Corriere della Sera, 6 ottobre 2022
Storie dei bambini svaniti nel nulla
Francesco le aveva accompagnate a settanta chilometri da Donetsk perché in città soffiavano già i venti della guerra. Era il 29 marzo 2021, una data che non avrebbe più dimenticato. Dopo aver viaggiato tutta la notte, lui, sua moglie Iryna e la loro bambina, Laura, un frugoletto biondo di tre anni, aspettavano una parente di lei all’interno del centro commerciale. «Puoi andare a prendere qualcosa per la piccola che ha fame?», gli aveva chiesto Iryna. «Sono andato ma al ritorno, dopo un quarto d’ora, non c’erano più». Francesco Lorusso, 31 anni, barese di Gravina, le ha così cercate al telefono, una, dieci, cento volte. Silenzio. Solo in tarda serata, Iryna Pikalova, la ventinovenne ucraina originaria del Donbass che aveva sposato nel 2010 in Puglia, gli ha risposto: «Mi ha detto una cosa che mi ha lasciato di sasso: “Sto andando a Donetsk in taxi, tu puoi tornare in Italia, ci penso io alla bambina, scusami se te lo dico in questo modo ma non ti amo più”... proprio così». Non era un arrivederci. «Sono rimasto in quella cittadina, Kostjantynivka, circa un mesetto, senza la possibilità di entrare a Donetsk perché non avevo il passaporto che chiedevano i russi... e poi sono tornato a Gravina da solo, un’angoscia». Come angoscianti sono stati i mesi successivi. «Lei mi concedeva solo delle videochiamate e chiedeva 500 euro al mese minacciando di cambiare numero di telefono se non avessi pagato». Dopo un anno è scoppiata pure la guerra. «E da quattro mesi Iryna, che dal primo lockdown soffre anche di disturbi psichici, non risponde più. Ci sono stati i bombardamenti... mi sta distruggendo la vita...», sospira questo padre inconsolabile con la voce strozzata dalla commozione. Va detto che nel frattempo il Tribunale di Bari ha sospeso la potestà genitoriale alla madre ed è stata attivata la convenzione dell’Aia sulla sottrazione internazionale di minori. Conclusione: la piccola Laura Lorusso risulta scomparsa.
Gli allontanamenti volontari
Siamo partiti da questo caso per raccontare un fenomeno dai numeri che appaiono impressionanti. Secondo gli ultimi dati della Direzione centrale della Polizia criminale nel primo semestre di quest’anno i minori per i quali è stata sporta denuncia di scomparsa in Italia sono 6.312, che equivale a una media di circa 35 al giorno. Nello stesso periodo ne sono stati ritrovati 2.751 e dunque il mistero riguarderebbe gli altri 3.169. Numeri in linea con quelli registrati nel corso dell’intero anno 2021: oltre 12 mila denunce, 5 mila ritrovati e oltre 7 mila mai più visti. La statistica va però maneggiata con cura perché sconta un problema di fondo: spesso chi denuncia la scomparsa di un minore non la ritira nel momento in cui lo stesso viene ritrovato. E quindi il tutto va ridimensionato. Bisogna anche considerare che negli ultimi anni la stragrande maggioranza di queste «scomparse» è costituita da allontanamenti volontari di adolescenti in fuga da centri di accoglienza, istituti, comunità o famiglie: 5.972 denunce nel primo semestre di quest’anno, delle quali 4.198 riguardano stranieri dalla dubbia identità. «Il fenomeno ha le sue radici nel disagio sociale e nel desiderio di raggiungere altre mete, sul quale grava però un serio rischio: che questi ragazzi entrino in circuiti illegali», ricorda Antonino Bella, commissario straordinario del governo per le persone scomparse ed ex magistrato. Criminalità, sfruttamento, violenze fisiche e psicologiche. Molti finiscono nelle reti dello spaccio, della prostituzione, dell’accattonaggio. A ogni numero corrisponde comunque un volto, spesso già segnato dalla vita e ignoto, o meglio, senza un nome certo.
È l’invisibile esercito dei minori, accanto al quale crescono i drammi di adolescenti e bambini vittime di altri reati: sottrazioni, rapimenti, omicidi, tratte. Le pagine di cronaca nera ci ricordano di tanto in tanto i casi irrisolti più clamorosi del passato: Emanuela Orlandi, la figlia quindicenne di un dipendente del Vaticano che scomparve misteriosamente nel 1983; Angela Celentano, 3 anni, sparita nel 1986 nel bosco del Monte Faito (Napoli) quand’era in compagnia dei genitori; Denise Pipitone, 4 anni, anno 2004, stessa sorte a Mazara del Vallo (Trapani) mentre giocava davanti all’abitazione della nonna.
