Corriere della Sera, 2 ottobre 2022
Giolitti e il giolittismo
L’irruzione del futurismo sulla scena culturale s’inserisce in un clima di generale insofferenza per l’egemonia di lungo periodo stabilita sul sistema politico italiano da Giovanni Giolitti. Sin dagli esordi del secolo lo statista liberale piemontese, più volte presidente del Consiglio aveva esercitato quella che alcuni consideravano una sorta di «dittatura parlamentare», assicurandosi vaste maggioranze che gli consentivano di seguire la sua linea cautamente riformista e compromissoria, comprendente significative aperture ai socialisti, ma anche pratiche clientelari e trasformiste, soprattutto nel Mezzogiorno.
Quell’«Italietta» adagiata su sé stessa e senza grandi ambizioni, che peraltro aveva conosciuto un rilevante sviluppo economico, procedeva all’opposto della concezione futurista, volta a esaltare le spinte dinamiche e addirittura a celebrare la guerra «sola igiene del mondo». Ma la lista dei critici di Giolitti era molto più lunga. Non lo amavano le forze conservatrici, che non gli perdonavano l’apertura alle istanze sociali delle classi più umili. Lo detestavano i rivoluzionari come Benito Mussolini, che lo consideravano il grande corruttore del movimento operaio. Lo avversavano per i suoi metodi spregiudicati nel Sud intellettuali meridionalisti come Gaetano Salvemini, che lo definì «il ministro della malavita».
Nel 1911, premuto dai nazionalisti e da alcuni ambienti economici, Giolitti decise di occupare la Libia, che all’epoca era possedimento dell’Impero ottomano. Ne conseguì una guerra il cui andamento vittorioso, anche se travagliato, rafforzò le tendenze colonialiste e aggressive. I futuristi ne furono entusiasti, ma anche un poeta di ben altro orientamento come Giovanni Pascoli appoggiò l’impresa di Tripoli.
Dello stesso periodo è anche l’istituzione del suffragio universale maschile. Furono ammessi al voto tutti gli uomini che avessero compiuto 30 anni e quelli di almeno 21 che avessero alcuni requisiti. Il risultato, nelle elezioni del 1913, fu che i liberali videro ridursi la loro maggioranza alla Camera (il Senato era di nomina regia), nonostante l’accordo concluso da Giolitti con i cattolici, il cosiddetto «patto Gentiloni», per assicurarsi il loro appoggio ai candidati governativi.
Giolitti lasciò la guida del governo nel marzo 1914 e gli subentrò Antonio Salandra. Pochi mesi dopo, con l’attentato di Sarajevo, si aprì la crisi diplomatica che avrebbe condotto alla Prima guerra mondiale. L’Italia rimase in un primo tempo neutrale, ma con il passare del tempo si fece largo nel governo, nonostante la contrarietà di Giolitti, l’idea di intervenire contro l’Austria-Ungheria per completare l’unificazione nazionale attraverso la presa di Trento e Trieste. Inutile dire che i futuristi furono tra i più ferventi sostenitori dell’entrata in guerra, in prima fila assieme a Gabriele D’Annunzio e a Mussolini, che nel frattempo aveva rotto con il Partito socialista. Quando si aprirono le ostilità nel maggio 1915, Filippo Tommaso Marinetti e molti altri si arruolarono volontari. E al termine del conflitto avrebbero aderito al movimento fascista.