La Stampa, 1 ottobre 2022
Attacco kamikaze a Kabul
«Avevamo appena iniziato l’esame. Stavo rispondendo alle domande, quando ho sentito un rumore molto forte e ho visto il tetto crollare. Quando mi sono svegliata ero in casa, con il polso rotto e diverse ferite», racconta Saliha Hussaini, studentessa. Come altri circa 600 studenti, era presente al centro educativo Kaj nel quartiere a maggioranza Hazara di Dasht-e-Barchi, quando una bomba è esplosa verso le 7 del mattino. Secondo il governo afghano le vittime sarebbero 19 e i feriti 27. Ma secondo altre fonti i morti sfiorerebbero le 40 unità con più di 100 feriti. Sebbene ci siano sia uomini che donne fra le vittime, queste ultime sono in stragrande maggioranza. Dopo l’esplosione, avvenuta verso le 7 del mattino di ieri, i cadaveri sono stati allineati fuori dalla zona dell’esplosione per il riconoscimento da parte dei familiari. Saliha, come gli altri studenti, partecipava al konkur, l’esame nazionale afghano per accedere all’università pubblica che si tiene ogni anno prima dell’inizio dell’anno accademico.
L’ennesimo attentato nella zona di Kabul abitata dalla minoranza sciita Hazara è stato condannato a livello internazionale e, in particolare, anche dall’Emirato Islamico stesso, che ha condannato l’atto terroristico attraverso il portavoce Zabiullah definendolo un «grande orrore». L’attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico Khorasan, la branchia afghana dell’Isis. «I due attentatori sarebbero entrati nel centro vestiti come dei mujahidin taleban – commenta Mokhtar Mudabir, il direttore del centro, dopo essere uscito dall’ospedale – uccidendo le guardie all’entrata, per poi colpire il vicedirettore del centro e un altro impiegato. Sarebbero poi entrati nella sala per farsi esplodere, fra il settore dei ragazzi e delle ragazze». Mokhtar Modabir, rimasto illeso ma presente nel suo ufficio durante l’attentato, ha perso la sorella nell’esplosione.
Non è il primo attacco al centro Kaj. Già nel 2017, un attentato dello Stato Islamico fece 52 vittime. Nessuno sa la ragione, anche se molti pensano che sia dovuto alla presenza di donne nel concorso statale. Tuttavia, siccome la maggior parte dei partecipanti era di etnia Hazara, Modabir esprime il suo sconcerto: «È un progetto che va contro un’intera generazione e un gruppo etnico». In effetti, le ultime esplosioni nella capitale, sempre rivendicate dall’Isis, sono avvenute contro obiettivi appartenenti all’etnia Hazara. «Sono animali – tuona Saliha, ancora sofferente -. Non hanno mai voluto lasciare le ragazze Hazara progredire». Durante gli anni della repubblica, il quartiere di Dasht-e-Barchi era praticamente fuori dal controllo dell’esercito nazionale afghano, controllato da milizie sciite ben armate e che avevano connessioni con politici influenti vicini al presidente e con altri Stati. Ma da quando i taleban hanno preso il potere l’anno scorso, hanno requisito le armi. Gli Hazara della capitale si sono lamentati della poca sicurezza data durante gli eventi pubblici. «Perché i taleban, se sapevano che questo centro era già stato colpito anni fa, non hanno messo più sicurezza?», si chiede Modabir. Se con l’arrivo dei taleban la sicurezza nel paese è aumentata, il governo sembra non riuscire a mantenere la promessa di dare più protezione alla popolazione civile e alle minoranze. —