Vanity Fair, 21 settembre 2022
Da "Bello, sembra un quadro. Controstoria dell’arte" di Francesco Bonami (Feltrinelli)
Per capire l’attrazione fatale che la pittura ha sulla gente bisogna vedere chi, pur potendosi permettere di non dipingere, avendo raggiunto il successo economico o la fama mediatica e popolare con altri mezzi e percorrendo altre vie, decide ugualmente di sottoporsi al supplizio di creare opere d’arte spesso inguardabili.
Come sempre ci sono sorprendenti eccezioni, ma nella maggior parte dei casi l’avventura pittorica è, per chi deve osservarla, un incubo a occhi aperti. La lista è lunghetta. Spesso quello o quella che sullo schermo uno se lo/la mangerebbe, sulla tela fa venir da vomitare. Lucy Liu, quella di Kill Bill e Charlie’s Angels, per citare due dei suoi film più famosi, come artista ne fa di tutti i colori causando allo sfortunato spettatore enormi dolori. James Franco (Spider-Man), non proprio un cane ma quasi, è riuscito a fare mostre persino in qualche galleria famosa, ma non si capisce il perché. Fa quadri che sono un misto tra il figurativo trucido e il graffitaro sfigato. È chiaro che ha bisogno di sfogarsi, uscire dal ruolo, ma sarebbe meglio non s’infilasse nella tela.
Viggo Mortensen – Captain Fantastic e Green Book, per dire due film che gli hanno fatto avere la nomination per l’Oscar come migliore attore – è uno cui bisogna stare attenti perché quasi quasi ti frega. A qualcuno i suoi quadri potrebbero anche piacere; io conoscevo un tizio che era un vero pittore e li faceva quasi uguali, aveva però la scusa di non avere la soddisfazione di essere un grande attore, mentre Mortensen questa scusa non ce l’ha. Potrebbe comodamente godersi il proprio successo senza toccare matite o pennelli.
Sylvester Stallone non ha bisogno di presentazioni e i suoi dipinti sono così brutti che forse può anche essere perdonato, lo fa solo per ammazzare il tempo e chi se li trova davanti. Inoltre, è coerente con i suoi ruoli: Rocky perché sono un pugno nello stomaco, e Rambo perché sono letali come uno dei suoi fucili d’assalto.
Ci sono poi sorprese. Marilyn Monroe non è solo il soggetto del dipinto contemporaneo più costoso mai venduto a un’asta, 195 milioni di dollari, di Andy Warhol, ma nella solitudine della sua casa si dilettava a dipingere innocue roselline, impedirglielo sarebbe stato un crimine, visto anche come è andata a finire tragicamente la sua vita. Se è stata uccisa, come alcuni dicono, il movente non è stato di certo il fatto che era una pessima pittrice.
David Bowie: la sua pittura non metteva sicuramente in discussione il suo talento di musicista. Il ritratto di un bambino in fondo a una scala del 1977 potrebbe anche essere motivo per sospendere la pena di morte, ma poi con il passare degli anni le prove a suo carico come Jack lo smerdatore si accumulano e allora meglio tapparsi gli occhi e ascoltare solo le sue canzoni.
Anche Miles Davis era un assatanato pittore. L’artista David Hammons come provocazione
inserì due dei suoi dipinti dentro una Biennale del Whitney Museum a New York, ma nonostante questo tentativo di redenzione la pittura del fenomenale trombettista rimane pessima.
Dei quadri di Sir Anthony Hopkins si potrebbe dire “Il rumore dei colpevoli” e lui dovrebbe essere cucinato, come farebbe il suo personaggio Hannibal Lecter, a fuoco lento con la testa fuori dalla pentola in modo da potergli far guardare, mentre cuoce, le sue stesse nefandezze artistiche.
Non male invece Dennis Hopper (Easy Rider e Apocalypse Now), che ha avuto anche una vera mostra al Museo di Arte Contemporanea di Los Angeles. Faceva un po’ di tutto, dalle foto alla pittura, ma forse grazie agli spinelli fumati molte cose gli venivano anche bene.
C’era poi James Dean, morto appena in tempo visto che i suoi dipinti erano preoccupantemente simili a quelli di un artista italiano, Emilio Scanavino. Si potrebbe andare avanti all’infinito. Ma preferiamo lasciare spazio alla nostra retina per respirare. Dipingere è una bellissima attività anche se – gli esempi fatti sopra lo dimostrano – può tramutarsi in un crimine, non penale forse, ma sicuramente civile. È strano che persone capaci di esprimersi ad altissimi livelli in altri campi scelgano di deprimersi a bassissimo livello attraverso la pittura. Si potrebbe fare un orribile paragone con l’uso delle armi negli Stati Uniti. Il problema di un fucile semiautomatico e di un pennello è che, quando sono accessibili a tutti a poco prezzo, diventano pericolosissimi. Ma mentre proibire la vendita delle armi dovrebbe essere un dovere morale di una società civile, impedire di comprare un pennello sarebbe un attentato alla libertà di espressione, non importa se poi il suo uso può causare una forte depressione a chi è costretto a vederne il risultato.