la Repubblica, 5 ottobre 2022
Intervista a Niccolò Ammaniti
Ma Like a virgin di Madonna parla d’amore o di sesso? Da questa domanda, sviluppata in un diner di Los Angeles da un manipolo di gangster in giacca nera, camicia bianca, cravatta scura, partiva trent’anni fa la sanguinaria e visionaria carriera da regista di Quentin Tarantino. Le Iene, il suo primo film, arrivava in sala il 9 ottobre del 1992. L’ascesa verso lo status di cult fu velocissima, fatta di visioni multiple in sala e a casa.
«All’inizio me lo persi, poi misi le mani su una videocassetta. Lo guardavo come si legge un libro: più volte, cercando nuovi dettagli. Poi arrivòPulp Fiction» dice Niccolò Ammaniti, Premio Strega, sceneggiatore e regista, cui a metà anni 90 fu affibbiata quell’etichetta,pulp— faceva parte del gruppo degli scrittori cosiddetti “cannibali” – che ancora emerge in filigrana quando si parla dei suoi libri e dei suoi film.
Ammaniti, come è invecchiato “Le Iene”?
«È invecchiato molto bene».
Non per merito di quello che racconta.
«Assolutamente no. La storia è la rielaborazione di un classico. Una rapina finita male a causa di una talpa della polizia. La novità di Tarantino è nella scrittura. E nelle due modalità in cui si “scrive” cinema».
La prima.
«La sceneggiatura: quei dialoghi in controtendenza rispetto all’azione sono ancora oggi una novità.
Tarantino fotte lo schema in base alquale il dialogo spiega l’azione, con l’effetto di avvicinare subito lo spettatore ai personaggi: parlano come noi, stesso linguaggio, argomenti. Qualcuno l’aveva già fatto, anche in Italia con i western. Ma “qui è tutto ponderato. Tarantino ha studiato per farlo».
La seconda modalità?
«Il montaggio. La struttura non lineare de Le Iene, messa a punto poi inPulp Fiction, è forse superiore anche alla sceneggiatura stessa».
C’è chi definisce “Le Iene” un film “letterario”.
«La letteratura guadagna spesso degli spazi di narrazione non lineari che hanno a che fare con il pensiero e l’individualità dei personaggi.
Accade anche ne Le Iene dove l’oggetto del film, la rapina, non lavediamo mai. Poi c’è quel trattamento teatrale che all’inizio me lo rese straniante. Invece è di una efficacia narrativa assoluta».
Tarantino fu criticato perché “scarsamente realista”.
«Non è necessario attenersi alla realtà per scrivere un libro o fare un film. L’importante è stabilire con chi legge o chi guarda un rapporto di credibilità sui personaggi. Parlare diLike a virgin o di olive ascolane mentre prepari una rapina ti permette di costruire un doppio piano: aggiungi all’azione l’empatia. E stai bene, anche se tutto sembra eccessivo, perché sei vicino al personaggio».
In quel film è eccessiva anche la violenza.
«Per questo ti suggerisce di non
crederci, ti ricorda che sei al cinema anche per divertirti. Ne Le Iene le pistole sparano più colpi di quelli contenuti nei caricatori, nessuno ha mai perso tutto quel sangue come fa Mr. Orange. La tortura che Mr.
Blonde infligge al poliziotto diventa una danza quasi comica sulle note diStuck in the middle with you.
Dovrebbe darti tutto fastidio, invece no. Tarantino è un maestro nel dosare i registri».
All’epoca diceva che voleva solo “scopare” con lo spettatore.
«L’aspetto ludico in un’opera è fondamentale. Ogni autore vuole giocare, stabilire una connessione per dire a chi legge o guarda: “Ora che ti fidi di me chiudi gli occhi e ti faccio fare un salto che non hai mai fatto”».
La scena che avrebbe voluto scrivere?
«Il finale. Dove appare un filo, l’amicizia tra Harvey Keitel-Mr. White e Mr. Orange, sottotraccia per tutto il film. E quella in cui Tim Roth, la talpa, deve imparare la storia da raccontare ai gangster per risultare credibile.
Roth odia i provini e Tarantino che fa? Gli scrive una scena che non è altro che la rappresentazione di un provino».
C’è chi la definisce ancora un autore pulp.
«Abbastanza noioso ma non mi dà fastidio. Ho fatto tante altre cose dopo e in direzioni diverse».
“Like a virgin” parla d’amore o di sesso?
«Sollecitata dal dialogo de Le Iene,Madonna disse che parlava d’amore.
Lo credo anch’io».