il Fatto Quotidiano, 2 ottobre 2022
Meno di una donna ogni tre eletti
L’effetto flipper del Rosatellum fa sì che non ci sia ancora l’elenco definitivo degli eletti. Ma neanche l’impazzimento dell’algoritmo per l’assegnazione dei seggi compenserà uno squilibrio che già pare certo: per la prima volta dal 1996, il numero di donne elette in Parlamento sarà inferiore a quello della legislatura appena terminata. Dopo il 35 per cento (334 su 945 eletti) di presenza femminile del 2018, adesso scenderemo a poco sopra il 30 (186 su 600), in attesa della proclamazione definitiva.
Nei giorni scorsi lo squilibrio di genere tra gli eletti è diventato un caso soprattutto dentro al Pd, con diverse deputate e senatrici che hanno fatto sentire il proprio dissenso. Ieri, per esempio, Alessia Morani e Patrizia Prestipino hanno scritto un duro comunicato contro la loro collega Cecilia D’Elia, che a Repubblica aveva minimizzato il problema (“i nostri numeri sono in linea con la scorsa legislatura”): “Pensavamo che si indignasse per la scarsa presenza di donne democratiche in Parlamento, in quanto donna e in quanto portavoce nazionale della Conferenza delle donne democratiche, piuttosto che andare in difesa dell’apparato”. Al riguardo, diverse attiviste dem potrebbero anche promuovere una raccolta firme per chiedere le dimissioni di D’Elia.
Ma se è vero che il caso dem colpisce di più l’opinione pubblica, vista l’ostentata attenzione (almeno a parole) per i diritti civili, c’è da dire che la cattiva abitudine di privilegiare gli uomini è comune a quasi tutti i partiti, come dimostrano i dati provvisori sugli eletti, da cui si vede come soltanto Azione e il Movimento 5 Stelle arrivino o si avvicinino alla parità di genere.
Il tutto nonostante un sistema elettorale che preveda esplicitamente l’alternanza di genere nei listini e che quindi dovrebbe restituire un Parlamento equilibrato. Non è così, perché quasi tutti i partiti utilizzano scientemente le pluri-candidature delle donne per riempire i listini e far scattare poi il seggio al candidato (uomo) a loro successivo nel medesimo listino. In altre parole: una donna viene eletta in una circoscrizione, ma corre anche in altri tre collegi dove – essendo già stata eletta altrove – lascerà il suo posto a un maschio.
Senza dimenticare che l’equilibrio nelle candidature può essere facilmente aggirato anche assegnando a una donna un collegio ostile e blindando invece gli uomini dove si è certi di prendere più voti.
Possono sembrare teorie del complotto, ma altrimenti non si spiegherebbe come mai in Parlamento finirà meno di una donna ogni tre eletti. Detto del Pd (solo 34 tra deputate e senatrici su 119 eletti, il 28 per cento), peggio di tutti fa Fratelli d’Italia, che nonostante si prepari a esprimere la prima presidente del Consiglio donna fa eleggere soltanto 33 donne alla Camera e 17 al Senato, per un totale di 50 su 185 parlamentari. Tradotto: poco più di una su quattro.
Non bene neanche i Verdi e Sinistra Italiana, pur su numeri molto inferiori (5 donne su 16 eletti, 31 per cento), mentre fa meglio soltanto di pochi decimali la Lega: Matteo Salvini sarà accompagnato da 30 donne su 95 parlamentari, in linea con i numeri di Forza Italia (19 su 60, il 31,6 per cento). Non fa eccezione alla tendenza generale Noi Moderati, la gamba centrista della coalizione di destra. Rimasto sotto la soglia di sbarramento del 3 per cento al proporzionale, grazie agli uninominali avrà 9 parlamentari, di cui soltanto 3 donne.
Per trovare numeri un po’ più confortanti bisogna guardare a Azione e Movimento 5 Stelle. Il partito di Carlo Calenda ha la percentuale migliore, arrivando al 46,6 per cento di donne sul totale degli eletti (14 su 30). I 5 Stelle si fermano poco dietro (45 per cento) ma con molti più eletti, avendo 36 donne su 80 neo deputati e senatori.