Corriere della Sera, 1 ottobre 2022
La nube di gas sulla Scandinavia
Enormi bolle che salgono dal mare, un chilometro di diametro. Che fanno levare un gas incolore, inodore, invisibile. Alto. Lontano. Diluito. Eppure inquietante. «Non abbiamo mai visto nulla di simile», sospira Cathrine Lund Myhre, ricercatrice norvegese sul clima: «Tutto questo aumenterà il metano nell’aria d’almeno il 20%». Se è stato un semplice incidente (e non ci crede più nessuno), alle navi è stato raccomandato di girare al largo, minimo 13 km. Se è stato un sabotaggio (ed è l’unica cosa su cui concordano tutti), alle marine militari di Norvegia, Francia, Germania e Gran Bretagna è stato ordinato di pattugliare con attenzione. Se c’è un rischio per tutti noi, ai meteorologi di mezz’Europa è stato chiesto di guardare con attenzione il cielo. «Con tutto quel che succede in questa guerra – ironizza Oleksandr Kharchenko, capo dell’agenzia energetica ucraina —, non sarà una nuvola di metano a spaventare l’Europa?».
Spaventare no, preoccupare sì: la quantità di gas che da lunedì s’alza dal Baltico, da quando si sono aperte le quattro falle nel gasdotto che collega alla Russia, è considerata dall’Unep – l’agenzia Onu che s’occupa d’ambiente – il più pericoloso rilascio di metano dannoso che si sia mai registrato. Una nuvola che grazie al jet stream, corrente d’alta quota che spinge verso il Sud, potrebbe arrivare anche sui Balcani o su alcune regioni italiane. Senza troppo rischio per l’uomo, sia chiaro. Casomai per il clima: il metano è un gas serra responsabile del buco nell’ozono e di molti cambiamenti climatici, il suo effetto sul riscaldamento globale – anche se 50 volte più breve – è 80 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. E quant’è fuoruscito finora, al largo dell’isola danese di Bornholm, corrisponde alle emissioni d’un anno intero in una metropoli come Parigi o in un’intera nazione come la Danimarca.
«Non sappiamo quanto gas sia, né la sua temperatura esatta, non sappiamo che impatto stia avendo nell’ambiente marino – spiega un osservatore collegato all’Unep —. Ma sappiamo i rischi che ci sono nell’aria. Perché questa nuvola è davvero brutta. Ed era l’ultima cosa che ci serviva in questo periodo, mentre stanno ripartendo anche le centrali a carbone e avremmo la necessità assoluta d’evitare altre emissioni rischiose».
Per fare paragoni. In dicembre, c’è stata la peggiore rottura del genere: su una pipeline offshore del Golfo del Messico, una fuga da cento tonnellate di metano all’ora, 40 mila tonnellate in diciassette giorni. E a Los Angeles, nel 2015, ci vollero diversi mesi perché ci fosse una perdita di gas naturale da 97 mila tonnellate. Qui s’è già arrivati almeno a 80 mila tonnellate in quattro giorni, con tutte le difficoltà a rilevare le esatte perdite in questa situazione. E quindi, ecco la domanda che subito segue: quanti giorni durerà, la grande falla? Il Nord Stream 1 non è attivo da agosto, il Nord Stream 2 non è mai entrato in funzione, però erano entrambi pieni di gas. Una delle quattro perdite s’è esaurita, dice Stoccolma. «Domani o al massimo lunedì – promette il gestore – dovrebbero svuotarsi i tubi».