la Repubblica, 15 settembre 2022
Intervista a Edoardo Albinati - su "Uscire dal mondo" (Rizzoli)
Un giovane detenuto di un carcere minorile, ingombrante per la sua stazza e i suoi pensieri, intorno al quale ruota un girotondo di figure che paiono quasi ectoplasmi al cospetto della sua fisicità dirompente. Un sacerdote dai segreti ben conservati al buio della sacrestia e una ragazza afflitta da una m alattia che pare la condanna divina all’immoralità dilagante, una piaga biblica. Un artista che celebra il dissolversi della sua fama con una festa che pare preludere alla fine. Dell’arte e della vita. Sono i personaggi dei tre racconti che compongono Uscire dal mondo (Rizzoli), il nuovo libro di Edoardo Albinati - premio Strega nel 2016 per La scuola cattolica, uno dei romanzi italiani più belli e controversi degli ultimi anni - uniti dal filo della solitudine, dell’isolamento. Scelto, voluto, oppure provocato dagli altri, imposto. Frequentatore e osservatore della reclusione per la sua attività di insegnante nel carcere di Rebibbia, in questi racconti - che presenta venerdì 16 settembre alle 18 alla Biblioteca delle Oblate insieme a Francesco D’Isa, ospite della rassegna Intemporanea - Albinati ci sbatte in faccia una dolorosa verità. Tutti siamo soli.
L’isolamento forzato dovuto alla pandemia ci ha fatto prendere coscienza di questo?
"La solitudine è sempre stato uno dei grandi temi dell’esistenza, ma negli ultimi anni questo sentimento era già dilagato; ora, con la pandemia, non si è salvato più nessuno. La solitudine è diventata un’esperienza collettiva, universale, trasversale, che non riguarda solo chi ammette d’esser solo. Che, poi, il paradosso vuole siano soprattutto persone sposate, nonostante abbiano ogni giorno una persona accanto".
La solitudine è anche un topos letterario.
"Esistono due tipi di isolamento: quello che subisci perché è la società ad ostracizzarti, a farti fuori. Ma anche il bisogno, coltivato da ognuno di noi, di non voler più passare dalle forche caudine del giudizio degli altri. Desiderio così esteso da spingermi a rifiutare la definizione di uomo come animale sociale tout court, ormai davvero poco calzante. La figura della scrittore è ambigua, contraddittoria, ambivalente, tiene i piedi in tutte e due le staffe: non esistono opere concepite fuori dal mondo perché la letteratura parla del mondo. Ma qualcuno ha realizzato il proprio capolavoro grazie all’uscita dal mondo. Se Dante o Machiavelli non fossero stati estromessi dalla loro realtà sociale, non sarebbero nate né La Commedia né Il principe ".
C’è un rapporto tra la solitudine e la morte, tema ricorrente nei tre racconti?
"Se si trattasse di un’equazione, avrebbe una chiave esclusivamente negativa: la sterilità dello star soli coincide con la fine della vitalità, con la morte civile, come suggerisce lo struggente finale del Misantropo di Molière in cui Alceste chiede a Celimene di fuggire nel deserto, ma lei rifiuta. Esiste però un’analogia quando la volontà di isolarsi si sublima nella ricerca di un livello di esistenza meno compromesso con tutte le basse cose a cui la vita sociale ci costringe. Per qualcuno, l’isolamento può essere anche una specie di resurrezione: la via per trovare finalmente se stessi al di là di tutto ciò che obbliga. Della chiacchiera. Visti i giorni che stiamo vivendo, del battibecco politico".
Il libro inizia con un giovane detenuto, quindi un ultimo. E si chiude con un artista, con un aristocratico dell’intelletto. La solitudine opera un livellamento sociale, ristabilisce un equilibrio tra le classi?
"I tanti personaggi che paiono comprimari di ogni racconto, ma che in realtà hanno una funzione drammaturgica pari ai personaggi principali, vivono una forma d’isolamento da cui più o meno disperatamente cercano di uscire. Dunque sì, davanti alla solitudine tutti siamo uguali, anche se si presenta in forme differenti, riferibili soprattutto ai legami affettivi. Al rimpianto di non avere una famiglia, degli amici, qualcuno che ci stia ad ascoltare o addirittura ci ami".
A tutti i personaggi di Uscire dal mondo manca qualcosa.
"L’individuo è di per sé carente. E anche quando riceviamo attenzione, ne bramiamo ancora, sempre più. Il bacio, ad esempio: è un gesto talmente bello che non ti sazia ma ne vorresti un altro, e poi un altro, e poi un altro...".
La frammentazione di un tema attraverso tanti soggetti è ricorrente nei suoi libri.
"Non è solo un metodo compositivo ma una modalità di vedere le cose che definirei prismatica. Ne nasce dunque una narrazione che somiglia a quei globi rifrangenti delle discoteche le cui sfaccettature, ruotando, proiettano raggi di luce dal colore differente. Una delle mie ambizioni di scrittore è riuscire a dare un senso di totalità di un tema, una vicenda. Soprattutto, di un ambiente e dei personaggi che lo popolano, che da sempre sono il mio punto di partenza".
Ma anche la Storia, con i suoi eventi grandi o piccoli, pare esserlo.
"Mi vedo come come un traghettatore. Come un corriere che prende una cosa da un parte e la trasporta dall’altra, che trasferisce un ready made dalla vita alla scrittura. Questo significa avere una funzione molto diversa da quella che, in modo arrogante, viene definita creativa. Non ho mai tollerato la parola creatività.
Dunque, preferisco reputarmi un ben più modesto go between che facendo la spola tra due mondi, torna fra i suoi smili portando qualcosa da un altrove".
Tre racconti, tre modalità di scrittura diverse, con un finale fluviale, libero dai codici dell’interpunzione. Quanto il racconto è un’opportunità di sperimentazione stilistica e di idee?
"Sono due le peculiarità di questa forma. La prima: si può leggere tutto in una seduta. Poe diceva che, dal punto di vista estetico, il racconto è superiore al romanzo proprio per la stringatezza di lettura, mentre il romanzo chiede interruzioni e ritorni (ma questa non è la bellezza della narrazione lunga?). La seconda caratteristica: il racconto ha da essere perfetto, mentre il romanzo è imperfetto per sua natura. La struttura ampia rende quasi necessario il ristagnare delle parti morte, meno interessanti. Che però preparano alle scene madri. Il racconto è difficile da praticare, sembrerebbe meno ambizioso del romanzo, ma lo è molto, molto di più.
Per questo, vale la pena provarci".