidiano, 6 ottobre 2022
Il sorcino Travaglio racconta i concerti di Renato Zero
Peccato per chi non c’era, tra quei fortunati 100 mila: perché, fra il 23 settembre e il 1° ottobre al Circo Massimo di Roma è accaduto qualcosa che chiamare “sei concerti di Renato Zero in nove giorni” è riduttivo. Questo folle e geniale cantante-performer, uno dei pochi rimasti, ne ha combinate di tutti i colori. E non solo per i sette cambi d’abito: spolverino nero con bavero e bombetta bianchi, cinque abbinamenti giacca-pantalone-bombetta ocra e giallo, verde scuro e chiaro, blu e celeste, arancione e rosso, lilla e cipria (tipo regina Elisabetta II), spolverino bianco con bavero e bombetta neri. Alla vigilia è inciampato per strada mentre fuggiva da un selfomane che s’è rifatto postando il video, e lui ha inscenato un’altra caduta con quattro amici intitolando il filmato Le cascate del Niagara: storia di un inopportuno selfista in cerca di Gloria (che è già sposata!). Al quinto concerto è ricascato sul palco, per recuperare il microfono scivolato in un ballo sfrenato (72 anni compiuti quel giorno) e, seduto all’indiana, ha intonato gli ultimi acuti di Vivo.
Domenica 25 è rientrato all’una di notte, dopo tre ore e mezza di performance, nell’hotel dove s’era trasferito per concentrarsi. E ha scoperto che era il quartier generale dei Fratelli d’Italia in festa per le elezioni. L’auto è stata presa d’assalto da meloniani urlanti e cronisti, fotografi e cameramen in attesa della leader. Lui, quando è riuscito a scendere dopo un lungo slalom fra la folla, è sbottato: “Ma che è questo, un regime? Votate la merda che siete!”. Ed è finito alla gogna sui giornali e i siti di destra, nella lista degli “artisti rosiconi” e ovviamente comunisti. Eppure quello sfogo aveva ben poco di partitico (“Mi sono ribellato alla volgarità, pareva la vittoria dello scudetto, non delle elezioni”), anche se lui alla fine ne era felice, vedi mai che qualcuno scambiasse il suo look total black per un salto sul carro dei vincitori: “Si devono ricordare che io sono il nipote del filosofo marxista Mario Tronti!”. Al concerto numero cinque, quello interrotto poco dopo la metà dal nubifragio la sera del suo compleanno, le Iene lo attendevano alle tre di notte per stuzzicarlo fuori dalla trattoria, dove aveva bissato lo show con barzellette e stornelli per amici e parenti. Lui s’è coperto il volto, è rientrato nel locale, s’è fatto prestare il nastro adesivo, s’è incerottato le labbra ed è uscito così, suonando i pifferi di montagna che erano partiti per suonarlo. Poi, l’indomani, ha concesso il bis sul palco: lui e i 23 ballerini con le bocche tappate, alle spalle il testo e le note di “Vergognatevi voi” e alla fine via i bavagli e un grido: “Libertà!”.
Nei sei concerti, sempre di 210-220 minuti, Zero ha estratto dal repertorio (quasi 600 brani in 55 anni di carriera) una settantina di perle: 40 a sera fra integrali e medley, in parte diverse da una data all’altra. Chicche mai cantate live negli ultimi venti trent’anni, come L’evento, Tu che sei mio fratello, La rete d’oro, Il caos, Chiedi di più, Lei. Bandiere mai ammainate e riarrangiate per l’orchestra di 50 elementi diretta da Adriano Pennino con Danilo Madonia al pianoforte: La favola mia, Vivo, Spiagge, Niente trucco stasera, A braccia aperte, Voyeur, Magari, Cercami, Amico, Più su, I migliori anni, Il cielo. Il trittico Triangolo-Mi vendo- Madame, affidato a versioni dance remixate e ricantate coi soli ballerini in scena. Standing ovation per la straziante interpretazione di Qualcuno mi renda l’anima, denuncia della pedofilia scritta a 22 anni, e per quelle rockettare di Morire qui, Resisti, Fortuna e Rivoluzione che hanno scatenato le cinque generazioni di sorcini a ballare sotto il palco. E lui sopra, sempre più scatenato via via che scopriva di farcela ancora, dopo tre anni di fermo, con la voce di sempre e le gambe da ballerino.
A volte si è commosso, come la penultima sera, quando ha dovuto interrompere per la pioggia che inondava il palco e gli strumenti, trasformando lui e la sua bombetta verde in un quadro di Magritte, mentre la gente chiedeva di continuare anche senza orchestra (“Ma qui restamo tutti fulminati!”). O l’ultima, quando ha sfondato il record delle quattro ore per recuperare gli ospiti (fra cui Baglioni e Bollani) e i brani saltati il giorno prima. E alla fine ha annunciato che quello non era un punto d’arrivo, ma di partenza: “Ci rivedremo molto presto in giro per l’Italia”. Un tour da febbraio nei palasport, dove non lo fermerà più nessuno. Neppure Giove Pluvio.