la Repubblica, 30 settembre 2022
Breve storia del gas
Oggi è lo spauracchio che spaventa l’Europa, arma di ricatto, spettro che aleggia sulle nostre bollette schizzate alle stelle. Eppure, quando il gas portò la luce, più luce, nelle vie delle città, lo scopo era proprio quello di fugare spettri e fantasmi minacciosi che si nascondevano nel buio delle strade, aiutando le ronde ad acciuffare ladri e tagliagole. E iIlluminare il lavoro delle fabbriche aggiungendo qualche ora in più.
All’inizio era solo uno scarto della lavorazione del carbone fossile. Che si cuoceva nei forni per renderlo più compatto, utile a sopportare il peso dei minerali da cui ricavare ferro e ghisa senza frantumarsi sotto il loro peso. Ma bisognava sottrargli polveri, catrame – usato poi per la pavimentazione delle strade – e liberare quel gas che si infiammava con facilità. Ci volle un po’ di tempo perché venisse in mente di usarlo per i lampioni. Londra fu la prima ad accendersi così all’inizio del XIX secolo: già nel 1813 il ponte di Westminster lasciava la sua ombra sulle increspature notturne del Tamigi. Le officine del gas aprivano i battenti a Parigi, la “Ville lumière” e Berlino.
In Italia arriva più tardi, anche se Alessandro Volta già alla fine del ‘700 aveva intuito le potenzialità di un altro gas, quell’aria “infiammabile nativa delle paludi” che gorgogliava vicino al Lago Maggiore, ovvero il metano.
«Certo il gas aiutò a portare più sicurezza nella vita notturna, ma fu sostituito presto dall’elettricità che arrivò negli ultimi anni dell’800», ricorda Stefano Musso, docente di Storia contemporanea all’università di Torino. «Il suo ruolo nell’illuminazione fu breve, durò solo mezzo secolo, non fu proprio una rivoluzione. Il vero cambiamento lo portò all’interno delle case, per il riscaldamento domestico e la cottura degli alimenti», spiega Musso. «La prima tappa nel nostro paese fu a Torino, quando l’unità era ancora lontana». Nel 1837 il capoluogo piemontese infatti vide fiorire le prime società di produzione per il gas manifatturiero tra cui, prosegue Musso: «la società anonima Compagnia di illuminazione a gaz per la città di Torino», la futura Italgas. Che come molte altre si avvaleva dell’esperienza francese, più all’avanguardia e territorialmente più vicina.
«L’Italia era tecnologicamente meno avanzata, una periferia dell’industria europea e la Francia, come altre nazioni nordeuropee, investirono molti capitali nella nuova impresa grazie ad unmercato ancora vergine e alla manodopera più conveniente», aggiunge il docente. La storia mutava velocemente, anche se a Roma, futura capitale, bisognerà superare la metà dell’800 per avere i primi lampioni a gas.
Fu Pio XIX, l’ultimo papa re, ad assaggiare il futuro con uno stabilimento che lavorava il coke nel perimetro del Circo Massimo, scelto senza troppe preoccupazioni archeologiche. O ambientali, ma questo avveniva in tutte le principali città: le officine che raffinavano il carbone erano dislocate per lo più in centro a causa delle tubature ancora a corto raggio.«Di lì a poco comunque il gas si quota in borsa e attraversa la penisola raggiungendo anche Palermo. Con il fascismo poi molte società ancora in mani straniere vengono aiutate a diventare italiane, finché non arriva la grande crisi del ’29, che colpisce duramente anche questo settore», prosegue Musso. E l’Italgas viene affidata a Adolfo Frassati, ex direttore e proprietario del giornale La Stampache inizia una grande opera di ristrutturazione.
La Seconda guerra mondiale segna un nuovo arresto nella sua corsa a causa della distruzione di impianti e reti di distribuzione.
La rinascita arriverà con gli anni ’50 e la diffusione del metano, il gas naturale che diventa la nuova fonte di energia. Ad avviare il processo sarà Lodi, la prima città metanizzata d’Europa. E se la maggior parte delle forniture arriva dalla Val padana, presto si aggiungeranno nuovi giacimenti scoperti tra Centro e Sud, a cui verranno affiancate importazioni dal Nord Africa e dall’allora Unione sovietica. È un’avanzata inarrestabile: per farci un’idea, nei quattro anni tra il 1969 e il ’73 i comuni italiani serviti dal nuovo idrocarburo crescono da 175 a quasi mille e cento.
Una risorsa che si rivela semprepiù indispensabile soprattutto in quegli anni, quando la crisi petrolifera strangola l’occidente e costringe a tagliare drasticamente i consumi energetici.
«Per un paese come il nostro che ha scelto di non utilizzare il nucleare, gas e petrolio sono le componenti primarie del consumo di energia», spiega Musso. La speranza, e non solo in tempi di crisi come questo, è che fonti rinnovabili come biometano, idrogeno e metano sintetico soppiantino presto quello naturale. Per abbattere le dipendenze e raggiungere il sospirato net zero.