Corriere della Sera, 1 ottobre 2022
Il senso delle api per la caffeina
Nei due libri che Michael Pollan ha dedicato alle piante che modificano la mente c’è, sotterraneo, un enigma fondamentale sul quale si scervellano da tempo etologi, fisiologi delle piante, biologi evoluzionisti e neuroscienziati.
Le sostanze chimiche derivate da vegetali quali caffeina, la teobromina del cacao, nicotina o mescalina hanno un impatto importante sul funzionamento dei cervelli degli animali. I meccanismi attraverso i quali le componenti psicoattive dei vegetali producono i loro effetti sono stati molto studiati e sono oggi ben conosciuti. Rimane però aperta la domanda sul perché queste sostanze abbiano effetti psicoattivi sugli animali.
Gli animali sono stati esposti alle sostanze psicoattive prodotte dalle piante lungo il corso dell’evoluzione. Dal punto di vista neurobiologico sappiamo che tutte queste sostanze interferiscono in qualche modo con i meccanismi cerebrali della ricompensa, localizzati nella via dopaminergico-mesolimbica e associati all’azione di neuromediatori come la dopamina e l’acido gamma-amminobutirrico (GABA). Dal punto di vista delle teorie che cercano di rendere conto della loro origine è noto come tutte le maggiori sostanze psicoattive – ad esempio caffeina, nicotina, cocaina e oppiacei – siano neurotossine che le piante producono per tenere alla larga gli erbivori. Perciò non si riesce a capire perché mai le piante dovrebbero aver evoluto nel corso della storia naturale composti che agiscono come ricompensa per gli animali, favorendone o rinforzandone il consumo. E parimenti non si capisce perché mai gli animali dovrebbero aver evoluto meccanismi di ricompensa che sono scatenati dal consumo di queste sostanze. Una contraddizione che è nota nella letteratura scientifica come the paradox of drug reward (il paradosso della ricompensa da droghe).
Se prestiamo fede alle teorie correnti lo sviluppo delle dipendenze sarebbe legato al fatto che le sostanze psicoattive attivano e riprogrammano i circuiti cerebrali della ricompensa prendendo per così dire il posto di quelli predisposti naturalmente, segnalando al soggetto in modo ingannevole uno stato di benessere e di assenza di dolore. Quest’ipotesi tuttavia regge solo se assumiamo che gli esseri umani si siano evoluti in un ambiente in cui non sono stati esposti alle tossine vegetali, poiché altrimenti dovremmo aspettarci che il cervello abbia evoluto meccanismi di difesa da queste tossine. Oggi disponiamo di dati convincenti che mostrano come gli enzimi di detossificazione degli animali si siano evoluti circa 400 milioni di anni fa, nello stesso periodo in cui le piante hanno sviluppato le loro tossine. Ciò suggerisce chiaramente una co-evoluzione competitiva: le piante hanno evoluto le loro tossine per difendersi dai predatori erbivori e gli animali hanno evoluto enzimi di detossificazione per contrastarne l’azione.
È possibile che l’assunzione di alcune di queste tossine arrechi benefici agli animali; ad esempio, pare ben documentato che un certo livello di consumo di nicotina possa essere associato negli animali a un minor grado di infestazione da parte dei parassiti.
Rimane però da capire perché le sostanze chimiche di origine vegetale abbiano gli effetti che hanno sul cervello animale. Un’idea interessante è che i composti psicoattivi prodotti dalle piante non siano un mero deterrente per gli animali, bensì uno strumento evoluto per attrarre e manipolare il comportamento animale. Se dimostrata, una tale ipotesi risolverebbe il paradosso della ricompensa da droghe, collocando l’interazione pianta-animale in un diverso contesto ecologico e aprendo molte nuove prospettive alla ricerca sull’impiego delle sostanze d’abuso.
Un esempio, che è stato molto indagato dall’etologo dell’Università di Parma Donato Grasso, riguarda le formiche. Le interazioni tra formiche e piante furono descritte per la prima volta alla fine del XIX secolo dal botanico italiano Federico Delpino e forniscono numerosi esempi del cosiddetto mutualismo tra piante e insetti, dalla protezione contro gli erbivori alla dispersione dei semi. Per definizione, i mutualismi implicano lo scambio di beni o servizi tra membri di specie diverse a reciproco vantaggio dei partner.
I nettàri extraflorali sono un esempio del mutualismo tra piante e formiche. Si tratta di strutture localizzate in varie parti delle piante generalmente lontane dai fiori e quindi non coinvolte nel processo di impollinazione. I loro secreti sono molto attrattivi per questi insetti, e rappresentano la ricompensa offerta dalla pianta alla formica mutualista. A loro volta le formiche forniscono protezione contro gli erbivori, la vegetazione invadente e gli agenti patogeni.
Sono state descritte oltre cento famiglie di piante che presentano nettàri extraflorali e la natura difensiva di queste interazioni è ben descritta. Le piante possono influenzare l’attività e il comportamento delle formiche, regolando la quantità e la composizione del nettare, aumentando così il livello di protezione messo in atto dagli insetti. Quando le piante sperimentano la predazione da parte di erbivori viene secreta una maggiore quantità di nettare e aumentano le concentrazioni di zuccheri e/o di aminoacidi nei nettàri. È interessante notare che la protezione delle piante è migliorata anche dall’aumento dell’aggressività delle formiche.
Una delle prime interazioni manipolative riportate in letteratura di una sostanza chimica di origine vegetale sul cervello animale è relativa all’alcaloide psicoattivo caffeina. La caffeina è stata trovata nei nettari dei fiori. Successivamente è stato documentato l’effetto della caffeina sul comportamento delle api. La caffeina agisce come repellente ad alta concentrazione, mentre a basse concentrazioni non solo la caffeina attrae le api, ma altera anche il comportamento degli impollinatori migliorando il loro ricordo della ricompensa.
L’influenza della caffeina sulla cognizione nelle api è mediata dalla sua azione su certe cellule nervose che si trovano nei cosiddetti corpi fungiformi (sorta di area associativa nel cervello degli insetti) producendo un aumento nelle capacità di apprendimento in modo assai simile a quanto accade nei neuroni ippocampali dei mammiferi.
La risposta al paradosso della ricompensa associata al consumo di droghe sembra legata perciò alle due forme di vita dominanti del mondo terrestre, le piante e gli insetti, e ai molti ruoli ecologici che i prodotti chimici vegetali del metabolita secondario si trovano a svolgere; ad esempio, difendendo la pianta dai predatori erbivori manipolando il sistema nervoso e il comportamento degli insetti impollinatori. Così il paradosso si scioglie considerando la stretta corrispondenza tra il cervello degli insetti e quello dell’uomo nei meccanismi di segnalazione intercellulare e nei percorsi circuitali condivisi, una similarità che dovrebbe farci molto riflettere.