la Repubblica, 4 ottobre 2022
Pd, il punto di vista di Violante
Davvero qualcuno pensava che il Pd potesse vincere queste elezioni? Davvero qualcuno pensa che mentre c’è la guerra in Ucraina, il problema di un’azione unitaria della Ue sui temi della energia, l’inflazione che cresce, aziende che chiudono, alcuni milioni di italiani che non riescono ad affrontare il costo della vita, mentre Giorgia Meloni sta costruendo un grande partito conservatore italiano, il Pd, primo partito di opposizione, uno dei maggiori partiti della sinistra europea, debba impiegare il proprio tempo a discutere se tenere un congresso, cambiare nome, cambiare segretario? Questo partito ha già cambiato molti nomi e molti segretari e ha già tenuto molti congressi. Tutto questo è servito solo a costruire posizionamenti nel sistema politico mentre si allentava il radicamento nella società italiana. Ancora oggi i temi sembrano essere quelli del rapporto con altri partiti, cinquestelle, sinistra italiana, Calenda; e non il rapporto con le famiglie, le imprese piccole che chiudono e quelle grandi che soffrono, con quelli che hanno votato più per disperazione che per convinzione, con quelli che non hanno più votato, con gli iscritti e con i dirigenti periferici che si sentono ancora una volta costretti a schierarsi sui nomi e non chiamati a costruire un rapporto più saldo con la comunità nella quale vivono. Enrico Letta ha commesso errori? Certamente. Ad esempio, Draghi meritava certamente di essere difeso e meritava di essere rivendicato il sostegno dato a quel governo dai ministri del Pd, tutti di qualità. Ma quando si vota, si sceglie per il futuro, mai per il passato e forse sarebbe stata necessaria una strategia più rivolta al futuro, parole più dirette ai ceti più poveri. Forse si sarebbe dovuto rivendicare da parte di tutto il gruppo dirigente che il Pd è il più grande partito progressista, europeista e ambientalista italiano, dando sostanza a ciascuna di queste parole. È stato giusto il richiamo all’antifascismo. Ma si poteva anche dire: siamo preoccupati, però non abbiamo pregiudizi e valuteremo dai fatti e dai comportamenti perché le persone si giudicano in base a quello che fanno. Questi, forse, gli errori, peraltro condivisi con tutto il gruppo dirigente. Ma ha fatto solo errori Enrico Letta? Vediamo. Il precedente segretario, Nicola Zingaretti, si è dimesso il 14 marzo 2021 dicendo «Nel Pd si parla solo di poltrone, mi vergogno». Era esasperato per i continui conflitti interni. Enrico Letta ha ricevuto un partito dilaniato dalle tensioni interne, che alle precedenti elezioni politiche, nel 2018, aveva preso il 18,7%. Lo ha unificato, ha vinto le elezioni amministrative, riconquistando Roma, Torino, Padova, Taranto, Piacenza, Parma, vincendo per la prima volta, dopo anni, a Verona e Catanzaro, eleggendo un ragazzo di venticinque anni, bravo, a sindaco di Lodi, prima governata dalla Lega. Con gruppi parlamentari ridotti all’osso dopo la scissione di Renzi, ha guidato la campagna per l’elezione del presidente della Repubblica, giungendo alla conferma di Sergio Mattarella. Il 25 settembre, il Pd ha preso il 19%, poco più del 2018 e ha perso 800.000 voti. È vero, ma la Lega ha perso più di un milione di voti, Forza Italia più due milioni, Cinquestelle più di sei milioni. Quindi il Pd di Letta, tra tutti i partiti che hanno sostenuto il governo Draghi, è quello che ha perso di meno. In vista del voto aveva stipulato un patto di governo scritto con Calenda, che prevedeva anche altre alleanze elettorali; Calenda, dopo averlo sottoscritto, è venuto meno, preferendo l’abbraccio di Renzi... Ora il compito del Pd è fare opposizione in Parlamento perché le democrazie hanno bisogno di una maggioranza che governi e di una opposizione che proponga, controlli, e si prepari a governare. Ma se si scegliesse ora di cambiare il segretario, forse anche il nome, che cosa racconterà il Pd al Paese nelle prossime settimane? La gara tra i papabili alla segreteria? Le interviste all’uno o all’altro? Il sondaggio sul nome del partito? Se eliminare o mantenere la dizione “partito” come peraltro si fece già nel 1998 travolti da un furioso impeto innovativo? E nel frattempo il presidente del consiglio dovrebbe aspettare il congresso del Pd per capire con chi deve parlare di bollette, di energia, di sanzioni alla Russia e di armi all’Ucraina, del rischio che Putin usi le atomiche tattiche che innescherebbero una spirale di distruzione inarrestabile? E nel frattempo su questi temi e sulla legge di bilancio cosa dirà il Pd e chi lo dirà con la legittimazione adeguata all’impegno? La maggiore forza di opposizione corre il rischio della irrilevanza. Credo che una ponderata valutazione dello stato delle cose dovrebbe portare a costruire un’agenda delle priorità della opposizione, presentarla in Parlamento, discuterla nel Paese. Bisogna spedire i parlamentari nei collegi dove sono stati eletti perché costruiscano un rapporto non superficiale con coloro che li hanno scelti e che essi hanno l’obbligo di rappresentare; guardare area per area alle forze nuove, specie femminili, che non sono state valorizzate nella composizione delle liste, ma che possono dare un contributo di freschezza, competenza, entusiasmo e serietà. Poi, determinati con chiarezza gli impegni del presente, si potrà affrontare il futuro, anche per evitare che mentre il gruppo dirigente discute, il partito evapori. Chiedo scusa per il tono di questa nota; ma a volte l’impudenza dei vecchi può far riflettere i giovani.