La Stampa, 2 ottobre 2022
Intervista a Luciana Castellina
Il Pd non è un partito di sinistra né può diventarlo, sostiene Luciana Castellina. Giornalista, scrittrice e protagonista della storia della sinistra dal dopoguerra in poi. Radiata dal Pci per aver fondato “Il Manifesto”, al più grande dei partiti nati dopo la fine del Pci rimprovera il “governismo” e il suo essere lontano dai giovani, dalle donne, dai cambiamenti imposti da una società in crisi.
L’Italia si prepara ad avere un governo guidato da una donna, Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, partito di destra e conservatore. Che ne pensa?
«Mi fa quasi piacere. Finalmente si rompe un equivoco. Si pensa che la battaglia delle donne sia occupare i posti degli uomini. Non è così, non vogliamo i posti degli uomini e non ce ne frega niente di diventare come loro. Vogliamo cambiare la società e vivere in un mondo che riconosca la differenza di genere».
La presenza di una donna alla guida di un governo non potrebbe aiutare a costruire una società che tenga conto delle donne?
«Non cambia niente, forse è persino peggio. Non basta essere donna, dipende da come eserciti la tua identità. Non serve avere una donna a Palazzo Chigi se dice che le donne devono occuparsi della riproduzione».
Una donna potrebbe andare a Palazzo Chigi con le sue politiche conservatrici e troverà sempre meno donne in Parlamento. Da venti anni non si registrava una percentuale così bassa.
«Non mi importa di avere tre donne in più in Parlamento, non è una questione decisiva. Il problema è che occuparsi della riproduzione non è un lavoro pagato o riconosciuto e questo accade perché si punta all’uguaglianza, e si è costruita una società su questo imbroglio. Ci dicono che le donne manager sono aumentate. Poi si vanno a leggere meglio i dati e ci si rende conto che gli uomini manager hanno quasi tutti i figli, le donne si fermano al 30%. Se per occupare la casella di manager devo rinunciare alla mia differenza, non è il ruolo la battaglia da combattere ma il riconoscimento della differenza».
Una mancanza che non è solo della destra. Il Pd, e tutto il centrosinistra, hanno una delle quote più basse di donne elette.
«Bisogna innanzitutto chiarire che il Pd non è di sinistra. Va rinominato, da molto tempo è un partito centrista. Ricordiamo come si è schierato in questi anni su temi come lavoro e immigrati, dall’articolo 18 a Minniti. Il Pd è nato sulla base di un equivoco, è il frutto di diverse trasformazioni del partito comunista, ogni volta perdendo un pezzo. All’interno ci sono ancora persone e memorie di sinistra ma la sua non è una politica di sinistra».
Quella del Pd è stata una politica che negli ultimi nove anni ha privilegiato la voglia di governare. È stato un errore?
«Stare al governo di per sé non è necessariamente una buona cosa. Le grandi riforme, dal divorzio all’aborto, sono state approvate quando la sinistra non era al governo. Questa smania è arrivata dopo ed è un problema».
Il Pd dovrebbe cambiare nome? Dovrebbe azzerare i dirigenti? Sciogliersi?
«Non credo che il Pd sia riformabile come partito di sinistra. Non ne ha più la cultura né le persone. Ci sono altre sinistre che devono crescere, nascere, organizzarsi. Il mio partito è Sinistra Italiana. È minoritario. Mi piacerebbe che fosse di maggioranza ma vorrei innanzitutto che facesse cose di sinistra».
Per aumentare il proprio consenso e vedere approvati i provvedimenti in cui si crede c’è solo un modo. Invece di snaturare il partito e inseguire gli elettori al centro, si deve sperare di cambiare la società, un processo molto più lungo.
«Il problema è che c’è un forte distacco tra alcune spinte sociali, come quelle che arrivano dai giovani e dalle donne, e la politica istituzionale. In tutta l’Europa la sinistra è in crisi come sempre avviene nei momenti di grandi cambiamenti della storia. Il modello democratico e di sinistra era fondato su un grande aumento della produzione industriale e in una redistribuzione delle risorse che avrebbe dovuto creare una società più equa. Se questo non si avvera ci sono le premesse per dare vita a una situazione di disagio che produce forze di tipo autoritario e populista».
Eppure un tempo la sinistra riusciva a dare risposte al disagio delle fasce più deboli. Adesso – dicono chi la critica – si occupa troppo di diritti civili e poco di diritti sociali.
«Diritti civili e diritti sociali devono andare di pari passo. I problemi sociali sono drammatici ma non c’è ragione per cui i diritti civili non debbano progredire».
In che modo la sinistra può uscire dalla crisi?
«Ci troviamo di fronte a un cambiamento profondo della società e della sua economia. I conservatori hanno il piombo attaccato al piede, vogliono conservare un mondo che non si può conservare. La sinistra deve mettere in discussione questo sistema che produce cose superflue e deve puntare a un orario di lavoro più breve, un uso delle tecnologie che non portino solo a un aumento del profitto ma anche a dare felicità. La sinistra deve costruire un’altra cultura e forme di partecipazione nei Paesi e nelle comunità, altrimenti torneremo a vivere in una società di barbarie dominata da violenza e disagio. È un lavoro lungo, bello e affascinante. Invece di lamentarsi si rimboccassero le maniche. C’è tanto da fare». —