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 2022  ottobre 01 Sabato calendario

Missili russi al mercato. Trenta morti

 Quei corpi nel parcheggio di fango sono la prima strage della guerra in Ucraina nell’era dell’annessione. Si è consumata ieri mattina, poco dopo le otto, alla periferia Est di Zaporizhzhia, in un mercato dove si accede in auto e che da marzo era diventato il centro di raccolta dei rifugiati ucraini.
In questa stagione, con la città in mano all’esercito di casa e il resto della regione conquistato dai russi, Auto Parts market inizia a ricevere famiglie della città all’alba. Alcune sono arrivate qui in primavera, scappando da Mariupol, da Melitopol. C’è chi ha lasciato i figli di là, in zona russa. Chi ha lasciato i vecchi, senza medicine. Ora vogliono rifornirli. Altre famiglie di Zaporizhzhia sanno che nei territori occupati, in particolare a Mariupol, scarseggia anche il cibo. Hanno riempito le auto di viveri. Eccoli, sotto la tettoia, mentre bevono una tazza di caffè in questo autunno ancora caldo, che il sibilo, l’inconfondibile sibilo, si avvicina.
Tre esplosioni, a centro metri una dall’altra. Tre missili. Sfondano il pulmino blu, in attesa di partire. Lanciano il tetto del mercato sopra la familiare beige. E buttano a terra, dilaniandoli con la violenza dei loro frammenti, oltre cento persone. Trenta perdono la vita all’istante, tra loro ci sono bambini. E ottantotto, di cui ventisette poliziotti. vengono feriti. La metà finisce al centro clinico regionale, due chilometri lontano. Molti in terapia intensiva. «Volevo andare a trovare mia madre», dice una donna in lacrime, i jeans strappati, al pronto soccorso.
Il governatore militare ucraino della regione, Oleksandr Starukh, denuncia subito «l’attentato terroristico russo». Il sindaco di Melitopol in esilio, Ivan Fedorov, spiega chi c’era in quel convoglio di civili. La procuratrice conta i morti, il servizio di sicurezza di Kiev apre un’indagine «per l’ennesimo crimine di guerra». Al presidente Volodymir Zelensky spetta la frase da consegnare: «Non c’è fondo al cinismo dell’esercito russo». Mosca non ribatte, questa volta, indaffarata nel cerimoniale dell’annessione, ma i canali Telegram più vicini e aggressivi rimbalzano notizie che in Italia trovano audience: «Sono stati i nazisti ucraini, hanno colpito il loro popolo».
Logica e dettagli dicono il contrario. I frammenti a terra dell’S-300 più devastante, con i loro inconfondibili ganci metallici, sono identici a quelli che abbiamo visto giovedì attorno ai buchi lasciati dai quattro missili sparati in altrettante zone di Kramatorsk. E con gli S-300, che sì,sono anche in dotazione alle forze armate di casa, i russi hanno appena bombardato la martirizzata Mikolayv, a Sud. Il vicecapo dell’ufficio di presidenza ucraino, Kyrylo Timoshenko, parla di 16 missili lanciati su Zaporizhzhia: si sono sentite 13 esplosioni in tutta l’area orientale.
Perché i russi avrebbero dovuto alzare così la tensione, sparare sui civili che si erano abituati a ricevere, in un momento così delicato? La prima ipotesi, la più rassicurante, è che si sia verificato un errore, cosa frequente. Ma la presenza di tre crateri ravvicinati profondi quattro metri toglie mattoni all’ipotesi rassicurante. Le autorità ucraine temono, piuttosto, che Vladimir Putin abbia voluto aprire l’era dell’annessione con un messaggio preciso: nessuno dall’Ucraina potrà più varcare i nuovi confini. Mosca non intende cedere un metro di quello che ha acquisito e, di fatto, ha aperto una cortina di ferro nelle regioni annesse. Quattro regioni a Sud-Est, un’unica cortina di ferro da difendere con i missili. Uno dei più loquaci consiglieri di Zelensky, Oleksij Arestovych, conoscitore della Russia e della sua storia, dice: «Putin sta chiudendo il suo Paese come mai prima, lo sta trasfor-mando in un’enorme Corea del Nord». Nei territori occupati è già partita la campagna d’autunno. A Mariupol e a Donetsk è in corso un arruolamento di massa e il capoluogo, dopo le conquiste di Izjum e Lyman da parte degli ucraini, si sta serrando a fortino in attesa della brigata meccanizzata e della battaglia finale. Nella parte meridionale della regione, Bakhmut, lo scontro è ferocissimo. La Russia vuole blindare il Lugansk, che detiene al 95 per cento, e in questa porta d’accesso confinante ha mandato i duri del Gruppo Wagner, che firmano raid notturni insidiosi e luttuosi. Le forze nazionali non cedono un metro, però, neanche a Bakhmut: «Dopo i referendum l’Ucraina non possiamo che riprendercelada soli».