Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  settembre 30 Venerdì calendario

La Cgil s’è detta pronta a collaborare con il centrodestra

Barricate addio. O, al massimo, arrivederci. Da parte della Cgil, che in un’epoca non così remota fu bacino di soccorso rosso al Pd (e ai suoi predecessori), non arriverà alcuna levata di scudi preventiva nei confronti del nascente governo Meloni. Nessuna dichiarazione bellicosa, nessun annuncio di sciopero generale. Riponete i megafoni, arrotolate gli striscioni. Perché «per noi mette in chiaro il segretario generale del primo sindacato italiano per numero di iscritti, Maurizio Landini quello che conta è il merito delle proposte». E sul centrodestra al governo «non abbiamo alcuna pregiudiziale». L’importante è che, qualunque esecutivo verrà, «si confronti con le parti sociali prima di prendere decisioni», traccia la linea Landini. Pronto a discutere con «chiunque» purché si instauri un «confronto vero con il mondo del lavoro». A cominciare, elenca le priorità il numero uno della Cgil, da una «battaglia con l’Europa per superare la logica dell’austerità». A naso, niente di cui non si possa discutere con un governo a trazione FdI.
CONVERGENZE
Così come non dovrebbe essere difficile intavolare una discussione sugli altri punti che il sindacato solleva, eccezion fatta per il salario minimo (bandiera di Pd e Cinquestelle in campagna elettorale). Qualche esempio? Li sciorina lo stesso Landini: «Aumentare i salari e le pensioni, consolidare la decontribuzione, modificare il sistema fiscale, redistribuire gli extra profitti, fissare un tetto al prezzo del gas». Un elenco in cui non è difficile trovare convergenze con la ricetta proposta da Giorgia Meloni. Anzi.
Sarà anche per questo che nelle settimane della corsa alle urne non si è mai levata davvero quella voce sul rischio di «derive» a destra che nel Pd qualcuno attendeva si alzasse, dalle parti della Cgil. «Noi abbiamo la nostra storia e le nostre radici fu la premessa del segretario generale in piena estate Ma giudichiamo i governi da quello che fanno». Stop. Altro che cinghia di trasmissione della sinistra, come fino a un paio di decenni fa veniva definita la Confederazione generale. Quell’epoca pare morta e sepolta. Non si lancia neanche nel fornire qualche innocuo suggerimento su chi vedrebbe bene al ministero del Lavoro, il segretario generale: «Non parlo di nomi replica tranchant Qualsiasi formazione avrà l’esecutivo, avanzeremo le stesse richieste di cambiamento delle politiche economiche».
Richieste che la Cgil porterà in corteo l’8 ottobre, per la grande manifestazione a Piazza del Popolo organizzata a un anno dall’assalto alla sede di Corso d’Italia. Un momento che, prevede Landini, segnerà l’inizio di una «fase difficilissima» per il Paese, tra «alta inflazione, rischio di recessione e razionamento del gas, frammentazione del mondo del lavoro». Motivo in più per sedersi a un tavolo con chi a quelle emergenze dovrà fare fronte. Del resto il sit-in ottobrino era stato indetto «prima di conoscere l’esito del voto», ci tiene a precisare Landini. Che pare così mandare in soffitta i tempi dello scontro frontale coi governi giudicati poco affini, come fu con gli esecutivi di Silvio Berlusconi (memorabili le battaglie contro il Cavaliere ingaggiate dai suoi predecessori, da Sergio Cofferati a Susanna Camusso).
Certo, le differenze rimangono. A cominciare dal nodo riforme, con quella proposta di modifica della Costituzione in senso presidenzialista che alla Cgil proprio non va giù: «La carta va attuata, non modificata», avverte Landini. Ma lo scontro finisce qui.
TRA STRATEGIA E NECESSITÀ
Ed è un cambio di paradigma di cui chi legge tra le righe delle vicende sindacali dà almeno un paio di letture, in bilico tra necessità e strategia. La prima: che senso avrebbe andare allo scontro con un governo che ancora deve nascere, e che in ogni caso ha già incluso tra le proprie priorità il taglio alle tasse sul lavoro? La seconda: l’epoca in cui gli operai guardavano per partito preso al campo della sinistra è finita da un pezzo. I dati dei flussi lo dimostrano: nelle fabbriche, FdI arriva al 34% dei consensi. Seguita da Lega e Movimento 5 stelle. E se si vuole parlare ancora ai lavoratori, è difficile non tenerne conto.