il Fatto Quotidiano, 2 ottobre 2022
Mohammed bin Salman arruola vip per rifarsi una verginità
Come già Dubai, anche l’Arabia Saudita paga i più noti influencer di reality show per attirare i turisti di tutto il mondo, affascinati dai paesaggi desertici, ma scoraggiati dalla reputazione conservatrice del regno. Tra i volti più popolari a fare la promozione del Paese ci sono Benjamin Samat e Maddy Burciaga, star di Les Marseillais (I marsigliesi), reality francese trasmesso da W9, che contano in due più di 5 milioni di follower su Instagram. Si tratta di convincere attraverso valanghe di post che il Paese, che si sta aprendo al turismo, tra hotel di lusso, giganteschi centri commerciali e mostre d’arte in mezzo al deserto, offre paesaggi mozzafiato e un’accoglienza calorosa.
“Stiamo scoprendo un Paese nuovo, forse anche tu avrai voglia di venire a visitarlo – scrive Maddy ai suoi milioni di follower –. Il Paese farà molti progressi nei prossimi anni, sinceramente, è sulla buona strada”. Alcuni follower rispondono affascinati: “Che bel posto, fa venire voglia di visitarlo”. Altri ricordano la repressione dei dissidenti politici nel regno wahhabita: “Andate voi a visitare le dittature!”. Non c’è nulla che faccia capire in modo esplicito che il viaggio dei due influencer rientra in una vasta campagna di promozione del turismo in Arabia Saudita, se non che, su tutte le loro pubblicazioni, figura un link che rinvia alla pagina Instagram delle autorità saudite responsabili dello sviluppo turistico. Come Maddy e Benjamin, influencer di tutto il mondo sono sbarcati nel Paese del Golfo, che si è aperto al turismo straniero nel 2019 per liberare la sua economia dalla dipendenza ai redditi del petrolio. L’obiettivo è di ricevere 300 influencer in tre mesi, racconta Hervé (nome di fantasia), un fotografo che conta quasi 200mila follower su Instagram e che si è prestato al gioco delle pubblicazioni promozionali. Non ci sono solo star dei reality, ma anche travel blogger, modelle, un’attrice di Singapore, food influencer e, più di recente, anche il calciatore Lionel Messi.
Dietro compenso, tutti hanno accettato che il loro account Instagram serva da vetrina alle ambizioni turistiche dell’Arabia Saudita. Hervé, 42 anni, è il solo ad aver accettato di risponderci, dietro anonimato. Il fotografo è stato contattato da un’agenzia con sede a Londra, influencer.com, incaricata dalle autorità saudite del turismo di promuovere i viaggi nel regno. Al suo viaggio partecipavano anche altri sette influencer europei, provenienti da Francia, Regno Unito, Russia e Polonia. Al loro arrivo, racconta Hervé, è venuto a prenderli un autista che li ha accompagnati ad Al-Ula, sito storico anticamente abitato dai Nabatei, una società pre-islamica. Dopo una sosta in un sontuoso albergo simile ad un’oasi, il gruppo è ripartito alla volta di Hegra, antica città nabatea iscritta al patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Da contratto Hervé doveva pubblicare due foto sul suo account Instagram e sei storie. Ogni pubblicazione era sottoposta a validazione dell’agenzia londinese e doveva essere accompagnata dagli hashtag #ExperienceAlUla e #VisitSaudi. Sulla sua retribuzione, il fotografo resta vago, ma precisa: “La tariffa varia in funzione del numero di d follower che si hanno e della qualità delle interazioni con loro, numero di like, commenti, tempo di visualizzazione. Quelli che hanno una piccola comunità, con poche decine di migliaia di follower, sono stati invitati, ma non hanno ricevuto alcuna remunerazione – continua Hervé –. Altrimenti le tariffe variano molto, partendo da mille fino a cinquemila euro per una pubblicazione, ma possono raggiungere cifre a cinque zeri per gli influencer più seguiti”. Se l’Arabia Saudita, per promuovere i suoi siti turistici, ha deciso di fare ricorso alle star di Instagram, invece di usare forme di pubblicità più tradizionali, è perché il regno gode di cattiva reputazione e quindi non può permettersi il lusso di una comunicazione più convenzionale. Nel 2019, quando la monarchia dinastica si era appena aperta al mondo, un gigantesco manifesto pubblicitario per promuovere il