la Repubblica, 6 ottobre 2022
Il “Trono di spade” del potere russo
MOSCA – «Ben detto, Ramzan. Sei un grande». L’inusuale endorsement del capo dei mercenari Wagner Evgenij Prigozhin nei confronti del leader ceceno Ramzan Kadyrov non sarebbe stato casuale. E neppure i loro durissimi attacchi in simultanea contro l’esercito per la «ritirata su posizioni più vantaggiose» da Lyman. I due starebbero tramando per rovesciare il ministro della Difesa Serghej Shojgu e rimpiazzarlo con Aleksej Djumin, attuale governatore di Tula ed ex “guardia del corpo” di Vladimir Putin, nonché suo papabile successore. Un “gioco dei troni” tutt’altro che distopico che si intreccia con la corsa alla successione dello stesso leader del Cremlino che, alla vigilia del suo 70esimo compleanno, sta affrontando la sfida più seria in un quarto di secolo al potere. Quanto la macchinazione della strana coppia del ceceno e dello “chef” possa riuscire è da vedere.
Kadyrov e Prigozhin sono gli «uomini da tenere d’occhio», concordano diverse fonti russe, gli esponenti più radicali del cosiddetto “partito della guerra” che invoca l’escalation in Ucraina. Hanno tre cose in comune: dispongono di “eserciti privati”,devono tutto al presidente, e sono in lotta con Shojgu. Ramzan Kadyrov, 45 anni, è il “mastino di Putin”, il suo “soldato di fanteria”. Governa la Cecenia come un feudo. Gode di autonomia e fondi illimitati in cambio di stabilità nell’ex Repubblica ribelle. I suoi uomini, ikadyrovtsy, sono una milizia paramilitare al suo comando. Evgenij Prigozhin, 61 anni, invece, è l’uomo del lavoro sporco. Era un oscuro ristoratore dal passato criminale prima che il presidente decidesse di appaltargli il catering del Cremlino dopo una cena in un suo locale. Da qui il nomignolo di “chef di Putin”. E anche i contratti milionari che lo hanno portato a capo della “fabbrica dei troll” di SanPietroburgo e della compagnia di mercenari Wagner. Per anni ne aveva smentito la paternità fino alla rivendicazione di qualche giorno fa seguita a un video in cui recluta prigionieri.
Quando la Difesa ha ammesso il «ritiro» da Lyman, Kadyrov e Prigozhin si sono lanciati in dure invettive contro l’esercito. E non era la prima volta. Una complicità segno di una combutta, stando ad Andrej Pertsev, analista di Carnegie Politika con ottime fonti al Cremlino. Entrambi hanno conti in sospeso con Shojgu. Lo scorso giugno la Difesa ha informato Kadyrov che creerà nuove formazioni militari in Cecenia che rispondano a Mosca, non più a lui.Mentre, secondo la newsletter The Bell,Shojgu ha tagliato i contratti di Prigozhin da 27 miliardi di rubli (452 milioni di euro) nel 2015 a poco più di un miliardo (1,6 milioni) e per di più è in ritardo coi pagamenti. Il duo avrebbe perciò cercato il consenso dell’ex pretoriano Aleksej Djumin, veterano delle Fso (il Servizio di protezione federale del presidente) ed ex viceministro della Difesa che avrebbe guidato le forze speciali durante l’annessione della Crimea prima di essere nominato governatore di Tula nel tentativo, si dice, di avvinarlo al popolo in vista di una futura successione al Cremlino. Secondo le fonti di Pertsev, Djumin aspirerebbe a tornare alla Difesa, ma al posto diShojgu. E Kadyrov e Prigozhin non avrebbero altro che da guadagnarne. Djumin sarebbe anche un’assicurazione sul loro futuro. Se Putin davvero lo indicasse come suo delfino, il ceceno e lo chef continuerebbero a godere di favori anche nell’ipotesi di un avvicendamento al Cremlino.
Le probabilità che il cambio di poltrone riesca, mette in guardia Pertsev, tuttavia non sono molto alte, benché se ne discuta. Rimpiazzare Shojgu nel bel mezzo dell’offensiva vorrebbe dire ammettere i fallimenti sul campo. E Putin se ne guarda bene. Ieri tra l’altro il Cremlino ha promosso Kadyrov al grado di colonnello generale, terzo grado più alto nella gerarchia militare russa, ma ha preso le distanze da Prigozhin. È «soltanto un cittadino russo», ha detto il portavoce Dmitrij Peskov. E Putin ha approfittato di un video-incontro con un gruppo d’insegnanti per rispolverare un capitolo di storia reso memorabile da La Figlia del Capitano di Pushkin: la rivolta contro Caterina la Grande di Emeljan Pugaciov, finito giustiziato in Piazza Rossa. «Credeva di essere lo Zar», ha detto. «Era un elemento di debolezza dell’autorità centrale». Un’allusione sibillina tutta da decifrare. Una cosa sola è certa. Anche nel Trono di Spade di Putin, si vince o si muore. Pugaciov insegna.