la Repubblica, 2 ottobre 2022
Così Navalny vuole cancellare Putin
Auspicabilmente e realisticamente, come dovrebbe concludersi la delittuosa guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina? Se prendiamo in considerazione le reazioni più importanti dei leader occidentali a questo proposito, la conclusione è una: la Russia (Putin) non deve vincere. L’Ucraina deve rimanere uno Stato democratico indipendente capace di difendersi da solo.
Tutto giusto, ma è una tattica. La strategia dovrebbe essere quella di garantire che la Russia e il suo governo non vogliano mai più scatenare guerre e trovarle avvincenti. Senza dubbio si tratta di qualcosa di possibile. Al momento, la spinta ad aggredire proviene da una minoranza della società russa.
Dal mio punto di vista, il problema delle tattiche usate dall’Occidente non è solo la genericità delle finalità, ma il fatto che si sta ignorando una domanda cruciale: come sarà la Russia dopo che saranno stati raggiunti gli obiettivi tattici? Nel caso in cui si pervenga davvero al successo, dov’è la garanzia che il mondo non si ritroverà a dover far fronte a un regime ancora più aggressivo, afflitto dal rancore e da idee imperialistiche che hanno poco a che spartire con la realtà? Con un’economia fortemente colpita dalle sanzioni, ma pur sempre grande, in uno stato di mobilitazione militare permanente? E con armi nucleari che garantiscono l’impunità per ogni tipo di provocazione e avventurismo internazionale?
È facilmente prevedibile che, anche nel caso di una penosa sconfitta militare, Putin dichiarerà di aver perso non contro l’Ucraina, ma contro «l’Occidente intero e la Nato», l’aggressione dei quali è stata voluta per distruggere la Russia. Assisteremo quindi a un nuovo ciclo di guerre ibride e provocazioni, che potranno degenerare in altre guerre. Per scongiurare ciò, la questione della Russia postbellica dovrebbe diventare il tema centrale, e non uno tra i tanti, di coloro che si stanno adoperando per la pace. È indispensabile comprendere molte realtà della Russia di oggi.
Primo: l’invidia per l’Ucraina e i suoi probabili successi sono una caratteristica innata del potere post-socialista russo, come lo erano del primo presidente russo Boris Yeltsin. Invece, dall’inizio del regime putiniano, e soprattutto dopo la Rivoluzione Arancione iniziata nel 2004, l’odio per la scelta filoeuropea dell’Ucraina e il desiderio di vederla diventare uno Stato fallito sono diventati un’ossessione non soltanto per Putin ma anche per tutti i politici della sua generazione.
Secondo: credere che la guerra non sia una catastrofe, bensì un mezzo avvincente per risolvere i problemi, non è una filosofia condivisa soltanto dai pezzi grossi di Putin, ma una prassi confermata dalla vita e dall’evoluzione. A partire dalla Seconda guerra cecena, che ha reso il semi-sconosciuto Putin il politico più popolare del Paese, con la guerra in Georgia, l’annessione della Crimea, la guerra nel Donbass e in Siria, l’élite russa degli ultimi 23 anni ha appreso una regola infallibile: la guerra non costa poi molto, risolve tutti i problemi di politica interna, porta alle stelle l’approvazione dell’opinione pubblica, non danneggia l’economia più di tanto e, ancor più importante, i vincitori non sono chiamati a rispondere del loro operato. Prima o poi, uno dei leader occidentali che si avvicendano di continuo verrà da noi a negoziare. Non importa quali motivi lo spingeranno a farlo – la volontà degli elettori o il desiderio di ricevere il Nobel per la Pace – ma se dimostri perseveranza e determinazione, una cosa è certa: l’Occidente alla fine verrà a fare pace.
Terzo: ne consegue che sperare nella sostituzione di Putin con qualche altro membro della sua élite in grado di cambiare queste opinioni sulla guerra, e soprattutto combattere la guerra per «l’eredità storica dell’Unione Sovietica», è a dir poco ingenuo. Le élite sanno, per esperienza, che la guerra funziona, meglio di qualsiasi altra cosa.
Quarto: la buona notizia è che l’ossessione e la sete di sangue nei confronti dell’Ucraina non sono diffuse aldilà delle élite al potere, a prescindere dalle bugie che possono raccontare i sociologi filogovernativi.
La guerra ha fatto salire il tasso di approvazione di Putin, mobilitando al massimo la parte della società fissata con l’impero. I notiziari parlano esclusivamente di guerra, ogni altro problema interno passa in secondo piano. Ciò nonostante, gli aggressivi imperialisti non predominano, non formano una solida maggioranza di elettori, e perfino loro hanno bisogno del martellio continuo della propaganda per continuare a pensarla così.
In caso contrario, Putin non avrebbe avuto bisogno di chiamare «operazione speciale» la guerra e di sbattere in galera tutti coloro che usano il termine «guerra», non avrebbe temuto di mandare coscritti al fronte e non sarebbe stato costretto a cercare soldati nelle carceri di massima sicurezza, come sta facendo ora.