turismo nel Paese esposto sulla facciata di un palazzo, a Parigi, aveva sollevato molte polemiche e sollevato le reazioni dei difensori dei diritti umani. L’Ong Reporter senza frontiere aveva parlato di provocazione “a quasi un anno dall’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi” e aveva sporto denuncia. Secondo David Rigoulet-Roze, ricercatore all’Istituto per le relazioni internazionali e strategiche (Iris), passare per gli influencer permette all’Arabia Saudita di “promuovere i tesori turistici del suo Paese senza che il regno debba farlo in modo diretto”. Nel contesto dello scandalo per la morte di Khashoggi e, in misura minore, della guerra in Yemen, sottolinea il ricercatore, “il regno ha tanto più interesse a optare per una forma di marketing indiretto che faccia dimenticare che è all’origine della campagna e metta l’accento sui contenuti”, come appunto i siti millenari di Al-Ula e Hegra, i parchi di divertimento e i giganteschi centri commerciali. Fare pubblicità senza farsi notato troppo: questa è la strategia saudita. Il principe ereditario Mohammed bin Salman, noto come “Mbs”, ha scommesso molto sullo sviluppo del turismo del suo Paese. Solo per il sito di Al-Ula sono stati spesi 15 miliardi di euro per costruire strade, tram e altre infrastrutture.
Le immagini delle dune colore ocra e del sole al tramonto condivise dagli influencer seducono i turisti e rassicurano gli investitori stranieri sulla capacità del Paese ad attrarre visitatori. Mbs ha bisogno di 500 miliardi di euro per il suo “The Line Neom”, un faraonico progetto di città futurista. L’obiettivo del futuro monarca è ambizioso. Il progetto “Vision 2030”, finalizzato a diversificare l’conomia del regno, prevede di portare il contributo del turismo al Pil dal 3,8% del 2019 (la maggior parte del quale proveniva dalle entrate generate dall’Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca) al 10% nei prossimi anni. Per riuscirci, le procedure per ottenere i visti turistici sono state semplificate. Per i cittadini di 49 paesi, soprattutto occidentali, non è più necessario recarsi in ambasciata prima di partire perché le procedure possono essere effettuate all’arrivo in Arabia Saudita. La rivista specializzata L‘Écho touristique ha rivelato che le autorità saudite hanno avviato un vasto programma volto a reclutare 100mila sauditi nei mestieri del turismo: cameriere, receptionist e responsabili commerciali saranno formati per rendere operative le infrastrutture turistiche entro il 2030. Mbs può contare anche sulle competenze di paesi come Francia e Spagna per la formazione dei futuri dipendenti. Ma l’apertura del regno ai turisti comporta una trasformazione non solo sul piano economico, ma anche sociale. Per le donne non è più obbligatorio indossare il velo e possono lavorare e guidare. Ora è anche possibile ascoltare musica in pubblico. Nel 2019, il Paese ha ospitato l’Mdl Beast, uno dei più grandi festival di musica elettronica. Il consumo dell’alcol resta tuttavia vietato. Questa rapida evoluzione della società saudita ha i suoi oppositori. Anche se le voci dissidenti restano per lo più silenziose per timore di rappresaglie, dei conservatori influenti considerano le riforme sociali brutali e troppo rapide. Il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour ha riferito che un religioso è stato arrestato nel 2020 per aver accusato il principe di “aver cancellato l’identità originaria della società saudita” organizzando spettacoli e concerti. I difensore della liberalizzazione della società sono invece preoccupati per la repressione. Ad agosto, Salma al-Shehab, studentessa e attivista per i diritti delle donne, è stata condannata a 34 anni di carcere, la pena più lunga mai inflitta a un’attivista per i diritti umani, per aver pubblicato dei tweet femministi. Il messaggio inviato dal principe ereditario alla sua popolazione è ambivalente, tra riforme sociali e giro di vite autoritario. “In questa vicenda, Mbs va avanti come un bulldozer – spiega il ricercatore David Rigoulet-Roze –. Il suo primo obiettivo non è democratizzare il Paese, ma garantire il dopo petrolio”.
Traduzione di Luana De Micco