Altri sono meno noti, ma hanno comunque lasciato vuoti senza fine su madri, padri, fratelli, amici. «Molti non li cerca più nessuno, invisibili fra gli invisibili, le loro storie le conosciamo solo noi addetti ai lavori», allarma Annalisa Loconsole, vicepresidente di Penelope Italia, l’associazione presieduta dall’avvocato Nicodemo Gentile alla quale lei ha aderito dopo aver vissuto la dura esperienza di aver perso il padre, svanito nel nulla una sera di molti anni fa. Una lunga silenziosa sofferenza, la sua come quella di molti altri.
Alessandro saluta e non torna più
Per esempio, una fredda domenica del gennaio 2009 Alessandro Ciavarella, studente sedicenne di Monte Sant’Angelo, Gargano, saluta sbrigativamente madre e sorella: «Esco con gli amici». Chiude la porta di casa e da quel momento, erano le dieci del mattino, di lui non si sa più nulla. Nessuno gli ha parlato, nessuno l’ha visto né sentito. Dov’è finito Alessandro, che in quel periodo stava pensando di lasciare la scuola? «Siamo cinque fratelli e lui era il più metodico, molto legato al territorio, al suo paese, al bar, agli amici, era difficile pensare a un allontanamento ma è chiaro che lo speri», racconta oggi la sorella Annamaria, l’ultima ad averlo salutato e la prima ad organizzare i gruppi di ricerca, battendo il paese e le campagne palmo a palmo. Il tempo che passa consuma però le speranze: «Il dolore cambia ma è sempre lì, nel cuore, pesante, irrisolto». Sale un convincimento: «Penso sia stato ucciso, forse ha visto qualcosa che non doveva vedere». E si aggrappa alle ultime notizie sulla criminalità pugliese: «Ci sono state delle retate, speriamo che qualcuno parli, che almeno ci dica che è morto». Il desiderio di un punto fermo, sia pure quello della morte, ha accompagnato l’intera vita anche dei genitori di Vincenzo Monteleone, scomparso nel nulla a 10 anni mentre era alle giostre della festa patronale di Adelfia: «È successo tanti anni fa, la mamma ha perso il senno e non si è più ripresa, mentre le ultime parole del padre, sul letto di morte di una casa di riposo, sono state per lui: salgo in Cielo e finalmente saprò dov’è Vincenzino», ricorda Loconsole. Lutti sospesi, eterni, mai elaborati perché non c’è un corpo su cui piangere.
Il vortice oscuro di Rossella
Fra i casi più laceranti quello vissuto dai parenti di Rossella Corazzin, adolescente di San Vito al Tagliamento sparita una mattina d’estate di oltre 40 anni fa mentre era in montagna con i genitori. Un mistero che di recente ha ripreso ad agitare la famiglia. Lo scossone è arrivato da chi meno te lo aspetti perché il personaggio in questione nulla c’entra con il mondo di quella ragazza perbene: Angelo Izzo, il cosiddetto mostro del Circeo, una delle personalità più inquietanti della cronaca nera italiana, condannato per aver drogato, violentato, seviziato e massacrato al Circeo con un amico due ragazze un mese dopo la scomparsa di Rossella.
Nel 2016 Izzo raccontò al procuratore della Repubblica di Belluno che il responsabile della fine di Rossella è il suo complice di allora. Cioè, il ragazzo di cui Rossella aveva parlato in quei giorni a un’amica altri non sarebbe che lui. Aveva lo stesso nome e in quel periodo si trovava in vacanza nella vicina Cortina. Secondo Izzo il suo amico aveva conosciuto e avvicinato la ragazza convincendola a seguirlo per poi, insieme con altri, narcotizzarla e ucciderla. Di più: secondo Izzo, oltre al mondo criminale e di estrema destra del complice, Rossella incrociò pure quello di un medico perugino morto misteriosamente nel 1985 e, giusto perché non manchi nulla alla tragedia, legato ai misteri del Mostro di Firenze. Insomma, una vita semplice finita forse in un grande vortice nero dove c’era dentro di tutto, mostro, estremismo, sette massoniche. Detto che la ricostruzione di Izzo è stata considerata dalla magistratura inattendibile e archiviata, per i familiari non è così. Per loro tutto torna. «Una botta enorme, che mi accompagnerà per il resto dei miei giorni, penso all’anima bella di Rossella e quanto avrà sofferto – sospira oggi la cugina Mara Corazzin —. Per me non si è voluto indagare, perché la verità su di lei e non solo su di lei coinvolge i poteri forti. E, come dice Izzo, la giustizia non è per i poveri e quindi difficilmente verrà a galla... ora indaga l’Antimafia, spero in loro. Giusto per far capire cos’è stata la vicenda per la nostra famiglia, ricordo che la mamma di Rossella ha vissuto per lei fino alla morte e il padre, che lavorava con il mio, dopo la sparizione si era chiuso in un silenzio assoluto: sedeva in cucina a capotavola e stava due ore senza aprir bocca. Erano silenzi terribili.