Sì, la propaganda e il lavaggio del cervello funzionano. Eppure, possiamo affermare con relativa certezza che la maggior parte dei residenti delle città più importanti, come Mosca e San Pietroburgo, e dei giovani elettori, è critica nei confronti della guerra e dell’isteria imperialistica. Le atroci sofferenze degli ucraini e l’assassinio brutale di persone innocenti stanno lasciando il segno nell’anima di questi elettori.
Premesso ciò, possiamo dunque affermare che la guerra in Ucraina è stata voluta e iniziata da Putin, naturalmente, per cercare di risolvere i suoi problemi interni. Ma il vero partito bellicista è l’intera élite, è il sistema del potere stesso che continua ad autoriprodurre, senza soluzione di continuità, il dispotismo russo di stampo imperialista. Il suo modus agendi preferito è l’aggressione esterna sotto qualsiasi forma, dalla retorica diplomatica alla guerra a tutto campo, e l’Ucraina ne è il bersaglio prediletto. Questo autoritarismo imperiale auto-generato è la vera maledizione della Russia ed è la causa di tutti i suoi problemi. Non possiamo liberarcene, malgrado le opportunità offerte dalla Storia.
Nei 31 anni trascorsi dal crollo dell’Urss, abbiamo assistito a uno schema molto evidente: i Paesi che hanno scelto il modello della repubblica parlamentare (gli Stati Baltici) stanno prosperando e si sono felicemente integrati all’Europa. I Paesi che hanno scelto il modello presidenziale-parlamentare (Ucraina, Moldavia, Georgia), stanno vivendo instabilità continua e hanno fatto scarsi progressi. I Paesi che hanno scelto un forte potere presidenziale (Russia, Bielorussia e Repubbliche dell’Asia Centrale) si sono arresi a un autoritarismo rigido, sono impegnati in permanenza in conflitti militari con i Paesi confinanti e sognano di avere un giorno un loro piccolo impero.
In sintesi, una vittoria strategica comporterebbe di portare la Russia a questa cruciale svolta storica e a permettere al popolo russo di fare la scelta giusta. Il modello futuro per la Russia non è quello di una «forte potenza» e di «una mano ferma», ma è fatto di armonia, consenso e considerazione degli interessi della società tutta. La Russia ha bisogno di una repubblica parlamentare. Questo è l’unico modo per spezzare questo ciclo senza fine di autoritarismo imperiale.
Si potrebbe sostenere che una repubblica parlamentare non sia una panacea. Dopo tutto, chi è in grado di evitare che Putin o un suo successore vinca le elezioni assumendo così il pieno controllo del parlamento? Ciò nonostante, io credo che questa cura ci offra vantaggi sostanziali: una drastica riduzione del potere nelle mani di un’unica persona, la formazione di un governo da parte di una maggioranza parlamentare, un sistema giudiziario indipendente, un aumento significativo dei poteri delle autorità locali. Tutte queste istituzioni non sono mai esistite in Russia, e ne abbiamo un bisogno disperato.
Per quanto riguarda il possibile controllo totale del parlamento da parte del partito di Putin, la risposta è semplice: sarà irrealizzabile, una volta che all’opposizione sarà permesso votare. In Russia oggi troppe persone sono interessate a una vita normale, non alla fantomatica conquista di nuovi territori. E di persone così ce ne sono sempre di più, anno dopo anno. Ma, al momento, non hanno nessuno per cui votare.
Di sicuro, cambiare il regime di Putin nel Paese e scegliere la strada per lo sviluppo non sono questioni che riguardano l’Occidente: spettano ai cittadini russi. Nondimeno, l’Occidente – che ha imposto sanzioni sia alla Russia come Stato sia agli esponenti della sua élite – dovrebbe chiarire meglio la sua visione strategica di Russia come democrazia parlamentare. Non dobbiamo ripetere l’errore commesso con il cinico approccio occidentale degli Anni 90 quando, in sostanza, all’élite post-sovietica fu detto: «Fate pure quel che vi pare lì. Basta che teniate chiuse a chiave le armi nucleari e ci riforniate di gas e petrolio». In verità, ancora adesso sentiamo voci ciniche ripetere concetti analoghi.
Si tratta di un approccio semplice, irreprensibile e leale: il popolo russo deve essere libero di scegliere la sua strada per lo sviluppo. Ha bisogno di un segnale chiaro, di una spiegazione del perché una scelta simile sia la migliore.
La guerra è un flusso inarrestabile di decisioni importantissime e urgenti influenzate da fattori in evoluzione. Pertanto, pur elogiando i leader europei per il loro successo nel sostegno all’Ucraina, li invito a non perdere di vista le cause di fondo della guerra. La minaccia alla pace e alla stabilità in Europa è l’aggressivo autoritarismo imperialistico che la Russia infligge a sé stessa. La Russia postbellica, come la Russia post-Putin, sarà condannata a diventare belligerante e putinista ancora una volta. Tutto ciò è inevitabile, e continuerà a esserlo fino a quando si manterrà l’attuale forma di sviluppo del Paese. Solo una repubblica parlamentare potrà scongiurare tutto ciò. Questo è il primo passo per trasformare la Russia in un vicino di casa che contribuisce alla soluzione dei problemi invece che alla loro creazione. —