La Stampa, 1 ottobre 2022
L’alterego digitale di Buce Willis
Bruce Willis autorizzerà la creazione di una sua copia digitale. L’attore, che non può più recitare per una forma grave di afasia da poco diagnosticata, continuerà a stare sul set ma non del tutto con la sua presenza fisica. Nelle scene in cui troverebbe difficoltà per il suo problema clinico sarà sostituito da un suo «digital twin», ovvero un gemello digitale che la società americana Deepcake realizzerà sovrapponendo i tratti del suo volto a delle controfigure.
È il primo caso in cui una star di Hollywood decide, ancora in vita, di farsi sostituire cedendo i diritti della propria immagine per la creazione di un alter ego animato da effetti deepfake. È una sorta di primo passo verso l’immortalità di un divo che, in questa maniera, lancia una sfida alle intemperie a cui è sottoposto ogni corpo mediamente deteriorabile. È la risposta di un artista che si esprime professionalmente attraverso l’aspetto fisico, al cui disfacimento naturale non può rassegnarsi. Soprattutto se, come nel caso di Bruce Willis, calca le scene con successo da almeno quarant’anni.
Sarà così abolito lo spettro del «Sunset Boulevard»? A tendere non ci saranno più spettrali cascami di glorie passate, silenziosi ospizi di artisti in pensione che si consumano nel rimpianto dei giorni della gloria?
Continueranno a esserci perché attori e attrici sono esseri umani e l’essere umano invecchia e decade, da questo non si fugge. È probabile invece che cambierà la strategia di esposizione di un volto celebre, di un corpo che ha fatto sognare folle di spettatori. Verrà un momento nella carriera in cui il protagonista uscirà volontariamente di scena, scegliendo con cura l’attimo estremo del suo fulgore che precede l’inizio della discesa nel precipizio del decadimento fisico. Cambierà vita, si godrà i proventi del successo in luoghi paradisiaci, si produrrà in pratiche ascetiche, si abbandonerà ai piaceri della carne, nutrirà il suo intelletto, si occuperà di umanità disagiata... Insomma rinuncerà alla vita pubblica proprio perché non dovrà mai più essere messo a confronto con il suo avatar digitale, che continuerà indefesso a girare film al posto suo. Instancabile, incorruttibile e quasi tendente all’eternità.
Per estremo paradosso il prototipo umano farà la parte del ritratto, la copia digitale sarà per il mondo il reale Dorian Gray.
Solo antichi pregiudizi immaginano le divine ritorsioni per ogni pratica umana tendente ad arginare l’opera del tempo sulla propria persona.
Ha provato a fermare il tempo il vecchio dottor Faust, l’ha fatto Cher a 76 anni quando ha sfilato inguainata in una tutina di latex per lo stilista Olivier Rousteing, durante la fashion week di Parigi. Il vecchio alchimista nella ricerca della gioventù perduta rischiò di giocarsi l’anima, la bellissima cantante-attrice-sex symbol ha investito in tanta chirurgia estetica e polimero in quantità.
È chiaro che quella della mummificazione con botox al posto della formaldeide non è certo la via giusta per l’eternità. Ha prodotto una nuova stirpe umanoide, a cui si attribuisce per convenzione condivisa la virtù eroica del corpo incorrotto, la stessa che una volta si riservava ai santi ma che è oggi alla portata di chiunque, dopo che alla salma di Padre Pio è stata messa una maschera di silicone creata dalla Gems Studio, l’azienda londinese che collabora con il museo di Madame Tussauds di Londra.
Fino ad ora la resurrezione digitale di un attore era considerata come estrema ratio quando un incidente improvviso non gli permetteva di terminare un film in produzione; nel 2013, quando Paul Walker morì in un incidente stradale, proprio durante le riprese del settimo capitolo di Fast & Furious. In quel caso l’Universal affidò all’azienda neozelandese Weta digital il compito di creare il doppio digitale, per quanto bastava a ultimare il film.
La svolta, rispetto a ogni passata apparizione «medianica» di un corpo celebre, è proprio nell’atto giuridico di un individuo consapevole per conferire a un algoritmo il privilegio di rappresentare sé stesso. È la versione meno eroica del «Testamento del Capitano»; come nell’antico canto degli alpini, nella nostra quotidiana guerra al decadimento dell’aspetto, anche noi semplici mortali potremo decidere di affidare le parti più stimate del nostro corpo al grande burattinaio digitale.
Persino noi che non possediamo volti celebri, forse un giorno, arriveremo a invocate il nostro diritto allo splendore di una fulgida rinascita da digitalizzati. Uno status perennemente sfolgorante che possa rappresentarci nelle nostre social relazioni.
Potremo solo così poi permetterci il lusso di compiacere, senza tema di giudizio, le nostre irreversibili cicce cascanti. —