la Repubblica, 2 ottobre 2022
Un terzo degli elettori del Pd ha votato "turandosi il naso"
A una settimana dalle elezioni i test delle intenzioni di voto confermano le indicazioni dei risultati di domenica scorsa, evidenziando solo piccole variazioni decimali in cui si distingue il Movimento 5 Stelle, che registra un +0,8% di effetto band-wagon. Un aspetto davvero interessante, invece, emerge dall’approfondimento delle motivazioni espresse dai cittadini circa la loro scelta e le possibili spinte. L’84,3% degli elettori del 25 settembre ha dichiarato di aver dato una preferenza consapevole e convinta, anche a prescindere dalla possibile vittoria. Viceversa il 15,7% ha espresso un voto “contro” piuttosto che a favore, semplicemente per non far vincere la controparte. Il dato che sorprende in questo contesto è che un terzo degli elettori del Partito Democratico ha votato “turandosi il naso” (29,4%). Facendo un passo in avanti e osservando la demografia di chi non ha votato (36,1%) si scopre anche un buon 9,0% di elettorato che alle elezioni europee del 2019 aveva scelto il Pd di Zingaretti e che quest’anno invece ha deciso di stare a casa. È vero che per l’alleanza di centrosinistra si è passati dagli 8,3 milioni del 2018 ai 7,3 milioni di oggi con un saldo negativo di poco più di 800.000 voti. Se si va a ritroso nel tempo e più precisamente al Pd di Matteo Renzi del 2014 – il famoso 40,0% – le perdite stimate sono intorno ai 5 milioni. È una lenta ma inesorabile perdita senza nuovi acquisti. Il Pd sta sacrificando la sua massa elettorale – da anni – a beneficio di altri partiti, che possiamo definire “spin off”, che da lui si sono generati e che in questa partita si sono presentati anche come i suoi principali competitor oltre al centrodestra. Nel meccanismo del confronto sociale la Fiducia, come forza propulsiva per ogni valutazione, è sempre al primo posto, tuttavia, se per Giorgia Meloni e Giuseppe Conte la loro leadership ha pagato la differenza, per Enrico Letta l’efficacia dei suoi messaggi non è stata rivoluzionaria. Il Pd, come Forza Italia, trova principalmente il suo asse di sostegno nelle fasce più adulte della popolazione. Da solo ha perso il suo importante appeal tra i dipendenti, gli operai e i disoccupati che, già da tempo, si sono rivolti verso altre offerte politiche. Dall’analisi degli ultimi dieci post su Twitter dei diversi leader, studiando le percentuali di engagement sui commenti, sulle condivisioni e sui like è emerso tra i principali topics dell’#GiuseppeConte: «Conte come salvezza contro la Destra». Il nuovo leader dei 5 Stelle si presenta – da sempre – nelle sue apparizioni pubbliche e soprattutto sui social più nei panni di una figura mediatica, piuttosto che nelle vesti di politico navigato. Enrico Letta, invece, si mostra al pubblico con il peso di una vera cultura politica che si scontra più spesso con la velocità e il divenire che scandisce la società di oggi. Il 35,7% dell’elettorato del Pd individua nel suo Segretario il vero sconfitto di queste elezioni, tuttavia il tema si ripropone ad ogni mandato elettorale facendo emergere le difficoltà strutturali di un Partito, piuttosto che del Segretario di turno. Guardando al futuro Stefano Bonaccini ed Elly Schlein risultano essere i nomi più competitivi per il dopo Letta, tuttavia tra gli elettori del Pd emerge, forse complice la vittoria di Giorgia Meloni alle ultime elezioni, una preferenza maggiore per la Vice Presidente della Regione Emilia Romagna (26,5% vs 22,4%). Il dato più preoccupante, che ritorna ancora una volta, è che un sostenitore su tre del Pd (29,8%), anche in questo caso, non vuole o non sa esprimersi. Questa titubanza dell’elettore, che cela una mancanza di chiarezza, di coinvolgimento e di prospettiva, rischia di alimentare – ancora di più – quel processo di erosione del consenso che sta interessando il Pd da almeno 8 anni. Ci si confronta più sulle necessità piuttosto che sulle possibilità! —