Corriere della Sera, 5 ottobre 2022
Caso NYU, quando gli studenti fanno licenziare i prof
A 84 anni Maitland Jones è un luminare della chimica. Il suo manuale di chimica organica è adottato in molte università. Oltre che un illustre scienziato è considerato – dai suoi colleghi e da tanti allievi – un innovatore nella didattica. Ma dopo una brillante carriera a Princeton e più di recente alla prestigiosa New York University, Jones è stato licenziato in tronco. Non per raggiunti limiti di età. Al contrario, per troppa dedizione alla sua missione. Il suo esame, da sempre uno dei più selettivi, non è piaciuto a 82 dei suoi studenti: quelli che hanno avuto brutti voti (su un totale di 350). Coloro che un tempo si sarebbero definiti i meno meritevoli – espressione oggi inaccettabile – hanno firmato una petizione. E la New York University ha licenziato il docente. Il direttore responsabile del reclutamento di nuove matricole, Marc Walters, non fa mistero della motivazione: «Allunghiamo una mano gentile verso gli studenti e coloro che pagano le loro rette». Cioè i genitori. Se uno studente non ha borse di studio o altre agevolazioni, il costo dell’università può arrivare a 70.000 euro l’anno. Il cliente ha sempre ragione, se paga queste cifre ha ancora più ragione. A nulla è valso lo sdegno di altri docenti, né dei tanti studenti che difendono Jones. Il caso è finito in prima pagina sul New York Times. Tra le righe s’invoca comprensione verso la Generazione Z, che ha subito la pandemia e la didattica a distanza. Lo stesso quotidiano però ricorda che Jones cominciò a notare un inquietante calo di apprendimento già da un decennio. Tra le possibili cause andrebbe approfondito l’effetto distruttivo dei social media sui cervelli di una generazione – tema su cui si accumulano indagini dalle conclusioni drammatiche. Per adesso la tendenza dominante negli Stati Uniti è un’altra: assolvere sempre i giovani.
Lo scandalo della New York University è solo l’ultimo di una catena di episodi che investono l’intero sistema americano dell’istruzione. Nella scuola secondaria superiore un movimento che si definisce progressista ha preso d’assalto la meritocrazia. Nell’Oregon, poiché gli studenti afroamericani avevano i risultati peggiori negli esami di matematica, quelle prove sono state abolite. Il provveditorato agli studi di San Francisco, per aiutare le minoranze etniche come i black e i latinos, ha abolito la selezione basata sul merito all’ingresso di alcuni licei pubblici. In quest’ultimo caso però la logica «etnica» si è ribaltata contro i suoi promotori. A San Francisco esiste una delle più antiche comunità cinesi degli Stati Uniti. Gli asiatici si piazzano in testa alle classifiche per l’apprendimento, fanno incetta di borse di studio, e alla fine sono la componente etnica con il reddito più alto, superiore ai bianchi. La Chinatown di San Francisco fonde l’etica confuciana (spirito di sacrificio, senso del dovere, obbedienza alle gerarchie e valore dell’istruzione) con un’idea dell’America come terra delle opportunità per chi ha talento e voglia di lavorare. Da lì è partita una rivolta contro l’anti-meritocrazia. Un referendum popolare ha decapitato il provveditorato agli studi (i cui dirigenti sono eletti). L’esempio di San Francisco è stato replicato più di recente a New York. Anche la Grande Mela aveva smantellato la selezione all’ingresso di licei pubblici e deve fare dietrofront. La controffensiva è partita anche qui dai genitori asiatici, decisi a difendere la qualità del sistema educativo americano.
L’università è vulnerabile all’assalto contro la meritocrazia per la logica del business su cui si regge. Pubblici o privati, gli atenei sono soggetti alla dittatura del bilancio. L’iperinflazione delle rette universitarie non ha eguali al mondo. Non a caso il debito degli studenti è uno dei temi che influirà sulle elezioni legislative di metà mandato, l’8 novembre. Joe Biden ha varato un controverso provvedimento che cancella i debiti bancari degli studenti fino a 20.000 dollari a testa, con un costo complessivo di 400 miliardi per le finanze pubbliche. È considerata dai suoi strateghi elettorali come una mossa vincente per catturare i voti della Generazione Z. Ha suscitato anche tante critiche. È un trasferimento di risorse dalle classi lavoratrici che pagano le tasse ma non mandano i figli all’università, a favore dei ceti medi con laurea. È un condono implicito per l’avidità delle università, la cui corsa al rialzo delle rette viene assecondata da una pioggia di denaro pubblico. Il caso della New York University aggiunge un allarme: le rette stratosferiche non sono sinonimo di eccellenza accademica, in un mondo dell’istruzione dove «comandano i ragazzini», di preferenza i bocciati.