Fenomeno nel fenomeno, da una decina danni s’impone la sottrazione internazionale di minori, che vedono protagonisti i bambini contesi e portati all’estero da un genitore in fuga dall’altro. È il caso della piccola Laura che abbiamo raccontato in apertura di questa inchiesta. Secondo l’Autorità centrale italiana, creata al ministero della Giustizia nel 1994, anno in cui l’Italia ha reso effettiva la convenzione dell’Aia del 1980 che tutela questi minori, dal 2000 al 2021 le vicende trattate sono state 2.300, in crescita più o meno costante dal 2007, e circa nove volte su dieci hanno riguardato una madre che se n’è andata all’estero con uno o più figli. «Crescono per il semplice motivo che ci sono sempre più matrimoni misti con bambini oggetto di dispute e genitori che si scontrano con legislazioni diverse, per cui alla fine le vicende spesso non arrivano a una soluzione», racconta Cosimo Ferri, ex sottosegretario alla Giustizia con trascorsi in magistratura e un certo slancio per alcune vicende di bambini scomparsi.
L’angoscia di papà Francesco
Mia moglie è ucraina del Donbass e ha portato mia figlia in quell’inferno Mi consentiva solo videochiamate e chiedeva 500 euro al mese. Da mesi non so più nulla di loro. Sto male
Su tutte, Chantal «Biba» Tonello, uno scricciolo che non stava ancora in piedi quando dieci anni fa mamma Klaudia l’ha portata al suo paese, in Ungheria, per una breve vacanza. «Non sono più tornate e io non smetto un solo giorno di pensare a Chantal», ricorda Tonello che in questi dieci anni le ha provate tutte per cercare di riportare a casa la sua piccola: ha girato per la cittadina magiara travestito da clochard, è andato con un camion pubblicitario che esponeva la gigantografia della bambina, ha offerto una taglia a chi gli dava qualche soffiata utile.
«Ogni quindici giorni andavo lì a cercarla, prima da solo, poi con un avvocato, poi con mio padre e anche con un investigatore privato... Nulla». Sulla madre pende una condanna a 4 anni del Tribunale di Padova per sottrazione di minore e pure un ordine di rimpatrio del giudice di Budapest.
«Sono testimone diretto, avevo promesso al padre che l’avrei riportata a casa – ha precisato Ferri —. All’epoca ero sottosegretario alla Giustizia e decisi di andare di in Ungheria, dove ho incontrato due ministri e il potentissimo capo della Polizia. Ho trovato un muro: non hanno saputo dirmi neppure se la piccola va a scuola, se ha un medico. Eppure la madre c’era perché si costituiva sempre in giudizio... e stiamo parlando di un Paese comunitario».
Che fare, dunque? «Sono necessari due interventi – propone Chiara Balbinot, avvocato di Tonello che fa parte dell’associazione Angeli rubati —. Bisogna che l’autorità centrale intervenga tempestivamente quando c’è una notizia di sottrazione, il tempo è decisivo in questi casi. É giunto poi il momento di mettere mano alla legge che in questo momento esclude la custodia cautelare».
«Addio caro Giovanni» E scappa con il bambino
I dati del ministero della Giustizia sono da allarme sociale: dei 1.314 bambini portati all’estero dal 2010, solo 472 hanno fatto effettivamente ritorno, meno di uno su due.
Ne sa qualcosa Giovanni Bocci, padre di Adelio, che una mattina d’autunno del 2015 ha trovato questo biglietto sul tavolo della cucina: «Mi dispiace davvero per il dolore che ho causato a te e alla tua famiglia. Sei un buon marito e un buon padre. Hai fatto il meglio...». La moglie, Aigul Abraliyeva, trentasettenne kazaka, era tornata in patria con Adelio, il loro bambino di due anni. Lei è stata condannata per sottrazione di minore ma la sentenza italiana non ha alcun valore in quell’angolo della Terra. «Ho speso 140 mila euro solo di avvocati per cercare una via d’uscita a questo incubo. È stato tutto inutile. E Adelio ormai parla solo russo e kazako...».
Un contributo alla soluzione dei casi lo dà senz’altro il programma «Chi l’ha visto?», importante punto di riferimento di questo mondo. Molto attivo arche Telefono azzurro che in Italia gestisce il numero unico europeo per i bambini scomparsi, 116000, attivo dal 2009. Servizio che fa capo al ministero dell’Interno ed è connesso con il network Missing Children Europe, struttura del parlamento europeo. «Si tratta di una delle più grandi piaghe della nostra società, soprattutto oggi con i bambini che sono scappati dalla guerra in Ucraina», ricorda Ernesto Caffo, presidente di Telefono azzurro.
L’ex sottosegretario Ferri
Decisi di andare di persona in Ungheria. Trovai un muro: non sapevano dirmi neppure se la piccola andasse a scuola. Eppure la madre c’era: si costituiva sempre in giudizio
Adelio, Chantal, la piccola Laura. Storie di bambini scomparsi e di genitori affranti.
Papà Francesco continua a mandarci i video dei bombardamenti di Donetsk: «Me l’ha portata proprio lì, in quell’inferno... brutto, molto brutto».