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 2022  ottobre 01 Sabato calendario

Cronaca di un’annessione farsa

Alle 15 il countdown sulle televisioni russe si interrompe. Scatta l’ora “x” dell’atteso discorso di Vladimir Putin che, con quattro firme, rivendica l’egemonia russa su un sesto dell’Ucraina e cambia ancora una volta la storia e la geografia. Una prova di forza che maschera la debolezza, accerchiato com’è sul campo di battaglia in Ucraina e assediato in patria dal malcontento per la caotica mobilitazione “parziale” che spinge migliaia alla fuga.
Tra il trionfo d’oro e di stucchi della sala di San Giorgio del Gran Palazzo del Cremlino è riunita tutta lanomenklatura : ministri, deputati, senatori, rappresentanti religiosi. Manca soltanto il patriarca Kirill: malato di Covid. Il presidente russo arriva con consueto ritardo. Il «corposo discorso», così lo aveva preannunciato il portavoce Dmitrij Peskov, dura poco meno di un’ora, inframmezzato da applausi e ovazioni in piedi. È una delle invettive più anti-americane pronunciate da Putin in oltre un ventennio al potere. Il leader del Cremlino si scaglia contro l’Occidente «satanista», che mente «come Goebbels» e vuole preservare a tutti i costi «il sistema neocoloniale che gli permette di fare il parassita e di depredare il mondo». «Vogliono vederci come una colonia, come una folla di schiavi senz’anima», continua incolpando «gli anglosassoni» anche di essere dietro ai sabotaggi dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 dopo la solita litania di recriminazioni.
Poi invita Kiev a «cessare immediatamente il fuoco, tutte le ostilità e a tornare al tavolo dei negoziati». «Siamo pronti». Ma mette subito in chiaro che «non metterà in discussione la scelta della popolazione» di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, le quattro regioni ucraine dove si sono tenuti i referendum-farsa sull’annessione alla Russia. «La scelta è stata fatta, la Russia non la tradirà». E, come se non bastasse, aggiunge subito: «Proteggeremo la nostra terra con tutte le forze e i mezzi a nostra disposizione e faremo di tutto per garantire la sicurezza della nostra gente». Minaccia che può sostenere con il più grande arsenale di testate nucleari al mondo. Non è la sola. «Gli Stati Uniti sono l’unico Paese al mondo ad avere usato un’arma nucleare due volte, distruggendo le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. A proposito – osserva allusivo – hanno stabilito un precedente».
Putin fa soltanto un fugace riferimento alla mobilitazione “parziale”. Ammicca agli alleati di Washington: «L’élite americana usa l’attuale tragedia per indebolire i rivali. Vale anche per l’Europa, vale anche per l’identità di Francia, Italia, Spagna e altri Paesi con una lunga storia». Torna a prendersela anche con l’élite sovietica che, nel 1991, «senza chiedere la volontà dei cittadini», decise di far crollare l’Urss. «Ma non importa più. L’Unione Sovietica non c’è più, il passato non può essere restituito. E la Russia oggi non ne ha più bisogno, non ci stiamo battendo per questo», assicura. Ma poi ricorda che «dopo il crollo», dopo «i terribili Anni ‘90», la Russia «ha ripreso il suo legittimo posto nel mondo». E promette di essere pronto a continuare la battaglia «per la grande Russia storica». «La verità è dalla nostra parte. La Russia è con noi!». Lancia anche un’infuocata filippica sul «genere». «Vogliamo avere, qui, nel nostro Paese, in Russia, al posto di mamma e papà “genitore 1, 2, 3”?», chiede a«tutti i cittadini della Russia», non solo ai dignitari che applaudono a ogni requisitoria e si alzano in piedi quando Putin chiede di onorare con un minuto di silenzio la memoria degli eroi della “primavera russa” morti in Ucraina. Il leader ceceno Ramzan Kadyrov trattiene a stento le lacrime. In tanti hanno gli occhi lucidi, ma c’è pure chi fatica a tenerli aperti, come Serghej Kirienko.
Dopo 37 minuti di catilinarie, Putin e i quattro amministratori filo- russi delle regioni ucraine firmano i documenti dell’annessione alla Russia che verranno ratificati soltanto la prossima settimana dalla Duma e dal Consiglio della Federazione. Dopo la sigla, Putin invita i quattro leader a sovrapporre le mani prima di urlare all’unisono con la sala “Rossija! Rossija!”.«Un vero momento storico», commenta il conduttore della tv Rossija 24 al termine della sfarzosa cerimonia chesegna la più grande annessione in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale con fanfare di tromba e guardie a passo d’oca in uniformi blu scuro.
È il culmine di sette mesi di quella che Putin si ostina a chiamare “operazione militare speciale” e di referendum organizzati in fretta e furia in regioni controllate soltanto parzialmente dall’esercito russo. Anche l’annessione è scalfita dalla fretta. «Ho bisogno di chiarirlo», risponde Peskov a chi gli chiede se la Russia stia annettendo le regioni ucraine “entro i loro confini amministrativi” o soltanto le parti che controlla. Putin sorvola. «Gli abitanti di Lugansk e Donetsk, Kherson e Zaporozhe (lo dice alla russa, ndr) diventano nostri
cittadini per sempre». Quel “per sempre”, navsegda, è tutt’altro che casuale: la Costituzione riformata nel 2020 vieta di cedere territori annessi. Ritorna anche nello slogan del concerto che si tiene in una Piazza Rossa gremita di tricolori: “Vybor ljudej, vmeste navsegda”, “La scelta del popolo, per sempre insieme”.
In migliaia hanno seguito la cerimonia sui maxischermi. Sono studenti, dipendenti statali o abitanti della regione di Mosca arrivati in autobus con il kit delle grandi occasioni: bandiere russe e persino poncho impermeabili. «Le previsioni minacciavano pioggia», conferma Lesja, archivista 50enne di una compagnia elettrica. «È un momento storico. Cambiano le frontiere». Ma ammette che il futuro è incerto: «Gli ucraini continueranno a combattere. C’è il rischio che l’operazione speciale si prolunghi. E i russi non vogliono essere mobilitati». Il 41enne Maksim, portato a Mosca dal podestà del suo villaggio, Berezhki, non teme di andare a combattere: «Che uomo sarei? Festeggio. Abbiamo recuperato territori storicamente russi e stiamo sconfiggendo il nazismo». È oramai sera quando Putin si presenta alla folla. «La vittoria sarà nostra!», promette dando il «benvenuto a casa» agli abitanti dei territori ucraini annessi, «tornati nella loro patria storica». Poi canta l’inno nazionale. Il copione è quello oramai logoro di quattro anni fa quando celebrò l’annessione della Crimea e i suoi consensi schizzarono alle stelle. Ma stavolta l’orchestrato festival del patriottismo e dell’orgoglio russo non sembra che basterà.