la Repubblica, 2 ottobre 2022
Pennac stregato da Maradona
Daniel Pennac ha visto Maradona. Tutto comincia da un sogno dello scrittore e drammaturgo francese, prosegue con un’indagine che sfocia in uno spettacolo “napoletano”, su cui è stato girato un film che verrà presentato alla Festa di Roma (sezione Freestyle, il 16 ottobre): «Non un documentario sull’iconico campione argentino, piuttosto sull’effetto soggettivo che ha provocato in miliardi di persone», dice Pennac. L’incontro ideale tra il padre di Malaussène e El pibe de oro è ad alto tasso di poesia: «Immaginate Maradona, un cubo di muscoli – dice Pennac nel teatro napoletano – lo metti al centro della scena e pensi: cos’ha di poetico questo cubo di muscoli? Ma se prendi un pallone e lo lanci, il cubo diventa l’incarnazione della danza, dell’intelligenza fisica, l’abilità assoluta. Come se il pallone fosse attaccato a lui con un elastico. Dunque lo sport può incarnare la poesia e questo è stato Maradona».
Dicevamo, all’origine del film, il sogno, in cui Pennac si ritrova davanti Stefano Benni, vestito da chirurgo, che dice: “Sto per operare Diego Armando Maradona”. «Lo seguo nella sala operatoria ma non vedo nessuno». Pennac, che è a Napoli, si sveglia, scende in cucina per un caffè, trova tutti gli amici in lacrime, «sembrava avessero perso un parente stretto. Non seguo il calcio ma mi dico che se quattro adulti piangono come vitelli per la morte di un calciatore significa che quel dolore lo provano milioni di persone. Mi viene l’idea: usare la forza del dolore per creare uno spettacolo sul fenomeno Maradona».
Uno show che inizia con un requiem e diventa una festa, la struttura della Divina commedia per narrare l’universo tortuoso di Maradona, tanti racconti e canzoni, Maradona come ‘O sarracino “che tutt’a curva fa sospirà”, “ho visto Maradona / mi batte il corason”. Maradona, per Pennac, è stato un oggetto di consumo mediatico, «che quindi si adora o si detesta. Chi dice “è un calciatore geniale, viene da un quartiere povero”, e chi “sì, ma ha tradito la sua gente, è il più pagato del mondo”. Quelli che “adora i bambini” e quelli che “ma si droga”. Quelli che “è di sinistra, segue Fidel Castro” e quelli “ma è amico della camorra”. Questo non dipende tanto dalla persona di Maradona – continua lo scrittore – ma dalla carriera che lo ha reso un oggetto di consumo. E Maradona, senza saperlo, ha giocato il ruolo di capro espiatorio».
InDaniel Pennac: ho visto Maradona!
(regia di Ximo Solano, in Italia con Feltrinelli Real Cinema) si parla di calcio, del dolore dei tifosi, di Napoli, del teatro. «Il regista, Ximo Solano, ha ripreso gli sguardi posati su Maradona. Quello del ragazzino che interpreta Diego da bambino, del fotografo Luciano Ferrara che coglie l’attimo in cui Diego sale i gradini di quello che oggi è lo Stadio Maradona, delle donne anziane che ammiravano Diego dall’alto del loro balcone e della loro giovinezza, di tre scrittori: Roberto Saviano, Maurizio De Giovanni, sguardi lucidi, ed io, sguardo candido».
L’indagine s’allarga, dalla poesia fisica di Maradona alla scrittura, alla recitazione. Pennac ha scoperto da poco perché ha fatto lo scrittore, grazie a un fratello anziano che gli ha chiesto scusa perché da bambino tutta la famiglia gli diceva sempre di stare zitto. «Sono le parole che ho sentito di più nell’infanzia, ultimo di quattro fratelli, genitori anziani. I miei libri sono la risposta allo “stai zitto”». Esamina il rapporto tra scrittura e teatro: «Con Malaussène ho messo in scena una folla di personaggi, di fatto una tribù che mi fa compagnia. Quando mi chiedono “perché il teatro?” rispondo: perché adoro le persone con cui lo faccio. Mi fanno compagnia e non penso più al piccolo stronzetto a cui dicevano “stai zitto”». Se il teatro è il miracolo della incarnazione, «gli attori sono dei folli che si giocano la loro esistenza ogni sera, in un’esposizione assoluta di se stessi». Come Maradona, «il ragazzo che si espone del tutto sul campo: il calcio esiste grazie al lui. Appena arriva la squadra diventa tale, tutti giocano con lui e lui con tutti, quindi il calcio riesce a incarnarsi. Qualche sera no. A volte gioca male e tira fuori frasi straordinarie, gli dicono “oggi hai giocato proprio male”, risponde: “Sì, stasera non avevo più gambe di una fototessera”. Questo è genio, poesia pura».