Corriere della Sera, 5 ottobre 2022
Fare i tortellini con Penelope Cruz
«È arrivata fresca come una rosa a casa mia, all’ultimo piano di un palazzo nel centro di Modena. Era un pomeriggio di metà luglio: il caldo scioglieva l’asfalto. Mi ha colpito la sua semplicità riassunta da un paio di jeans e una maglietta. Poi il sorriso: avvolgente, senza neppure un velo di rossetto. La prima parola che ci siamo scambiate? “Ciao”, come due amiche che non si vedevano da tempo».
Classe 1942, Marta Pulini, chef di fama internazionale – ha lavorato 15 anni, dal 1989 al 2004, negli Stati Uniti dove ha tenuto corsi presso il prestigioso Culinary Istitute of America, la scuola di De Gustibus dentro il Macy’s Herald Square, fiore all’occhiello dei grandi magazzini Macy’s di New York – parla del suo tête-à-tête con l’attrice spagnola Penélope Cruz, allora in Emilia Romagna per girare, insieme ad Adam Driver e Shailene Woodley, il biopic del regista Michael Mann dedicato a Enzo Ferrari.
Chef, dica la verità: aveva un po’ di ansia nell’aprire la porta a un Premio Oscar?
«No! Sono una genuina, io. A chi viene da me dico: “Siediti e mangia quel che di meglio so fare e ho da offrire, cioè la mia cucina”. E poi giocavo in casa: ero a mio agio».
La signora Cruz?
«Credo che si sia sentita accolta. A un certo punto ha persino preso in braccio i miei gatti: li ha accarezzati con una dolcezza rara. Forse perché non può tenerne per via di un’allergia di uno dei figli (Leonardo e Luna, avuti dal collega Javier Bardem, ndr). Alla fine aveva indosso una imbarazzante coltre di peli. Io? Mortificata. Lei non ha fatto un plissé».
Come è nata questa liaison al femminile?
«Per caso e grazie a un uomo. A luglio prestavo ancora consulenza alla Locanda in San Francesco di Modena. Alla fine del servizio, come d’abitudine, giravo tra i tavoli per tastare la soddisfazione degli ospiti. Un giorno capitò da noi Michael Mann, il regista. Mi trattenne. Voleva sapere tutto delle tradizioni emiliane e delle figure femminili degli anni Sessanta: doveva contestualizzare al meglio i suoi personaggi. Rimanemmo che un pomeriggio sarebbe venuta da me la Cruz, nel film Laura Garello, moglie di Enzo Ferrari. Così è stato».
Che cosa vi siete dette?
«Ho cominciato io, in inglese. Lei, di tanto in tanto, incalzava in italiano. Il suo modo per creare complicità. Abbiamo parlato della cucina emiliana. Mani in pasta, le ho insegnato a preparare i tortelloni. Lei ha chiesto lumi sulla ricotta. E con il mignolo ha fatto un tortellino. Il ricordo migliore delle tre ore insieme resta, però, un altro».
Cioè?
«Eravamo in sala, aria condizionata a manetta. Americani... Penelope sorseggiava un caffè ghiacciato con bevanda alla soia. Pensi che sono corsa a comprarla: in casa non piace a nessuno! Io ho iniziato a raccontarle della rezdora, in modenese la reggitora. Storicamente colei che portava avanti casa e famiglia, la cui giornata iniziava tirando su il sole dalla terra per riporlo la sera. Rimase colpita».
Da che cosa?
«Dalla forza di quelle donne. Che, poi, rivedo in lei: affatto diva, molto sicura di sé. Ha detto che tornerà. Mi piacerebbe: la inviterei a mangiare a casa mia, come si fa con gli amici più cari».