Corriere della Sera, 2 ottobre 2022
In morte di Antonio Inoki
Per gli appassionati del wrestling – tantissimi e molti di loro sulla cinquantina – il giapponese Antonio Inoki, leggendario lottatore morto l’altra notte nella sua casa a Yokohama a 79 anni, era quello dei combattimenti visti in tv contro il guascone Hulk Hogan, lo spaventoso Andrè «the giant» e altri nomi così, Abdullah il «macellaio», Jake the Snake e Macho Man. Così celebre nel Sol Levante – ma non solo lì – da essere immortalato anche in un cartone animato cult, quello dell’«Uomo Tigre», il giustiziere Naoto Date: Antonio viene sconfitto, sì, ma poi ne diventa il migliore amico. Inoki vinceva sempre così: saliva sul ring, gettava via l’asciugamano e menava come un ossesso. Lo hanno sconfitto solo il diabete e la cardiopatia che affliggevano il suo corpo gigantesco, un metro e 91 per 110 chili di peso. Da tempo, inoltre, era costretto su una sedia a rotelle per via delle tante botte prese sul tappeto. «Battaglie che sono state violentissime, le sue, meglio chiarirlo: in Giappone i wrestler sono i parenti più prossimi dei lottatori di sumo, la loro è una vita da asceti, allenamenti massacranti e combattimenti senza tregua» racconta Alex Dandi, tra i massimi conoscitori dei segreti delle arti marziali e, su Dazn, telecronista ufficiale degli incontri della Ultimate Fighting Championship, la Lega più celebre. «Chi era Inoki? Una delle poche vere figure iconiche del mondo delle arti marziali e degli sport da ring – riflette il giornalista – insieme a Muhammad Ali e Bruce Lee: Antonio era nel mezzo, un po’ sportivo e un po’ attore. Ma anche politico di razza, lottatore pacifista e ambientalista». Inoki fu più volte parlamentare e proprio al Corriere raccontò di quando «nel ’90 andai in Iraq per contrattare il rilascio degli ostaggi giapponesi durante la Guerra del Golfo»). Amico del dittatore nordcoreano Kim Jong-un che lo ricevette per parlare di disarmo nucleare, con Bill Clinton discusse «di come aiutare a ricostruire nei luoghi dello tsunami del 2004. Perché? Da piccolo in Brasile (dove emigrò nel ’ 57, ndr) ero povero, non avevo niente. Ora ho una missione e realizzo quello che gli altri non possono fare». Tra le centinaia di incontri vinti da Inoki compare anche un singolare pareggio, il 27 luglio 1976, a Tokyo con Muhammad Ali. Boxe e catch – all’epoca così si chiamava il wrestling – assieme per la prima volta nel corso di un match che i giornali definirono «buffonata» anche «se i diretti interessati hanno sempre sostenuto che il match fu reale» ricorda Dandi, a un passo dal conoscere Inoki «durante un viaggio a Tokyo, anni fa per un incontro programmato con i suoi ammiratori. C’era una fila ordinatissima e infinita di persone che volevano salutare il loro idolo. Lui colpiva tutti con un coreografico, ma anche portentoso, schiaffone al volto. Ormai a un passo da Antonio, abbandonai la fila, non ce la facevo... Ma quel giorno compresi chi era Inoki e che cosa rappresentava davvero per il Giappone...».