Corriere della Sera, 4 ottobre 2022
I numeri dell’aborto
Dodici agosto 2020, una circolare del ministero della Salute cambia le modalità di esecuzione dell’aborto farmacologico: due pillole da prendere a distanza di due giorni. Può essere effettuato fino alla nona settimana di gravidanza, anziché alla settima, in day hospital, quindi senza un ricovero di tre giorni, «anche presso strutture ambulatoriali pubbliche, funzionalmente collegate a ospedali e consultori». Se la prima parte delle linee di indirizzo è stata applicata in tutta Italia, il passaggio dell’aborto medico negli ambulatori non è avvenuto se non in poche realtà. Solo tre Regioni hanno recepito la circolare: Toscana, Emilia-Romagna e Lazio. Ma anche dove sono presenti linee di indirizzo il progetto non è pienamente partito, tanto che il 30 settembre il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha premuto sull’acceleratore annunciando che la RU486 verrà distribuita nella sua Regione «dalla prossima settimana».
Due i dati di partenza: primo, a livello nazionale il 35,7% delle interruzioni di gravidanza sono mediche; secondo, le Regioni avrebbero potuto offrire l’alternativa dei consultori senza un provvedimento locale ad hoc. I due anni di pandemia hanno poi tenuto bloccati i servizi sanitari e in alcune realtà la pillola abortiva non è così disponibile neppure in ospedale. In Lombardia non esistono linee guida per l’applicazione del decreto Speranza. La clinica Mangiagalli, padiglione del Policlinico, ha un vicino consultorio di sua pertinenza. Le donne si rivolgono a questa struttura extraospedaliera dove fanno analisi del sangue e tampone. Se optano per la via farmacologica, assumono subito la prima pillola e restano in osservazione per un’ora. Due giorni dopo hanno l’appuntamento per il day hospital. Alcune donne chiedono di poter prendere a casa la seconda compressa. Anche se è già previsto, ancora non è possibile: sarà il prossimo passo, come già avviene in Canada e Gran Bretagna.
Il Lazio è davanti a tutti. Il protocollo regionale del 31 dicembre 2021 prevede che la prima pillola sia assunta in ambulatorio o consultorio, e che venga subito consegnata la seconda. La donna decide se prenderla in ospedale o a casa. «Sono convinta che sia in grado di eseguire un atto medico. In questo modo è lei ad essere al centro della procedura abortiva, il ginecologo interviene solo nel caso di rarissime complicazioni», afferma Anna Pompili, ginecologa dell’associazione medici contraccezione e aborto. E l’assessore alla sanità, Alessio D’Amato: «Finora si è svolto tutto senza problemi. Se ci sono condizioni di sicurezza, è possibile farlo a casa».
In Piemonte Silvio Viale, responsabile del servizio Interruzione volontaria di gravidanza del Sant’Anna di Torino, dove si concentrano i due terzi degli aborti con RU486 in Piemonte, si dichiara «molto prudente nel mandare a casa». E spiega: «Favorevole che la pillola venga consegnata in luoghi diversi dall’ospedale ma non che una ragazza possa scegliere l’alternativa domiciliare. In altre parole: è bene renderla ambulatoriale, però cautela».
In Toscana la delibera che ribadisce la possibilità di appoggiarsi ad ambulatori territoriali collegati agli ospedali è dell’estate 2020. La Regione ha concentrato quest’attività a Firenze ed Empoli. Chi ricorre all’aborto medico può poi decidere di viverlo a domicilio nella fase finale. «La nostra sensazione è che prevalga il desiderio di essere accompagnate in un momento così difficile», spiega Valeria Dubini, presidente dell’associazione ginecologi territoriali, Agite.
In Emilia Romagna sarà Parma a inaugurare l’esperienza, entro l’anno partirà Bologna. «Avviata una procedura che consente anche agli obiettori di prescrivere la pillola. Già dal 2020 abbiamo superato la formula dei tre giorni di ricovero. Ora si comincerà in consultorio», dice Marinella Lenzi, direttore Unità operativa ostetricia e ginecologia dell’ospedale Maggiore.
In Sicilia è invece difficile avere la pillola. «Da noi vengono ragazze di Caltanissetta, Agrigento, Catania e Messina che mi raccontano di difficoltà e liste di attesa di settimane», conferma Nenzi Varsellona, ginecologa dell’ospedale Cervello. E i consultori? Qui non se ne è mai parlato.