Corriere della Sera, 2 ottobre 2022
Intervista a Robbie Williams
«È stupefacente, pazzo, molto bello, sciocco, sbalorditivo che mi sia successo tutto questo». Robbie Williams sceglie lentamente le parole per raccontare come si senta a celebrare i 25 anni di carriera solista. È difficile capire quando scherza e quando è serio, quando è eccentrico e quando fragile, ma anche via Zoom, disteso in un letto a Parigi, torso nudo coperto in parte da un lenzuolo bianco, l’ex Take That ha uno sguardo magnetico che spesso si apre in una risata: ripercorre il quarto di secolo che l’ha visto salire fra i grandi del pop, ma anche combattere con eccessi, depressione e problemi mentali.
Giunto a questo traguardo può farsi i complimenti?
«Direi di sì, più di quanto abbia mai fatto. È bello essere in un momento della mia vita in cui posso prendermi del tempo per respirare e dirmi “beh, che cavolo: ben fatto”».
Il tour europeo del 25ennale partirà dall’Italia, il 20 gennaio 2023 a Bologna: che concerto vedremo?
«Sarà come i miei show in passato, ma mi piace pensare di essere molto più bravo di quando ho iniziato, quindi mi vedrete al mio meglio».
Il suo nuovo album «XXV» è stato il 14esimo a raggiungere il numero uno nel Regno Unito, un record che la avvicina a Elvis o i Beatles: che sensazione prova?
«La sensazione è che in questo momento non mi devo preoccupare di essere irrilevante e quindi è un’ottima cosa. Direi che in questo periodo è bello essere me».
Eppure il singolo «Lost» è negativo, parla di comportamenti al limite, di aver perso il proprio posto nella vita.
«Sì, ma si riferisce a un periodo lontano, fra il 1995 e il 2000. È autobiografico, ma parla di un tempo e di un luogo in cui mi trovavo anni fa».
Si è mai sentito perso in questi 25 anni?
«Mi sono sentito perso per la maggior parte del tempo e i miei pensieri sono stati perlopiù “tutto questo è troppo opprimente. Perché mi sento così? Come faccio a smettere? Dove mi trovo? Madre aiutami”. Direi che mi sono sentito così per 20 di questi 25 anni».
E come se ne viene fuori?
«Non c’è un modo, quindi ho imparato a conviverci. Il problema principale è stato ritrovarsi ad avere una malattia mentale all’interno di un’industria come quella musicale che a sua volta ti provoca problemi mentali (ride). Se avessi fatto il falegname, avrei comunque avuto problemi mentali, ma forse quel settore non è così intenso come passare la vita sotto i riflettori».
È entrato nei Take That a 16 anni. È più dura stare in un gruppo o da soli?
«È più dura far parte di un gruppo perché bisogna tenere in considerazione i sentimenti e i pensieri degli altri. La cosa bella, però, è che si condivide il successo e ciò fa sì che tu non ti senta solo: vai sul palco e la persona accanto a te sa esattamente come ti senti. Essere un artista solista, invece, può portare parecchia solitudine. Però mi piacciono entrambe le possibilità».
Ha un ricordo indelebile degli inizi?
«Il miglior ricordo è il momento in cui ho scoperto che avrei fatto parte dei Take That e mi sono detto “oddio diventerò famoso”. Non c’è mai più stato un momento in cui mi sia sentito meglio. Poi sono diventato famoso ed è stato una grande m... perché il pensiero di essere famosi è molto più liberatorio, affascinante e inebriante dell’esserlo in sé».
Rispetto a 25 anni fa, il pop è preso più seriamente?
«Di certo è giudicato in maniera meno negativa. La gente non dice più “questa musica fa schifo”, mentre anni fa spesso diceva “questa roba non dovrebbe esistere, quella band non dovrebbe avere tutto quel successo, quel cantante non vale nulla”. Credo che oggi la gente sia meno cattiva, certo lo è online, lì è proprio feroce, un vero inferno, ma nel mondo della musica, tra radio, giornali o tv, sono tutti più gentili che mai».
Qual è stato il miglior momento fin qui?
«Non so quando è stato che mi sono sentito alle stelle, ma so che è successo, so che molte persone mi amano quando sono sul palco, e ciò fa sentire molto potenti, è bellissimo. Molte persone hanno scelto invece di dirmi che mi odiano e disprezzano tutto ciò che rappresento, il che non fa sentire particolarmente bene. Ma mi piace pensare che il primo aspetto possa prevalere sull’altro, se io lo voglio».
Cosa desidera per i prossimi 25 anni?
«Raggiungere altri obiettivi, sforzarmi per realizzare i miei sogni e impegnarmi per renderli un successo».