il Giornale, 6 ottobre 2022
I 150 anni del Manzoni
Il Teatro della Commedia, inaugurato nel 1872, mutò il suo nome, alcuni mesi dopo, in Teatro Manzoni, dopo la morte, nel 1873, del grande poeta e romanziere milanese. Era ubicato in Piazza San Fedele a Milano e divenne, tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, il più ambito dagli autori e dagli attori del tempo che lo consideravano la Scala della Prosa. Il primo debutto avvenne con una novità italiana: Il geloso fortunato di Giovanni Giraud, alla presenza di tutta la Milano che contava, proprio come una Prima alla Scala. Sappiamo anche l’incasso della serata: 4.169 lire, una bella cifra, visto che il teatro superava appena i mille posti.
C’è da dire che, grazie alle innovazioni tecnologiche, con nuovi criteri di riscaldamento e di illuminazione elettrica, fu il teatro più all’avanguardia e il più richiesto dalle Compagnie. L’inaugurazione, col nome «Manzoni», avvenne la sera del 30 maggio 1873, con il Kean di Dumas, realizzato dalla Compagnia che faceva capo a Ernesto Rossi, uno degli attori più acclamati. Da quel momento, il palcoscenico del Manzoni poté annoverare il nome di Eleonora Duse che vi debuttò con Divorziamo di Sardou, replicando il successo con Cavalleria rusticana di Verga e con La Gioconda di D’Annunzio, insieme a Ermete Zacconi ed Emma Gramatica. Sono le avvisaglie di quello che diventerà il Manzoni agli inizi del ’900, quando sarà ritenuto il teatro della drammaturgia italiana, ma non solo.
I nomi fanno parte della storia del teatro (ricordata nel libro fotografico pubblicato per l’occasione del «compleanno» da Mondadori: Teatro Manzoni Milano: 150 anni di emozioni): si va da Verga a D’Annunzio, da Praga a Giacosa, da Rovetta a Traversi, da Bertolazzi a Lopez, da Rosso di San Secondo a Pirandello, autori che, con le loro trame, costruirono uno stile, quello del Verismo, del Naturalismo e del Pirandellismo.
Alcuni di questi portarono in scena il rapporto tra amore e denaro, con tutte le sue varianti: Denaro-onore, Denaro-libertà, Denaro-riscatto, mentre il Verismo portò in scena il problema delle disuguaglianze e della miseria, con In portineria, La caccia al lupo e La caccia alla volpe di Verga. Grazie alla fama che si era costruita, il Manzoni ospitò Compagnie straniere inglesi, francesi, russe che lo scelsero durante le loro tournée in Europa e diede spazio alla drammaturgia d’oltre Alpi con testi di Becque, Sardou, Ibsen. Tra i grandi nomi, non mancò quello di Sara Bernhardt. Il pubblico partecipava numerosissimo, anche se, non sempre, copriva i costi di gestione che diventavano sempre più elevati. Nel frattempo, il Teatro Olimpia, sito in Largo Cairoli, cercò di diventare il suo rivale, dopo la chiusura del Teatro Re, oggi diventato il Teatro Studio del Piccolo. Si pensò anche di creare una Compagnia Stabile, di cui si sarebbe occupato Marco Praga.
Nel frattempo, sarà Pirandello a legare il suo nome, al Manzoni, proprio all’inizio della sua carriera di drammaturgo, con le novità: Se non così che cambierà il titolo in La ragione degli altri, L’innesto ed Enrico IV, il grande successo di Ruggero Ruggeri, per cui aveva scritto I sei personaggi che, però, andarono in scena, senza di lui, al Teatro Valle di Roma, dove fu fischiato, ma che, alcuni mesi dopo, proprio al Manzoni, assaporò il successo, grazie alla recensione positiva dei critici e, in particolare, di Renato Simoni.
Arrivati gli anni del Fascismo, la programmazione subì notevoli cambiamenti dovuti a Farinacci che pretese il debutto di un suo testo Redenzione, dal titolo abbastanza emblematico, rappresentato nel 1927, anno in cui iniziò il declino del teatro anche perché lo si voleva usare come propaganda del partito, declino che durò fino al 1943, quando, dopo il successo di Paola Borboni, con una trilogia pirandelliana (La vita che ti diedi, L’amica delle mogli, Vestire gli ignudi), il teatro subì un incendio, lasciandone solo la carcassa. Sette anni dopo, nascerà il Teatro di Via Manzoni, progettato dall’architetto Bergonzo, decorato, nell’atrio, da Achille Funi che avrà come primo direttore Remigio Paone che alternerà la prosa con la rivista, a cui seguiranno Adolfo Smilide, arrivato con capitali genovesi, che affidò la direzione a Ivo Chiesa, futuro direttore dello Stabile di Genova, e ancora, Carlo Alberto Cappelli e la Baronessa Blanc che chiamò, come General Manager, Pino Correnti il quale dovette affrontare la contestazione sessantottesca con nuove proposte come Ferai di Eugenio Barba e il musical Hair.
Nel 1978, Silvio Berlusconi, che era stato allievo presso l’Accademia dei Filodrammatici, dove si erano diplomati Giorgio Strehler e Franco Parenti, evidenzierà la sua passione per il teatro, molto prima di quella politica. Nel giro di un anno, gli abbonamenti superarono le diecimila presenze, un vero «assicurato» per le Compagnie che facevano la fila per recitare al Manzoni, sul cui palcoscenico rinnovato, passarono Eduardo, Bramieri, Gasmann, Lionello, Milva, Vanoni, Albertazzi, Orsini, Falk, Valli, De Lullo, il gotha del teatro italiano. Ancor oggi, sotto la direzione di Alessandro Arnone, grazie anche a una sua variegata programmazione, il Manzoni continua a essere il salotto bene di Milano, benché certa borghesia del centro si sia spostata a sinistra, frequentando il Piccolo e il Parenti.