Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  ottobre 05 Mercoledì calendario

Intervista a Franco Bernabé

«I problemi stanno diventando sempre più seri, ma capiremo quanto soltanto tra gennaio e febbraio, il momento in cui il fabbisogno di metano è massimo. Gli stoccaggi che abbiamo correttamente riempito non basteranno e ci vorrà un flusso continuo dall’estero: però il gas russo non ci sarà», dice Franco Bernabè, ex amministratore delegato dell’Eni e, dal 2021, presidente di Acciaierie d’Italia. Temeva la tempesta perfetta, e la tempesta è arrivata. «Adesso – spiega – stiamo godendo di un periodo di grazia eccezionale, fa caldo e c’è un eccesso di gas ma tutto è destinato a finire appena cambierà la situazione climatica».
Presidente, quanto sarà difficile l’inverno?
«Il problema vero è che non esistono soluzioni nel breve periodo. Le difficoltà di cui oggi soffriamo sono il risultato di scelte che si sono accumulate nel corso di due decenni. Possiamo solo ottimizzare le disponibilità di metano nel corso dell’inverno con una strategia di razionamenti che minimizzi i danni: ma serve un piano estremamente dettagliato in modo da tutelare i servizi essenziali».
A cosa si riferisce?
«Agli ospedali, alle residenze per anziani. E poi alle imprese, a partire da quelle energivore. Andranno tutelate anche le famiglie, in particolare al Nord, dove fa più freddo».
Chi potrebbe fermarsi?
«Occorre immaginare un piano per rimodulare la produzione delle industrie che hanno catene interrompibili. Se poi non sarà necessario attuarlo tanto meglio, ma intanto ci saremo preparati. Senza un piano ci troveremo nelle stesse condizioni in cui ci siamo trovati all’inizio della pandemia: impreparati a gestire l’emergenza».
Il dibattito sul prezzo del gas a questo punto sembra superato...
«È così. È ridicolo pensare a un tetto sul gas russo che oramai non c’è quasi più. Occorrerebbe dare mandato all’Unione europea di negoziare il prezzo del gas per tutti, come si era fatto per i vaccini, ma non vedo una grande voglia di andare in questa direzione. La verità è che è stata proprio l’Ue a smantellare il sistema dei grandi approvvigionatori che avevano garantito per decenni disponibilità e prezzi competitivi del metano. Negli Anni Ottanta e Novanta l’assetto del mercato era molto più solido: in Europa c’era una grande produzione interna di gas e le forniture dall’estero erano gestite da tre o quattro grandi compratori che erano in grado di negoziare da posizioni di forza con Gazprom o con l’Algeria».
Poi che è successo?
«L’Ue ha riformato il mercato rendendolo competitivo dal lato della domanda senza poter influire su quello dell’offerta. I grandi compratori sono stati smantellati, la struttura si è indebolita. E questa situazione non è rimediabile: bisognerebbe tornare indietro di vent’anni rovesciando i tre pacchetti di direttive che hanno riformato il mercato del gas».
Si parla di sganciare il prezzo dalla Borsa di Amsterdam: basterà?
«Non mi sembra una soluzione capace di risolvere la crisi che stiamo affrontando. Il mercato è stato organizzato in questo modo da tempo, occorrerebbe ricostruire l’integrazione verticale che aveva fatto la forza dell’industria europea ma non mi sembra una opzione percorribile».
Più Stato e meno mercato, dunque?
«È più complesso. Negli Stati Uniti da sempre c’è un mercato molto competitivo. Ma negli Usa c’erano tanti produttori di gas e tanti consumatori ed era necessario avere un hub. Quando ha trovato il gas nel mare del Nord, l’Inghilterra ha adottato la stessa struttura. L’Unione europea guardando a queste esperienze ha cercato di creare un mercato competitivo e smontato i monopoli integrati: Eni aveva le infrastrutture con la Snam, la distribuzione con Italgas. A un certo punto questo a Bruxelles non è più andato bene. In più, ha chiesto di smontare i contratti a lungo termine, con cui l’Eni e gli altri soggetti europei avevano il pieno controllo. Quello in cui ci muoviamo oggi è un mercato con una molteplicità di soggetti molto più deboli nei confronti dei grandi produttori di gas».
Che cosa deve fare ora l’Ue?
«Non bisogna pensare che esistano soluzioni immediate e che le rinnovabili siano l’unica risposta da dare alla crisi: le fonti fossili, che lo si voglia o no continueranno ad avere un ruolo per lungo tempo. Occorre allo stesso tempo evitare di fare troppi passi indietro nel processo di decarbonizzazione ed evitare di compromettere la sicurezza degli approvvigionamenti di energia. Non si può dire “smettiamo di esplorare e di costruire le infrastrutture”. Una politica energetica realistica richiede che si cerchi la compatibilità tra costi, sicurezza ed esigenze di tutela ambientale».
Dall’inizio della crisi i governi europei hanno destinato 230 miliardi di euro al sostegno di famiglie e imprese colpite dalla crisi, ora si aggiunge il maxipiano di Berlino. I sussidi sono l’unica strada?
«Fare interventi strutturali è molto difficile, è chiaro che dovranno continuare ad essere erogati interventi di sostegno alle famiglie e alle imprese. Lo ha fatto il governo Draghi e lo dovranno continuare a fare anche i prossimi governi».
Ha detto che negli Anni 70 ancora più importanti delle decisioni dei governi furono i comportamenti di imprese e famiglie in conseguenza degli aumenti di prezzo: dopo i grandi sacrifici fatti in pandemia siamo pronti all’austerità?
«L’aumento dei prezzi è così violento che imporrà dei comportamenti virtuosi. Io penso che famiglie e imprese si concentreranno con grandissimo impegno sul risparmio energetico perché i costi sono insostenibili. Certo, negli Anni 70 la reazione politica alla crisi energetica ha prodotto risultati importanti, poi abbandonati. Il piano di Donat-Cattin del 1975 puntava ad accelerare il programma nucleare italiano e a ridurre i vincoli per l’insediamento di nuovi impianti di energia. Credo che inevitabilmente la situazione porterà a scelte politiche diverse rispetto a quelle degli ultimi anni soprattutto in termini di infrastrutture».
Si tornerà al nucleare?
«Questa crisi gli darà un nuovo impulso. E dovrà essere dato un impulso anche allo sviluppo del gas. In Italia si dovrà riprendere l’esplorazione e lo sviluppo di idrocarburi, senza compromettere la spinta verso le rinnovabili. Tra due o tre anni avremo una situazione del mercato energetico molto più favorevole e allora i prezzi scenderanno. I russi avranno metano che non sapranno a chi vendere. Entreranno in produzione nuovi sviluppi che si stanno facendo in molti Paesi, soprattutto in Qatar ma anche negli Stati Uniti».
Dunque, la situazione migliorerà?
«Sì, penso a partire dal 2025. Ma bisogna arrivarci vivi». —