La Stampa, 4 ottobre 2022
Intervista a Max Cavallari
«Ha fatto come suo solito: ha improvvisato come un cretino». È tutto l’affetto e il dolore che prova per l’improvvisa scomparsa dell’amico Bruno Arena che Max Cavallari sfoga in queste parole. Era malato, si sapeva, ma era ormai cosa assodata, inserita in una quotidianità amicale e in possibili nuovi progetti insieme, Fichi d’India come sempre. E invece «ricoverato in ospedale per un’ernia, si è spento, di notte. In silenzio». È commosso Max, la voce è rotta, ma a tratti affiora il sorriso dei tanti bei ricordi insieme. Il sorriso dolente di quel «cretino» che solo un amico vero che si sente tradito dal destino può dire. «Ora sarà nell’Arena dei cieli, come dice il suo cognome, insieme a Tognazzi e Vianello, Chiari e Bramieri. Impegnati a chi la spara più grossa».
Chi era Bruno Arena?
«Uno con la testa sul comodino e i piedi nell’armadio. Un clown senza regole. Rompeva ogni schema, sul palcoscenico e nella vita reale. Per questo ci siamo subito trovati. In tour, mentre gli altri aprivano il sipario, noi aprivamo la valigia piena di parrucche e oggetti e iniziavamo a improvvisare. Aveva tempi comici innati, di quelli che non si studiano. Gli piaceva fare il matto e mica solo sul palco. Tra noi l’intesa era totale. Ci divertivamo da matti a farci i dispetti, non ci davamo le chiuse, e ci rubavamo le battute. Una cosa che puoi fare solo se hai grande affiatamento. Il pubblico lo sentiva e ci amava. Gli autori invece ci odiavano: ai tempi di Colorado e di Zelig, scrivevano per ore, poi arrivavamo in scena e buttavamo tutto. E alla fine nessuno voleva lavorare per noi».
Com’è stato lavorare con Roberto Benigni in Pinocchio? Anche lui è famoso per le improvvisate.
«Eravamo molto orgogliosi che ci avesse scelti per fare il Gatto e la Volpe: lavorare con dei premi Oscar... Benigni si era innamorato di Ahrarara e ci aveva voluti per questo. Ci faceva fare sempre due ciak: uno da copione e uno a modo nostro. È finito che sceglieva quasi sempre il nostro».
Vi somigliavate o no, lei e Bruno?
«Alla fine eravamo molto simili. Lui arrivava dai villaggi e dal contatto diretto con il pubblico. Io ero più attore, facevo le commedie di Govi. È lui ad avermi insegnato tutto del lavoro del comico, dopo il nostro incontro in quel famoso villaggio Touring di Palinuro. Ci compensavamo: eravamo il più e il meno della batteria»
Colleghi certo, ma anche amici. Bruno, milanese, lasciò la città per vivere sul lago Maggiore poco lontano da lei.
«Eravamo quasi parenti, anche: mezzi cognati, mia figlia è sua nipote, e io sono il padrino di suo nipote. Abbiamo fatto vita comune, per 34 anni ci siamo visti tutti i giorni, Natali compresi... Anche in questi anni che stava combattendo con la malattia. Ricordo nel periodo della riabilitazione alla Villa Beretta di Costa Masnaga le gare in sedia a rotelle che faceva con Lamberto Sposini, anche lui ricoverato. Sono stato più con lui che con mia moglie, e io lo conoscevo meglio della sua. Era più di un gemello. E ora è una parte di me che mi manca. Per questo chiudo sempre ogni mio spettacolo con la canzone Da soli mai. È in suo ricordo. La vita continua ma sarà sempre con me».
Ora che farà lei, Max?
«Mi manca una parte di me ma vado avanti. Il 18 ottobre esce un libro, Non spegnere la luna, che è quello che gli ripetevo quando era in coma. Dentro ci sarà tutto della mia vita e ovviamente tutto lui. Era un paio d’anni che lo stavo scrivendo. Anche su questo mi ha spiazzato: lui non ci sarà quando uscirà. Che scherzo morire senza avvisare... Non si farà invece il progetto che avevamo insieme: un viaggio in Italia mio e di Bruno in carrozzina... Sarebbe stato bello, ma qualcuno si è mangiato i soldi che erano stati raccolti per produrlo. E poi ci sono le serate in giro, con molti dei nostri sketch classici e tante cose nuove. Anche la sera che è morto Bruno ero a teatro, a Novara. Ho dovuto metterci tutta la mia forza...».
Lei lavora con molti giovani, come sono le nuove generazioni di comici?
«Mi piace lavorare con i giovani, anche perché non hanno più tante possibilità di esibirsi, spariti quasi tutti i cabaret dove ci esibivamo noi. Fanno tanti laboratori ma non è la stessa cosa. E poi gli mancano gli autori. I pochi che ci sono lavorano solo per i grandi, Fiorello, Panariello. Così per i giovani è doppiamente difficile. Manca la cultura delle scenette, ora sono tutti solo stand up. In più youtube li ha massacrati: noi tenevamo la piazza per due ore, i ragazzi oggi non superano i 15 minuti. Però i social hanno anche il loro lato buono: grazie a loro mi sono fidanzato, grazie a loro mantengo il rapporto con il pubblico».
E Bruno dove va a trovarlo?
«Sul lago Maggiore, vicino a Laveno. Dove abitiamo tutti: io e lui, Iachetti e Pozzetto, Salvi. È la terra di Piero Chiara, spira un’aria buona per noi comici». —