La Stampa, 1 ottobre 2022
Intervista a Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi ha ripreso in mano la partita: giovedì ha parlato con Giorgia Meloni e ieri ha incontrato Matteo Salvini e oggi potrebbe svolgersi un vertice a tre. Per la prima volta il Cavaliere sarà un socio di minoranza di un governo e manda dei messaggi, specie sulla presenza dei tecnici e sulla suddivisione dei collegi uninominali che ha penalizzato Forza Italia: «C’è stato un errore da non ripetere».
Presidente, cosa vi siete detti con Meloni giovedì scorso e ieri con Salvini?
«Non ho mai svelato per antica regola i miei colloqui privati con le signore e non farò eccezione solo perché questa signora sarà il prossimo Presidente del Consiglio dei ministri. Questo vale anche per le mie conversazioni con Salvini».
Come giudica i suoi primi passi?
«Non mi permetto di dare giudizi, ma mi è sembrata prudente ed equilibrata».
Forza Italia ha ottenuto l’8,3%, molto meno del 2018, ma meglio di quello che i sondaggi prevedevano. Bicchiere mezzo pieno?
«Devo correggerla, Forza Italia rispetto al 2019 – le elezioni europee, che sono l’ultimo dato politico omogeneo a livello nazionale – ha mantenuto gli stessi voti. Anzi, posso osservare che fra i grandi partiti che hanno sostenuto il governo Draghi il nostro è il solo che non ha perso consensi. Questo dipende dal fatto che il nostro appoggio al governo Draghi non è stato percepito come una forzatura dai nostri elettori, ma come un atto di responsabilità e di amore verso il Paese, quella responsabilità e quell’amore che gli italiani sanno di potersi aspettare da noi».
Lei come si spiega quei voti persi?
«La perdita di voti nel 2019 – insisto, non oggi – era dovuta alla delusione di molti elettori per il fatto che avessimo dovuto rinunciare a dare vita ad un governo di centrodestra nella scorsa legislatura. Speravano, rafforzando Salvini, di accentuare il profilo di centrodestra del governo gialloverde. Posso dirle però qualcosa di più attuale: lo studio dei flussi elettorali dimostra che né oggi il grande successo elettorale della Meloni, né la modesta crescita di Renzi e Calenda, né ovviamente il poderoso recupero dei Cinque Stelle hanno rubato voti a Forza Italia».
Voi chiedete pari trattamento con la Lega, che però ha molti parlamentari in più, quale criterio va applicato?
«La Lega ha molti più parlamentari di noi perché in sede di trattativa sui collegi non si è adottato il criterio che io avevo proposto. Vi erano tre partiti, ognuno dei quali indispensabile politicamente e numericamente per vincere nei collegi uninominali. Quindi mi sembrava un criterio equo che questi collegi venissero divisi in parti uguali fra i tre partiti, ovviamente sempre privilegiando candidature di qualità, e che con il voto per la parte proporzionale fossero gli elettori a decidere nella cabina elettorale, non a tavolino, i veri rapporti di forza fra i partiti. Questo principio non è stato accettato dai nostri alleati e i miei collaboratori che hanno chiuso la trattativa hanno ritenuto, giustamente, di far prevalere l’unità della coalizione a una questione di posti. Questo però spiega il paradosso per il quale la Lega ha più parlamentari di noi, pur avendo gli stessi voti. Ovviamente questo errore non si deve ripetere per quanto riguarda la formazione del governo. Dove deve naturalmente prevalere la qualità, prima ancora della rappresentatività».
Vanno scelte molte figure tecniche o il governo deve avere un profilo politico?
«Non è una questione di numeri, ma di significato. Io non credo nei tecnici puri: se esistessero la politica diventerebbe inutile. Io ho sempre voluto coinvolgere nei miei governi persone chiaramente schierate con noi, che condividessero il nostro progetto politico, e che avessero un curriculum professionale, accademico o imprenditoriale di prim’ordine. Come dico spesso, persone che avessero dimostrato nella vita e non solo in politica di saper realizzare gli obbiettivi prefissati. Ora vorrei di nuovo qualcosa di simile: non l’adesione a titolo personale di qualche nome famoso, ma l’impegno di mondi importanti».
A quali mondi si riferisce?
«A quello dell’impresa, del lavoro, delle professioni, della cultura, dell’università, della scienza, in uno sforzo di vera unità nazionale, come condizione d’animo del Paese. Lo sto chiedendo da due anni, lo chiedo a maggior ragione ora che nasce il futuro governo. Del resto le emergenze da fronteggiare, prima fra tutte quella dell’energia, e le grandi riforme che dobbiamo mettere in cantiere, a cominciare da quella fiscale, richiedono davvero il concorso di tutti».
Farà il senatore semplice?
«Farò quello che il Paese e prima di tutto il centrodestra mi chiederà di fare. Ovviamente se lei pensa alla storia della mia vita può ben comprendere che il ruolo che io svolgo va in ogni caso al di là di qualsiasi incarico formale, specialmente nello scenario internazionale».
Che atteggiamento deve avere nei riguardi della Russia il nuovo governo?
«Esattamente quello del governo precedente. Su questo non ci possono essere dubbi. Aggiungo che quando le circostanze lo consentiranno sarò il primo a insistere per una soluzione diplomatica, perché considero la guerra intollerabile, la follia delle follie. Tuttavia, una soluzione diplomatica implica l’assoluta unità dell’Occidente e non può contemplare in nessun caso il sacrificio della libertà e dei diritti del popolo ucraino».
Che ruolo vede per Mario Draghi?
«Sarà lui a decidere. Ma certo è un patrimonio del Paese al quale non possiamo rinunciare. Ovviamente avrebbe tutte le carte in regola per occupare un ruolo apicale nelle istituzioni internazionali». —