il Fatto Quotidiano, 2 ottobre 2022
A 60 anni da «Love me do», il primo singolo dei Beatles
5.10.1962
Dieci sterline per il terzo uomo. Più altri cinque scellini per essersi portato da casa lo strumento. Fino ad Abbey Road. Andy White non può saperlo, ma questo ingaggio propostogli dalla EMI-Parlophone sta per fare la Storia. Non per lui: dovrà accontentarsi di un compenso-standard per l’impegno della session tra le 4.45 e le 6.30 del pomeriggio, e che non gli venga in mente di pretendere royalties per la sua parte di batterista. Andy lo scozzese proseguirà la carriera in tour con Marlene Dietrich e Tom Jones, questi Beatles sono solo uno scarabocchio sull’agenda dell’11 settembre 1962: più tardi, il 5 ottobre, arriverà nei negozi quel 45 giri, Love Me Do/P.S. I Love you, che scalerà le classifiche britanniche fino al 17mo posto e convincerà quei fenomeni dei discografici a puntare su questi sconsiderati di Liverpool, sui quali nutrivano parecchi dubbi. Giorno catartico, venerdì 5 ottobre: comincia la marcia trionfale dei Beatles e nei cinema debutta 007, Licenza di Uccidere, primo capitolo della saga Bond/Connery. In questo catartico weekend nascono, di fatto, i favolosi Sixties. Chi potrebbe immaginarlo? I Beatles sono interessanti, sprigionano entusiasmo, mostrano un precoce talento nel trovare la quadra tra r’n’r, blues e pop. Ma hanno un problema: il motore. Se McCartney, Lennon e Harrison sono inamovibili nella control room creativa, chi far sedere dietro i tamburi? Il produttore George Martin ne ha già bocciato uno, Pete Best, non è convinto del sostituto, Ringo Starr, perciò ha preteso che per incidere la frizzante Love me do si ricorresse a un professionista, Mr. White. Solo che, occhio, di versioni del brano se ne realizzano, tra giugno e settembre, ben tre. Il primo a dare il tempo è Best, ma la sua sorte nella band è già segnata. Due anni di tour con McCartney & co (c’era pure il povero Stu Sutcliffe, bassista originario) nei malfamati club amburghesi affollati di puttane e teddy boys erano stati sufficienti per bollare Pete come un corpo estraneo. Era l’unico a suonare in maniche di camicia, l’unico a rifiutarsi di adottare la zazzera ideata da Astrid Kircher, e poi sì, insomma, si fregava tutte le ragazze. Era lui, in fondo, il vero ribelle anticonformista. Così l’invidia verso l’ingombrante Best aveva spinto Paul, John e George a suggerirne il licenziamento. Grazie e buona fortuna, Pete, al tuo posto prenderemo Ringo, la migliore bacchetta del Mersey Side, uno che non sarà magari un metronomo, ma ci mette cuore ed empatia. È Starr a occuparsi del tum-tum necessario per Love me do, in una seduta ad Abbey del 4 settembre. Tutto ok? Macchè: Martin scuote la testa, il nuovo arrivato è troppo acerbo, impreciso, non così solido. Investiamo altre dieci sterline, la batteria è un lavoro sporco, affidiamola a uno vero. Andy. L’11 settembre, quando il gruppo entra in studio, la situazione è tesissima. Nessuno aveva avvisato Ringo che sarebbe rimasto in panchina: ci restò di sasso vedendo White armeggiare sui tamburi. “Pensai che la mia avventura con i Beatles fosse finita lì, so come funziona il music business. Non gliel’ho perdonata per anni, a quello stronzo di George Martin”, avrebbe confidato molto tempo dopo Ringo, che oggi, autunno 2022, ha appena pubblicato un nuovo mucchietto di canzoni soliste, EP3. Ma a ottant’anni è facile sorridere ripensando a come è andata: visualizzate quel giorno. Ecco, Martin e l’altro produttore Ron Richards affidano all’imbronciato Starr dapprima un paio di maracas (per P.S. I Love you) e poi un tamburino, una presa per il culo più che una consolazione, mentre lì accanto Andy White smazza come un fabbro, seppur nella certezza (“ero più vecchio di questi ragazzi, non c’entravo nulla con il loro progetto”) che non sarebbe stato richiamato. Mentre su Londra cala la sera dell’11 settembre, tutto sembra finito. Finito? Qui comincia il giallo: il 5 ottobre, il singolo Love me do che si fa notare in radio e sugli scaffali è quello che aveva registrato Ringo. Un tardivo ripensamento di Martin? Dunque perché nel primo album dei Beatles, Please please me (che uscirà il 22 marzo 1963) della canzone compare l’esecuzione con White, così come per l’edizione Usa del 45 giri? E in quale ottica, se non quella della speculazione, le antologie che usciranno in seguito le ricomprendono entrambe? C’è chi ha parlato di cancellazioni misteriose, in quei giorni ad Abbey Road, o di strategie oblique per la definitiva investitura di Ringo. Come sia, il 5 ottobre 1962 il pianeta comincia a vibrare: dell’energia pop di Beatles e Bond, e dell’angoscia nucleare per la crisi di Cuba, il braccio di ferro tra Kennedy e Krusciov che si risolverà alla fine del mese, mentre a Roma Giovanni XXIII inaugura il Concilio Vaticano II con il discorso della carezza ai bambini. Andy White non nutrirà rimpianti per quel momento di gloria. Pete Best continuerà a suonare qui e là, guadagnandosi da vivere con un impiego nell’ufficio di collocamento.