Corriere della Sera, 5 ottobre 2022
Intervista a Pierluigi Bersani
«Cosa fatta, capo ha».
Pier Luigi Bersani, ha già fatto pace con la batosta?
«Guardiamo avanti. Non ha senso rivendicare, né tornare sul già detto».
Gli errori di Letta?
«Siamo amici da una vita, ridicolo buttare solo su Letta la questione. Questa destra non è maggioranza nel Paese. Il problema nostro è costruire un progetto alternativo, che non si è presentato a queste elezioni. Bisognava dal giorno dopo del governo Conte II lavorare in altro modo, stringere i bulloni di un campo progressista».
E ora, da dove si riparte?
«Dallo scenario. In questi anni la forbice di disuguaglianza si è allargata drammaticamente, la fetta di italiani fuori gioco è cresciuta. Avremo mesi molto difficili, con forti tensioni sociali. E le élite, altro fattore di debolezza, hanno perso sensibilità sul fatto che questo Paese vada tenuto assieme».
Cosa dovrà fare il prossimo governo?
«La chiave di risposta si chiama solidarietà, altro che “cara Europa è finita la pacchia”. Credo che anche Meloni si renda conto che il modo di difendere gli interessi italiani è costruire una solidarietà europea, perché qualche Paese ha i soldi e noi abbiamo i debiti. Su questa prima sfida si vede subito che tipo di governo e di opposizione avremo. Serviranno soldi, tanti. E poiché noi diciamo no ai condoni e al debito, non resta che prenderli dove sono».
Non penserà a una tassa patrimoniale?
«Io penso che bisogna tirar su 20 o 30 miliardi dagli extraprofitti di quanti, tra Covid, armi ed energia, di soldi ne hanno fatti molti. E se non bastano, da una progressività delle patrimoniali che ci sono già. O ancora, da un contributo di solidarietà dei redditi più alti. Altrimenti non restano che i condoni e il debito».
Come valuta i rapporti tra Draghi e Meloni? Inciucio o transizione ordinata?
«Giorgia Meloni sta attraversando a nuoto il mare che c’è tra il dire e il fare».
Rischia di affogare?
«Nuoterà, magari ci arriva. Adesso ha a che fare con dei problemini e cerca di dare qualche colpo dal lato del politicamente corretto. Finita la traversata, se la destra è quella dei condoni, del rilassamento fiscale e del regalo alle corporazioni si troverà davanti a dei guai molto seri. Poi, andando avanti, immagino che vorranno mettere mano ad alcune loro bandiere, tipo toccare la Costituzione».
Gli italiani sono pronti per il presidenzialismo?
«Nel profondo, sui diritti o sulla flat tax, l’ondata di destra non c’è. Un solo punto può catturare ed è il presidenzialismo, ma a chi non ha riconosciuto il 25 Aprile gli italiani diranno no. Finché la Meloni e la sua compagnia non si rendono conto di giurare su una Costituzione repubblicana e antifascista credo che gli italiani non gli consentiranno di toccare una virgola della Costituzione».
Sta chiedendo a Meloni di abiurare il fascismo?
«Non voglio abiure, né condanne verbali. Ma a proposito di pacificazione Meloni deve prendere atto che il 25 Aprile è un fatto storico, come fanno gli aristocratici francesi quando festeggiano il 14 Luglio. Perché se non prendi atto della storia e della Costituzione su cui giuri è un bel problema. E vorrei informare che Bella ciao la stanno cantando in Iran e in tutto il mondo».
Il 26 settembre da destra vi hanno sbeffeggiati con un «belli, ciao!». La sinistra si rifonda col congresso Pd?
«Nell’assemblea in cui noi di Articolo Uno rompemmo col Pd, febbraio 2017, in epoca di conclamata catastrofe del renzismo, disperatamente invocammo con la voce di Guglielmo Epifani un congresso vero. Non per eleggere il capitano della nave, ma per mettere la nave su una rotta radicalmente nuova. Dopo cinque anni siamo ancora lì».
Il Pd va sciolto, come ha chiesto Rosy Bindi?
«Deciderà il Pd un percorso. Se c’è da dare un contributo di discussione noi ci saremo, non siamo mai andati via dall’idea di una sinistra di governo. Ma è chiaro che la prima domanda nostra sarà “alla fine del percorso c’è un partito nuovo o si montano i gazebo per scegliere il capitano?”. Questo è decisivo. Basta primarie. Il dilemma non è sciogliere o non sciogliere, è allargare, è l’esigenza di un profilo, di un collegamento con il tema del lavoro, di una forma partito adeguata. Io lo chiamo un partito nuovo».
E i 5 Stelle, fuori o dentro?
«Hanno mostrato sensibilità su temi acuti come povertà, ambiente, diritti, sobrietà della politica. Temi utili alla definizione di un campo progressista, ma che non toccano le strutture della uguaglianza da riprogettare: diritti e dignità del lavoro, fiscalità progressiva, welfare universalistico, politiche industriali e ambientali su cui da decenni la sinistra ha il know how e che non possono essere delegate ad altri».
Cosa dice a quei dem che sognano Conte leader?
«È un effetto ottico. I problemi non si risolvono con i leader, trovando il Mandrake o la Mandrake di turno».
Bonaccini, o Elly Schlein?
«Non tocca certo a me dirlo, per me un partito nuovo il leader lo fa dopo che ha discusso e deciso una linea, che questo leader sia in grado di rappresentare».
Meloni quanto dura?
«Non so quanto durano. Ma se cadono stavolta bisognerà andare a votare con una legge nuova, un proporzionale con possibilità di scegliersi il deputato. Se non vogliamo ritrovarci a votare in 4 gatti».
Se la terranno stretta, la legge che li ha fatti vincere.
«Insomma, se si organizzasse un campo progressista serio potrebbero dubitare di farcela al prossimo giro».